LE STATUE PARLANTI
DI ROMA 2010.11.07
ANDIAMO ALLA SCOPERTA DELLE STATUE PARLANTI
DI ROMA, ASCOLTIAMOLE MENTRE PARLANO
IN RIMA CONTRO I POTENTI DEL PASSATO.
PREMESSA
A Roma le statue parlano, anzi parlavano,
non tutte, quelle della “congrega degli arguti”. Hanno parlato per circa tre
secoli e mezzo, adesso tacciono con l’eccezione di Pasquino che di tanto in
tanto fa sentire la sua voce sarcastica sui mali della società e i vizi dei
potenti. Oltre a Pasquino erano statue parlanti Marforio, l’Abate Luigi, Madama
Lucrezia, il Facchino e il Babuino. I componimenti in rima o in prosa che vi
venivano affissi spesso avevano la forma del dialogo tra le statue parlanti,
per questo si parla di una “congrega degli arguti”.
Tra il 2009 e il 2010 la Soprintendenza
comunale ha restaurato tutte le statue parlanti di Roma, per l’occasione si è
provveduto ha creare un’area pedonale di rispetto davanti alle stesse. Pasquino
è stata l’ultima statua ad essere restaurata e reinaugurata il 9 marzo 2010
alla presenza delle autorita municipali e comunali[1].
ITINERARIO
La più famosa delle statue parlanti è
quella di PASQUINO che si trova nella piazza omonima. La statua fu
ritrovata casualmente duranti lavori stradali ai primi del Cinquecento, fu il
cardinale Oliviero Carafa a deciderne l’attuale collocazione ad angolo con
palazzo Braschi[2]. Si tratta della replica
di un famoso gruppo scultoreo greco del III sec. a. C. raffigurante Menelao[3] che
sorregge Patrolo. Michelangelo disse che era all’altezza dell’Apollo del Belvedere.
La base venne subito utilizzata per esporre pungenti satire anonime, in prosa o
versi, in italiano o in latino, contro i potenti del tempo, papi, cardinali,
nobili. Questi componimenti presero presto il nome di “pasquinate”. Tra gli
autori figura anche Pietro Aretino che si scagliò contro Adriano VI.
Particolarmente preso di mira dalle pasquinate era il sistema del nepotismo per
cui ogni nuovo pontefice cercava in ogni manera di favorire i membri della
propria famiglia.
A questo proposito Pasquino prese di mira
Olimpia Maidalchini, cognata di Innocenzo X, che abitava nel vicino palazzo
Pamphili di piazza Navona. Di lei disse: “Olim pia, nunc impia”. In un'altra la
battezzò Pimpaccia, e con tale nome è passata alla storia. L’avida signora aveva
un maestro di camera di nome Fiume. A Roma si indicavano le piene del Tevere
con l’indice della mano puntato all’altezza del livello raggiunto dall’acqua.
Appeso alla statua di Pasquino apparve un cartello con il disegno di una donna
nuda somigliante ad Olimpia Maidalchini e un indice puntato all’altezza del
sesso, seguiva la scritta “Qui arrivò Fiume”.
Quando morì Paolo III[4]
apparve il disegno della tomba del pontefice con sotto l’epitaffio:
In questa fossa a guisa di orinale
giace Paolo III
e tu viator, pissagli addosso e vale.
Quando Pio IX[5]
stabilì il dogma dell’infallibilità papale, Pasquinò scrisse:
“INRI Io non riconosco infallibilità”.
Parlò
di nuovo sullo stessa tema dicendo:
Il concilio è convocato
I vescovi han decretato
Che infallibili due sono
Moscatelli e Pio IX.
Sulle
scatole dei fiammiferi del tempo era scritto: Moscatelli Infallibili.
In
occasione dei funerali per i caduti pontifici della battaglia di Castelfidardo
(1860), tenutosi nella chies di Sant’Ignazio, Pasquino parlò:
Nella mente generale
Vari dubbi sono sorti
Se cotesto funerale
Sia pei vivi o pei morti,
molti a creder son proclivi
che sia fatto per i vivi[6].
Due giorni prima della presa di Porta Pia,
Pasquino parlò ancora:
Santo Padre Benedetto
Ci sarebbe un poveretto
Che vorrebbe darvi un dono:
quest’ ombrello. E’ poco buono,
Ma non ho nulla di meglio
Mi direte: a che mi vale?
“Tuona il nembo Santo Veglio!
E se cade il temporale…”
Nel
Povera Roma mia de Travertino!
T’hanno vestita tutta de cartone
Pe’ fatte rimirà da ‘n imbianchino!
Sembra che il nome della statua derivi da
quello di un sarto del rione Parione famoso per la lingua mordace. Inutili
furono i tentativi del potere clericale di zittire Pasquino, ci provarono
Adriano VI, Sisto V e Clemente VIII[7].
Addirittura Benedetto XIII comminò la pena di morte, la confisca dei beni e
l’infamia del nome per chi fosse stato scoperto autore delle pasquinate.
Durante il conclave che elesse Pio VIII[8] nel
1829 Pasquino fu sorvegliato a vista dai gendarmi.
La statua di Pasquino è stata restaurata
dal I Municipio del Comune, recintata e reinaugurata il 9.3.10.
La statua di Pasquino si trova sulla
piazza omonima che prima era chiamata piazza di Parione, il nome del rione, si
è anche chiamata piazza de Librai per la presenza di botteghe di librai. Sulla
piazza si trova la chiesa della Natività di Gesù della fine del Seicento con la
facciata del 1862. E’ stata sede della Confraternita degli Agonizzanti e dei
condannati a morte. Una celebre stampa di Achille Pinelli rappresenta statua, e
chiesa da cui escono i confratelli[9]. Da
almeno sette anni è diventata la chiesa dei Congolesi di Roma, dei loro riti ne
parla in un entusiastico articolo Marco Lodoli della sua rubrica “Isole”[10].
Un'altra statua famosa, che dialogava con
Pasquino fu quella di MARFORIO che oggi si trova nella piazza del
Campidoglio, all’interno del cortile del palazzo Nuovo, prima era stata
collocata in piazza San Marco, poi all’Aracoeli. La colossale statua giacente
raffigurante una divinità fluviale, sotto di essa si trova una grande piovra
con tentacoli attorcigliati, essa – dalla bocca – versa acqua nella sottostante
vasca di travertino con il bordo arrotolato. La statua di Marforio ha una mano
poggiata sul ginocchio e stringe una conchiglia, creata, insieme alla mano
sinistra, al piede destro e a parte del volto nel restauro eseguito nel 1594 da
Ruggero Bescapè. Marforio fu rinvenuto nel Foro di Marte (o di Augusto) da cui
il nome.
Dialogava con Pasquino anche la statua
dell’ABATE LUIGI in piazza Vidoni, si tratta di un console o magistrato
dell’antica Roma, ritrovato nelle fondamenta di palazzo Vidoni[11],
faceva parte dell’Hecatostylum (portico dalle cento colonne), a cui è stato
dato il nome di un sacrestano della vicina chiesa del Sudario. La statua si
trovava all’interno di palazzo Vidoni, poi è stata portata nel cortile di
palazzo Chigi, quindi nel luogo attuale. Particolarità di essa è che la testa
gli è stata rubata più volte per cui sulla sua base è scritto:
Fui dell’antica Roma un cittadino
ora Abate Luigi ognun mi chiama
conquistai con Marforio e con Pasquino
della satira urbana eterna fama
ebbi offese, disgrazie e sepoltura
ma qui vita novella e alfin sicura.
Nel 1966 gli rubarono la testa e per
l’ultima volta l’Abate Luigi parlò:
O tu che m’arrubbasti la capoccia
Vedi d’ariportalla immantinente
Sinnò, voi vede? Come fusse gnente
Me mannano ar governo. E ciò me scoccia.
Dialogava con l’Abate Luigi e con Marforio
la statua di MADAMA LUCREZIA collocata in piazza San Marco tra la
basilica omonima[12] e il ricostruito
palazzetto Venezia. Si tratta sempre di una statua romana, diverse sono le
attribuzioni, chi sostiene che si tratta della dea Iside, chi Lucrezia moglie
di Collatino, altri propendono per Faustina moglie di Antonino Pio, altri
infine sostengono che sia stata donata a Lucrezia D’Alagna, amante di Alfonso
d’Aragona re di Napoli. A sostegno di quest’ultima tesi si può dire che il
termine madama non è mai stato usato in Roma, mentre era in uso a Napoli.
Si narra che papa Gregorio XIV[13],
sentendosi venir meno, si fece portare a palazzetto Venezia che era protetto da
una staccionata, quindi luogo tranquillo. Nonostante ciò vi morì il 16 ottobre
1591. Madama Lucrezia parlò:
“La morte entrò attraverso i cancelli”.
Sembra che durante l’occupazione francese
del 1799 qualcuno la buttasse a terra, il giorno dopo un ignoto mise sulla
statua sdraiata sul selciato il cartello:
“Non ne posso vedè più”.
Sulla piazza si teneva il “Ballo de li
poveretti”, cosiddetto perché vi partecipavano nani e storpi, la statua di
Madama Lucrezia veniva addobbata con collane di cipolle, capi d’aglio e
peperoncini.
La statua del FACCHINO, già in via del
Corso, per ragioni di viabilità si trova dal
Quando
era in via del corso aveva vicino una lapide che recitava:
“Ad Abbondio Rizio, coronato (facchino)
sul pubblico selciato,
valentissimo nel legar fardelli.
Portò quanto peso volle, visse quanto potè,
però un giorno, mentre portava un barile di vino
in spalla e dentro il corpo,
contro sua voglia morì”.
Il popolo romano vi intravide un ritratto di
Martin Lutero.
Il
lavoro degli acquaioli a Roma terminò nel Cinquecento con la riapertura dei
grandi acquedotti romani.
Ultima delle statue parlanti di Roma è
quella del BABUINO che ha dato il nome alla strada in cui si trova: la via
del Babuino appunto. Si tratta della statua di un sileno[15]
giacente chiamata dal popolo babuino perché molto rovinata. Fu Pio V a volere
statua e fontana. Non sarebbe diventata famosa se un cardinale che abitava nei
pressi prese l’abitudine di tegliersi il cappello e inchinarsi devotamente ogni
volta che passava davanti alla statua del Babbuino. Forse il cardinale era
miope. Dal 1957 si trova vicino alla chiesa di sant’Atanasio dei Greci del
1580-3 opera di Giacomo della Porta, per la comunità greca, collegata al
Collegio da un arco. Ha campanili gemelli, l’interno è ad unica navata. La statua è addossata a quello che era
l’atelier Canova Tadolini, scultore dell’Ottocento delle famiglie nobili e dei
regnanti d’Europa. Oggi, in questi locali, tra i gessi delle statue di Canova,
si trova un caffè.
BIBLIOGRAFIA
Rivista Roma ieri, oggi e
domani n. 1, pag. 110.
Rivista Roma ieri, oggi e
domani n. 20, pag. 30.
AA.VV. Guida d’Italia. Roma,
ed. Tci, 1993.
Cronaca di Roma de “la
Repubblica”.
AA.VV. I rioni di Roma, ed.
Newton, 1989.
SITOGRAFIA
07.11.10 Piero Tucci
tuccigf@tiscali.it
[1] Restauro di Pasquino. La notizia del restauro delle statue parlanti da “la Repubblica” del 11.11.09 e del 10.03.10 nelle pagine di cronaca di Roma.
[2] Palazzo Braschi. Fu eretto per i nipoti di Pio VI Braschi dopo il 1792 da Cosimo Morelli nelle forme architettoniche cinquecentesche. E’ l’ultimo palazzo di famiglia papale costruito in Roma. Oggi è sede del Museo di Roma recentemente restaurato ma solo in parte. Pio VI è quel papa che morì in esilio a Valence Drome in Francia nel 1799.
[3] Menelao. Personaggio della mitologia greca, fratello minore di Agamennone, re di Sparta e marito di Elena che Paride portò a Troia causanto la famosa guerra. Oltre che nell’Iliade è nominato in molte tragedie. Patroclo era l’inseparabile compagno di Achille, sarà ucciso da Ettore. La statua completa di Menelao che sorregge Patroclo si trova a Firenze, in piazza della Signoria, sotto la Loggia dei Lanzi.
[4] Paolo III. Alessandro Farnese (Canino 1486 – Roma 1549) papa dal 1534. Convocò il concilio di Trento nel 1545. Ebbe quattro figli prima di essere ordinato sacerdote. Celebre il suo ritratto opera di Tiziano, oggi a Capodimonte -Napoli. La sua tomba è in San Pietro, opera di Guglielmo della Porta.
[5] Pio IX. Giovanni Mastai Ferretti (Senigallia 1792 – Roma 1878) papa dal 1846. E’ il papa che fece inizialmente sperare i patrioti italiani, aderendo anche alla prima guerra di indipendenza, successivamente fu accanitamente anti italiano e ostile ad ogni rinnovamento della Chiesa. Il suo è il pontificato più lungo della storia della Chiesa, dopo quello di San Pietro. Dal 2000 è stato proclamato beato.
[6] Satira de rivoluzionari pel funerale dei morti caduti di Castelfidardo. Da tesi di laurea di Piero Tucci, Analisi di un fondo d’archivio: l’Archivio segreto della direzione generale di polizia (1861-1864), a.a. 1992/93. Il sonetto è stato ritrovato all’Archivio di Stato di Roma.
[7] Adriano VI. Adriano Florensz (Utrecht Paesi Bassi
1459 – Roma 1523) papa dal 1522, teologo, rettore dell’università di Lovanio
(Belgio – Brabante), precettore di Carlo V.
Sisto V. Felice Peretti (Grottammare 1520 –
Roma 1590) papa dal 1585. Represse il brigantaggio, si adoperò per la
centralizzazione dello Stato, assesstò le finanze. Progettò il rinnovamento di
Roma.
Clemente VIII. Ippolito Aldobrandini (Fano 1536 – Roma 1605) papa dal 1592. Sotto il suo pontificato ci fu l’esecuzione della condanna a morte di Beatrice Cenci e Giordano Bruno.
[8] Pio VIII. Francesco Saverio Castiglioni. (Cingoli MC 1761 – Roma 1830), papa per soli nove mesi.
[9] Stampa di Achille Pinelli. Da: AA.VV. I rioni di Roma, ed. Newton, 1989, pag. 456. Achille Pinelli (Roma 1809-1841) era figlio del più famoso Bartolomeo, alla raffigurazione di tante chiese romane oggi scomparse, unì gli usi, i costumi e le confraternite della città. Si può considerare il corrispettivo di Belli.
[10] Marco Lodoli. “Gli angeli e i tamburi dell’Africa”, articolo del 09.02.2003 dalla cronoca di Roma di “la Repubblica”.
[11] Palazzo Vidoni. La facciata ottocentesca ripete quella posteriore su via del Sudario costruita su disegno di Raffaello. E’ tradizione che l’imperatore Carlo V sia stato ospitato in questo palazzo. Oggi è proprietà dello Stato e sede ministeriale.
[12] Basilica di San Marco.
Una delle più antiche chiese di Roma, voluta da papa San Marco nel
[13] Gregorio XIV. Niccolò Sfondrati (Somma Lombardo VA 1535 – Roma 1591) papa dal 1590.
[14] Chiesa di Santa Maria in via Lata. La chiesa conserva la tomba della famiglia Bonaparte e il busto di Zenaide Wolkonsky di Pietro Tenerani. Il sotterraneo conteneva importanti pitture dell’alto medioevo, sono state portate al museo della Cripta Balbi in via delle Botteghe Oscure.
[15] Sileno. Figura della mitologia greca, divinità dei boschi di natura selvaggia e lasciva. Figlio di Pan (dio silvestre) e di una ninfa, aveva forme umane ma orecchie, coda e zoccoli di cavallo. Anche gli antichi facevano fatica a distinguerlo dai satiri.