CAPITAN IGNAZIO (1^ parte) by Roberto

17 nov. 2024 - VEDIROMAINBICI

 

23 ottOBRE 1491 - nasce Íñigo Lopez a Loyola (nel seguito Ignazio) nei Paesi Baschi. Appartiene a una famiglia aristocratica. Ultimo di 13 figli, cadetto, quindi destinato alla vita sacerdotale, ma la sua aspirazione era quella di diventare cavaliere.

Suo padre combatte a fianco dei re cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona nella guerra di successione al trono di Castiglia (1475-1479).

Ignazio aveva solo sette anni quando morì sua madre.

 

1468 - Enrico IV detto “l’impotente”, re di Castiglia, firma il trattato dei Tori di Guisando con la sorellastra Isabella di Castiglia. Con questo trattato Isabella avrebbe sposato Alfonso V detto “l’africano”, re del Portogallo, e sarebbe divenuta l'erede alla Corona di Castiglia alla morte del fratellastro Enrico IV, in quanto nel trattato veniva riconosciuta l'illegittimità della figlia Giovanna la Beltraneja alla Corona (diceria che non fosse sua figlia).

 

1469 - Isabella di Castiglia, grazie a una falsa bolla papale, attribuita a Pio II defunto 5 anni prima, sposa segretamente e clandestinamente, perché consanguinei, suo cugino di 2° grado, Ferdinando d’Aragona, futuro re d’Aragona nel 1479 alla morte del padre.

Il Papa Paolo II Barbo ed Enrico IV scoprono inevitabilmente l’inganno.

Il Papa scomunica i due coniugi. Enrico IV ritratta l’accordo dei Tori di Guisando e giura che Giovanna la Belraneja è sua figlia legittima proclamandola erede al trono di Castiglia alla sua morte (1474).

 

1471 – papa Sisto IV invia il cardinale Rodrigo Borgia, futuro papa nel 1492 con il nome di Alessandro VI, per sanare la problematica ecclesiale tra i due principi. L’astuto cardinale concorda con Isabella e Ferdinando che avrebbe legittimato il loro matrimonio, di fatto già avvenuto il 19 ott. 1469, mediante una nuova bolla, mettendo fine a due anni di scandalo dal 1469. In cambio, i due principi avrebbero concesso la città di Gandía e il titolo di duca al suo primogenito, Pier Luigi Borgia.

 

1474 – Muore il re di Castiglia Enrico IV “l’impotente”, fratellastro di Isabella di Castiglia.

La figlia di Enrico IV, Giovanna la Beltraneja, diviene legittima erede del trono, perché il trattato dei Tori di Guisando era stato annullato.

Anche Isabella aspira ad ereditare il trono di regina di Castiglia e si apre la guerra di successione fra Isabella e Giovanna la Beltraneja.

 

1475-79 – Quattro anni di lotta per la successione alla Corona di Castiglia tra i sostenitori di Giovanna la Beltraneja, figlia del defunto re Enrico IV di Castiglia, e quelli di Isabella di Castiglia, sorellastra di quest'ultimo. Il conflitto dura 4 anni; alla fine Isabella ne esce vittoriosa come regina di Castiglia definitivamente dal 1475, assieme al re consorte Ferdinando II d’Aragona.

 

1479 – Comincia a configurarsi la nascente Spagna.

Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, ormai coniugi legittimi dal 1471, sono già regina e re consorte di Castiglia dopo la guerra di successione. Divengono i primi re di Spagna in seguito alla morte del padre di Ferdinando, Giovanni II d’Aragona nel 1479.

1492 – Riconquista del Sultanato di Granada dal 1481 al 1492 ad opera di Ferdinando II.

Dopo 8 secoli di progressiva conquista da parte degli eserciti cristiani, la città di Granada, ultimo baluardo musulmano della penisola iberica, capitola.

Con l'incorporazione del sultanato di Granada si completa l'unificazione territoriale della Spagna con i confini quasi del tutto attuali.

La parte sud della Navarra, denominata alta Navarra, viene incorporata nel 1512, sempre ad opera di Ferdinando II.

 

1492 - Dopo la caduta di Granada nel 1492, papa Innocenzo VIII conferisce ad Isabella ed al marito Ferdinando il titolo di "Maestà cattolica", “Re Cattolici”.

 

31 marzo 1492 – Ferdinando II introduce l’inquisizione in Castiglia e poi in Aragona, con l’espulsione di tutti gli ebrei che non accettano di convertirsi al Cristianesimo.

 

12 ottobre 1492 – Cristoforo Colombo scopre l’America. Viaggio appoggiato e finanziato dalla regina Isabella di Castiglia.

 

1493 – OMAGGIO DI Isabella al papa Alessandro VI Borgia DEl primo oro arrivato dal Perù, IN SEGUITO AL TITOLO DI MAESTà CATTOLICA.

Il soffitto a cassettoni della Basilica di Santa Maria Maggiore, su commissione di Alessandro VI, viene rivestito con l’oro ricevuto in dono da Isabella. Il soffitto, riccamente intagliato con elementi a foglie d’oro, presenta al centro lo stemma araldico del pontefice spagnolo, riconoscibile per la presenza del toro.

1496 - Giovanna “la pazza”, 3^ figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando II, sposa Filippo “il bello” d'Asburgo.

Viene denominata “la pazza” perché ritenuta malata di mente. Reclusa per 50 anni, muore nel 1555.

 

1504 – Muore la regina madre Isabella di Castiglia e le succede la figlia Giovanna “la pazza”. Nel 1.504 suo marito Filippo “il bello” d’Asburgo diviene re di Castiglia di diritto (jure uxoris), dando inizio al dominio degli Asburgo nei regni spagnoli. Muore nel 1506 a 28 anni.

 

1505 - Ferdinando II non gradisce che il genero Filippo “il bello” d’Asburgo governi con piena influenza il regno di Castiglia.

Sposa Germana de Foix (2^ moglie) nipote di Luigi XII, per intraprendere una politica filo-francese che prevede la spartizione dell'Italia: ai francesi il Ducato di Milano e Napoli, agli aragonesi il resto del sud Italia.

Da Germana spera di avere un figlio maschio a cui lasciare l’eredità dei regni, eliminando gli Asburgo, ma ha un solo figlio maschio che vive solo un giorno.

Sposando Germana di Foix, cugina di Caterina, regina di Navarra, nutre qualche pretesa sulla Navarra stessa.

 

1506 – Muore Filippo “il bello” d’Asburgo, forse per avvelenamento.

Ferdinando II, di fatto, governa come reggente anche la Castiglia, dal 1506 fino alla sua morte nel 1516, per conto della figlia Giovanna dichiarata pazza e imprigionata nel Convento Reale di Santa Clara, a Tordesillas, da suo padre dal 1506 fino alla morte nel 1555.

 

1506 – Ignazio viene inviato dal padre ad Arévalo in Castiglia. Ignazio a 15 anni viene inviato presso la corte di don Juan Velazquez de Cuellar, ministro del re Ferdinando il Cattolico, fino al 1.517 (anno in cui muore il Velasquez) per ricevere un’educazione cavalleresca e religiosa. L’ambiente in cui cresce è improntato a valori di lealtà verso la Corona e ai desideri di potere, di ambizione, affermazione. La vita di corte, agiata, dedita ai banchetti e valori cortesi, forma il carattere e le maniere del giovane, che prende a leggere romanzi cavallereschi e a corteggiare le dame.

 

1512 – La regina di Navarra, Caterina di Foix e suo marito Giovanni d'Albret (nobile famiglia francese) firmano un accordo con il re di Francia Luigi XII, che prevede:

  • il matrimonio tra il loro figlio Enrico II d’Albret, erede al trono di Navarra dal 1.517, anno in cui muore Caterina, e una principessa della casa reale francese;

  • una clausola segreta che vieta il passaggio delle truppe castigliane sul suolo navarrese.

Ferdinando II, re d'Aragona e reggente di Castiglia dal 1.506, anno in cui muore suo genero Filippo “il bello”, venuto a conoscenza della clausola segreta tra Francia e Navarra, chiede il permesso di passaggio sul suolo navarrese per attaccare la Francia, ma gli viene rifiutato.

 

25 luglio 1512 – Ferdinando II dichiara guerra alla regina di Navarra, Caterina di Foix (CUGINA DI GERMANA)

L'esercito castigliano entra a Pamplona e in capo a due mesi la Navarra a sud dei Pirenei (alta Navarra) è conquistata. A Caterina rimane solo la Navarra francese (bassa Navarra, a nord dei Pirenei).

 

1513 – il regno di Navarra viene diviso in due parti:

  • la parte del regno a nord dei Pirenei (bassa Navarra) rimane in possesso della regina Caterina, perché territorio storico della Francia;

  • la parte del regno a sud dei Pirenei (alta Navarra) viene annessa alla corona d'Aragona e Castiglia, quindi alla la nascente Spagna.

Ferdinando II d’Aragona diviene così anche re di Navarra fino alla morte (1516).

 

23 gennaio 1516 – Muore re Ferdinando II:

  • re d’Aragona come Ferdinando II dal 1479 (morte del padre) al 1516;

  • re consorte di Castiglia come Ferdinando V dal 1475 al 1504 (morte di Isabella);

  • re di Navarra sud come Ferdinando I dal 1512 (conquista) al 1516.

 

1516 – CARLO I DI SPAGNA SUCCEDE A FERDINANDO II

La figlia Giovanna “la pazza” è reclusa dal 1506 e non può succedergli.

Il genero Filippo “il bello” è già morto nel 1.506.

Gli succede pertanto il figlio di Giovanna “la pazza” e Filippo “il bello”, suo nipote Carlo I di Spagna (1.516 – 1.556) e in seguito come Carlo V d’Asburgo (1519 – 1.556) Imperatore del Sacro Romano Impero, dove non tramonta mai il sole. Gli sono ostili il regno di Francia, la nascente riforma protestante e l’impero ottomano a est.

 

1516 – Muore Giovanni III d’Albret

Consorte di Caterina di Foix, padre di Enrico II d’Albret.

 

1517 – Muore Caterina di Foix (CUGINA DI GERMANA DI FOIX)

Già vedova nel 1516 di Giovanni III d’Albret ed il figlio Enrico II d’Albret diventa re di Navarra dal 1517 fino alla morte nel 1555.

1517 – Enrico II d’Albret eredita il trono di Navarra.

Nel 1527 sposa Margherita di Valois-Angoulême, sorella di Francesco I re di Francia. Per tutta la vita, continua, con l'aiuto del cognato Francesco I, a combattere il re di Spagna, Carlo I (Carlo V d’Asburgo, imperatore del sacro romano impero).

 

1517 - Papa Leone X, per raccogliere denaro per la cupola di San Pietro, promuove la raccolta di elemosine in cambio di indulgenze.

Il 31 ottobre 1517 - Il frate agostiniano Martin Lutero affigge le sue 95 tesi sul portone della chiesa di Wittenberg, in Germania, dando così inizio alla Riforma protestante. L’uomo, portato al male, si salva solo se Dio gli dona la fede (predestinazione) non per le opere.

 

1517 - Ignazio a 26 anni, dopo la morte di don Juan Velasquez nel 1.517, si trasferisce a Pamplona in Navarra sud (già Spagna dal 1512 con la conquista di Ferdinando II d’Aragona) alla corte di don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra; nello stesso 1.517 prende servizio nell'esercito come cavaliere armato (mesnadero).

Fino a 26 anni fu uomo di mondo, assorbito dalle vanità. Amava soprattutto esercitarsi nell’uso delle armi, attratto da un immenso desiderio di acquistare l’onore vano. Con questo spirito si comportò quando venne a trovarsi in una fortezza assediata dai francesi. (Autobiografia 1)

 

 

 

 

19 maggio 1521 – La popolazione in Navarra insorge contro l’invasore spagnolo.

Nel 1512 la Navarra sud era stata conquistata da Ferdinando II. Con l’insurrezione scoppia la battaglia di Pamplona, fra l'esercito spagnolo e quello del regno di Navarra sostenuto dalla Francia di Francesco I.

Enrico II d'Albret, re di Navarra dopo la morte di sua madre Caterina nel 1.517, appoggiato da Francesco I, piomba su Pamplona sotto il comando del generale francese Andrea di Foix, con ben dodicimila soldati di fanteria, ottocento lancieri e ventinove pezzi di artiglieria.

 

20 maggio 1521 – IGNAZIO RESTA SOLO A difendere l'ultimo baluardo di Pamplona.

A seguito di contrasti fra i condottieri dell’esercito spagnolo, rimane Ignazio con pochi soldati. Le truppe francesi mettono in campo l'artiglieria pesante e durante i bombardamenti un tiro colpisce in pieno la gamba destra di Ignazio rompendogliela in più parti e anche l’altra resta malconcia.

Ignazio e i suoi soldati sono costretti alla resa dopo sei ore di assedio. I francesi, e particolarmente il generale francese nemico, Andrea di Foix, che aveva già manifestato stima nei confronti dell'avversario, gli risparmia la vita e ordina che se ne prendano cura, come Ignazio stesso racconta nella sua autobiografia: “trattarono con ogni riguardo il ferito e furono con lui cortesi e benevoli”.

 

30 giugno 1521 RICONQUISTA DELLA NAVARRA SUD.

La rapida reazione dell'esercito spagnolo di Carlo I di Spagna (Carlo V d’Asburgo) che recluta 30.000 uomini bene armati, e gli errori del gen. francese Andrea di Foix, portano alla battaglia di Noáin il 30 giugno 1.521 nella quale l’esercito franco-navarrese è sconfitto e la Spagna riconquista la Navarra sud (alta Navarra).

1521 – INTERVENTI DOPO LA BATTAGLIA DI PAMPLONA.

(1° intervento) Rimase a Pamplona dodici o quindici giorni; poi, in lettiga, fu trasportato nel suo castello (di Loyola). Là si aggravò; medici e chirurghi furono chiamati da varie parti: diagnosticarono che le ossa erano fuori posto; o erano state ricomposte male la prima volta (dai francesi), o si erano spostate durante il viaggio e questo impediva la guarigione.

 

(2° intervento) Per rimettere le ossa a posto bisognava rompere di nuovo la gamba. Si ripeté quella carneficina. In questa, come in tutti gli interventi prima subiti o che avrebbe affrontato poi, non gli sfuggì mai un lamento, e non diede altro segno di dolore che stringere forte i pugni.

Ma continuava a peggiorare: non poteva nutrirsi e manifestava gli altri sintomi che di solito preannunziano la fine.

 

(3° intervento) Le ossa andavano ormai saldandosi, ma sotto il ginocchio un osso rimase sovrapposto all’altro di modo che la gamba rimaneva più corta. Per di più quell’osso sporgeva tanto da apparire una deformità: e questo lui non lo poteva sopportare; intendeva continuare a seguire il mondo e quel difetto sarebbe apparso sconveniente; per questo interrogò i medici se si poteva tagliare quell’osso. Risposero che lo si poteva certo tagliare, ma il dolore sarebbe stato più atroce di tutti quelli già sofferti: perché l’osso ormai si era saldato e perché l’intervento era lungo. Nonostante tutto, per suo capriccio, decise di sottoporsi a quel martirio. Suo fratello maggiore, spaventato, diceva che non avrebbe mai avuto il coraggio di sottoporsi a tale atrocità: ma l’infermo la sopportò con la consueta forza d’animo.

Fu incisa la carne e l’osso sporgente fu segato. Perché la gamba non rimanesse più corta, i medici adottarono vari rimedi: applicarono vari unguenti e la tennero continuamente in trazione; furono giorni e giorni di martirio. Ma nostro Signore gli ridava salute; andò migliorando a tal punto che si trovò completamente ristabilito.

 

1521 – CONVALESCENZA E LETTURA DI LIBRI RELIGIOSI.

Solo che non poteva reggersi bene sulla gamba e doveva per forza stare a letto. Poiché era un appassionato lettore di quei libri mondani e frivoli, comunemente chiamati romanzi di cavalleria, sentendosi ormai in forze ne chiese qualcuno per passare il tempo. Ma di quelli che era solito leggere, in quella casa non se ne trovarono. Così gli diedero una Vita Christi e un libro di vite di santi in volgare.

 

PENSIERO DOMINANTE DI UNA DAMA DI ALTO RANGO.

Un pensiero dominava il suo animo a tal punto che ne restava subito assorbito, andava escogitando cosa potesse fare in servizio di una certa dama, pensava le frasi cortesi, le parole che le avrebbe rivolto; sognava i fatti d’arme che avrebbe compiuto a suo servizio. In questi sogni restava così rapito che non badava all’impossibilità dell’impresa: perché quella dama non era una nobile qualunque; non era una contessa o una duchessa; il suo rango era ben più elevato di questi.

Sembra che si trattasse della infelice principessina Caterina (Catalina), sorella di Carlo I di Spagna (Carlo V d’Asburgo) sposa di Giovanni III re del Portogallo, che visse segregata accanto alla madre Giovanna “la pazza”.

 

INIZIO DELLA CONVERSIONE DI IGNAZIO.

Ma nostro Signore lo assisteva e operava in lui. A questi pensieri ne succedevano altri, suggeriti dalle cose che leggeva. Così leggendo la vita di nostro Signore e dei santi si soffermava a pensare e a riflettere tra sé: “E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco o san Domenico?”.

Tutto il suo ragionare era un ripetere a se stesso: san Domenico ha fatto questo, devo farlo anch’io; san Francesco ha fatto questo, devo farlo anch’io. Anche queste riflessioni lo tenevano occupato molto tempo. Ma quando lo distraevano altre cose, riaffioravano i pensieri di mondo.

C’era però una differenza: pensando alle cose del mondo provava molto piacere, ma quando, per stanchezza, le abbandonava si sentiva vuoto e deluso. Invece, andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi, erano pensieri che non solo lo consolavano mentre vi si soffermava, ma anche dopo averli abbandonati lo lasciavano soddisfatto e pieno di gioia.

[9] Con tutta la luce ricavata da questa esperienza si mise a riflettere più seriamente sulla vita passata e sentì un grande bisogno di farne penitenza. Allora gli rinasceva il desiderio di imitare i santi, senza dar peso ad altro che a ripromettersi, con la grazia di Dio, di fare lui pure come essi avevano fatto. Ma la cosa che prima di tutte desiderava fare, appena fosse guarito, era di andare a Gerusalemme, come si è detto sopra, imponendosi quelle grandi austerità e digiuni a cui sempre aspira un animo generoso e innamorato di Dio.

 

IGNAZIO GUARITO – DECIDE DI ANDARE IN TERRA SANTA.

Decise dunque di attuare la sua nuova vocazione: appena guarì, divenne il “pellegrino”, deciso a giungere fino in Terra Santa.

 

IGNAZIO CAVALCA LA MULA – INCONTRO COL MORO.

[13] Partì dunque cavalcando una mula. Da solo parti da Navarrete, sulla sua mula, verso Montserrat.

[15] Avvenne dunque che mentre andava per la sua strada lo raggiunse un moro che cavalcava un mulo. Si misero a conversare e il discorso cadde su nostra Signora. Il moro sosteneva che, certo, la Vergine aveva concepito senza intervento d’uomo; ma che avesse partorito restando vergine, questo non lo poteva ammettere; e a sostegno di ciò adduceva i motivi naturali che gli si presentavano alla mente. Da questa opinione il pellegrino, per quanti argomenti portasse, non riuscì a smuoverlo. Poi il moro si allontanò velocemente, tanto che lo perse di vista; ed egli rimase pensieroso, riflettendo su quanto era intervenuto con quell’uomo. E insorsero in lui impulsi che gli provocavano un senso di scontentezza sembrandogli di aver mancato al suo dovere, e lo movevano a sdegno contro il moro. Gli pareva di aver fatto male a permettere che egli facesse quelle affermazioni su nostra Signora, e di essere obbligato a difenderne l’onore. Gli veniva voglia di andarlo a cercare e di prenderlo a pugnalate per le affermazioni che aveva fatto. Restò a lungo in subbuglio, combattuto da questi impulsi, e alla fine rimase perplesso senza sapere cosa era tenuto a fare. Prima di allontanarsi il moro gli aveva detto che era diretto a una località poco distante, lungo il suo stesso cammino, era molto vicina alla strada maestra, ma questa non l’attraversava.

[16] Stanco di riflettere cosa era meglio fare, senza vedere una soluzione sicura a cui attenersi, decise così: lasciare andare la mula a briglia sciolta fino al punto in cui le strade si dividevano. Poi, se la mula avesse imboccato la via del paese, avrebbe raggiunto il moro e lo avrebbe pugnalato; se invece avesse proseguito per la strada maestra, lo avrebbe lasciato perdere. Seguì questa idea; l’abitato era distante solo trenta o quaranta passi e la strada che vi conduceva era larga e comoda; ma nostro Signore fece sì che la mula la lasciasse da parte e scegliesse la via principale.

 

IGNAZIO ACQUISTA UNA TELA DI SACCO COME ABITO.

Giunto a una grossa borgata prima di Montserrat, decise di comprarvi l’abito che intendeva indossare e con il quale sarebbe andato a Gerusalemme. Acquistò dunque della tela da sacco, grossolana e molto ruvida, e con quella si fece subito fare una tunica lunga fino ai piedi, ma non l’indossò subito; comprò anche un bastone da viaggio e una borraccia, e legò tutto all’arcione della mula.

 

25 marzo 1522 - VEGLIA D’ARMI AL MONASTERO DI MONTSERRAT.

Dopo la convalescenza, decise di partire per la Terra Santa. Volle prima visitare il Monastero benedettino di Montserrat (25 marzo 1.522), dove appese come ex-voto (oggetto di varia natura donato per una grazia richiesta o ricevuta) le sue armi davanti alla statua della Madonna nera, dopo una vera e propria veglia d'armi dedicata alla Madonna (la Moreneta) sempre in piedi o in ginocchio per diventare cavaliere di Dio e della Vergine Santa.

[18] La vigilia di Nostra Signora di marzo [festa dell’Annunciazione] del 1522, verso notte, in tutta segretezza andò a cercare un povero e, spogliatosi di tutti i suoi abiti, glieli diede, e lui indossò la tunica che ormai solo desiderava (abito del pellegrino).

 

26 marzo 1522 - PARTENZA DALLA MONTAGNA DI MONTSERRAT E ARRIVO ALLA CITTADINA DI MANRESA.

All’alba, da Montserrat, scende a Manresa, dove rimane undici mesi e dove si compie la sua conversione: da cavaliere dal temperamento focoso, tutto padrone di sé, ad amico del Signore, in tutto disposto a servirlo per rispondere al suo amore. E proprio a Manresa Ignazio inizia a scrivere gli Esercizi Spirituali, con il chiaro intento di aiutare tanti altri a fare la sua stessa esperienza salvifica di incontro personale con Dio.

A Manresa, presso il fiume Cardoner, Ignazio riceve una grande illuminazione.

 

1523 aprile - domenica delle Palme - Ignazio arriva a Roma.

A Roma papa Adriano VI benedice il pellegrinaggio e gli concede «licenza e facoltà di andare a visitare personalmente il Santo Sepolcro del Signore e gli altri luoghi sacri», come egli desiderava «con grande fervore e devozione».

 

24 luglio 1523 – IGNAZIO SI IMBARCA A VENEZIA PER LA TERRA SANTA – IL 3 OTTOBRE 1523 COSTRETTO AL RIENTRO.

Il 24 luglio 1.523 si imbarca a Venezia diretto verso la Terra Santa dove vi rimane un paio di mesi. Si reca in Terra Santa per respirare la stessa aria che aveva respirato Gesù, vedere gli stessi luoghi, percorrere gli stessi sentieri. Addirittura impara ad esprimersi come Gesù dando il “voi” alle persone!

Il suo immediato progetto è di rimanere come mendicante per sempre in Terra Santa, ma non è realizzabile; è addirittura minacciato di scomunica se non fosse ripartito. Il Superiore dei Francescani, custode della Terra Santa, gli impedisce di restare, giudicando troppo povere le sue conoscenze teologiche. Ignazio accetta a malincuore, riconoscendo la volontà di Dio per lui, che passa dalla Chiesa. Torna quindi in Europa e intraprende gli studi di grammatica, filosofia e teologia, prima a Salamanca e poi a Parigi, pagando il prezzo necessario.

1524 - 1526 Ignazio a Barcellona.

All’età di 33 anni, comincia a studiare la grammatica latina.

 

1526 – 1527 IGNAZIO ad Alcalà.

Ad Alcalà, città universitaria vicino Madrid, Ignazio inizia studia filosofia e teologia; l’anno dopo a Salamanca.

 

1528 – 1535 Ignazio a PARIGI.

Ignazio si trasferisce a Parigi per ampliare gli studi e la sua preparazione per poter meglio servire il Signore e vi resta 7 anni, fino al 1535.

Studia alla Sorbona, la più importante università di Parigi, accrescendo la sua cultura letteraria e teologica. Sperimenta l’umiltà di stare tra i banchi di scuola all’età di 40 anni.

Dal ritiro a Manresa (1523) alla fine della permanenza a Parigi (1535), Ignazio elabora e perfeziona gli Esercizi Spirituali (EE SS) un testo che si rivelerà per i secoli futuri fondamentale per la preghiera, contemplazione, discernimento e formazione. (21) «Esercizi spirituali per vincere sé stesso e per mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna propensione che sia disordinata».

Proprio nella capitale francese cambia il suo nome in Ignazio, in omaggio al Santo di Antiochia, divorato dai leoni al Colosseo intorno all’anno 100, di cui ammirava l’amore per Cristo e l’obbedienza alla Chiesa, che sarebbero poi divenuti caratteri fondanti della Compagnia di Gesù.

 

1534 – PARIGI - MONTMARTRE CAPPELLA DI SAINT DENIS – VOTI.

Il 15 agosto 1534 Ignazio e altri sei studenti si incontrano a Montmartre, vicino a Parigi, nella cappella di Saint Denis, legandosi reciprocamente con un voto di povertà, castità e obbedienza e fondando un ordine a carattere internazionale chiamato con un termine d'origine militare, la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire un lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro. Compare in quest'occasione, sia pure marginalmente, un quarto voto che si aggiunge ai soliti tre monacali: quello della assoluta obbedienza al papa che richiama il valore militare della disciplina.

 

27 aprile 1537

Il Papa dà al gruppo il permesso di andare in Terrasanta (2^ volta) e nello stesso giorno la Sacra Penitenzieria dà il permesso ad Ignazio e compagni di costituire un corpo sacerdotale.

 

24 giugno 1537 - Ignazio è ordinato sacerdote a Venezia.

 

1537 – DELUSIONE DI VENEZIA PER MANCATO VIAGGIO IN TERRA SANTA.

Le relazioni conflittuali tra Venezia e i turchi non permettono a nessuna nave di salpare da Venezia. Ignazio e compagni decidono di aspettare un anno e rinviare il viaggio.

1537 novembre – VISIONE A LA STORTA NEL RITORNO A ROMA.

Non potendo partire per la Terra Santa, per mantenere la promessa fatta nella cappella di Saint-Denis a Montmartre, Ignazio torna a Roma per mettersi a disposizione del Papa.

Nel novembre 1537 tre sacerdoti, Ignazio di Loyola, Pietro Favre e Diego Laínez si mettono in cammino verso Roma. Nei pressi di Roma, lungo la via Francigena, in località La Storta, esisteva una piccola cappella con un’antichissima osteria e una stalla. Sostano in preghiera nella cappella.

Immerso in preghiera, Ignazio ha la visione di Gesù Cristo con la croce sulle spalle, accanto al Padre. Il Padre dice a Gesù: «Voglio che Tu pigli questo per servitore tuo». Gesù rivolgendosi ad Ignazio dice: «Voglio che tu ci serva».

E’ la chiamata all'unione con Cristo e al servizio. Nella fondazione della Compagnia di Gesù, l'episodio riveste un'importanza centrale anche per la scelta del nome della Compagnia. Il luogo e la cappella diventano presto, già subito dopo la fondazione della Compagnia (1540), oggetto di venerazione e meta di pellegrinaggi, soprattutto da parte dei religiosi Gesuiti.

Il Signore completa l’esperienza del Cardoner a Manresa nel 1522 e fa comprendere a Ignazio che la Compagnia è voluta dal Signore stesso e che porti il nome di Gesù.

 

1537 - Ignazio con i compagni vanno dal Papa per obbedire ai suoi ordini.

Il Papa disse loro: “Perché andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa, l’Italia è una buona Gerusalemme".

 

1538 - Papa Paolo III nel 1538 dà l’approvazione canonica alla Compagnia di Gesù

Da subito animati da zelo missionario i Preti Pellegrini, o Riformati (solo in seguito assunsero il nome di Gesuiti) vengono inviati in tutta Europa, e poi in Asia e nel resto del mondo, portando ovunque il loro carisma di povertà, carità, obbedienza e obbedienza assoluta alla volontà del Papa.

 

1538 – Ignazio celebra la sua prima Messa

La notte di Natale nella cappella della Natività della Basilica di Santa Maria Maggiore Ignazio celebra la sua prima messa.

 

1540 - 27 settembre - Paolo III approva la Compagnia di Gesù con la bolla Regimini militantis Ecclesiae.

 

1545 - 1563 IL concilio di Trento fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa. L'opera svolta dalla Chiesa per porre argine al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero produsse la controriforma.

Con questo concilio la Chiesa cattolica rispose alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo. Nei 18 anni che durò, con lunghe interruzioni, di fatto ne sancì la separazione politica e teologica.

 

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BIBLIOGRAFIA

Ignazio di Loyola – Autobiografia (La Civiltà Cattolica)

Ignazio di Loyola – Esercizi spirituali (Ed. Città Nuova)

Ritratti di santi (A.M. Sicari - Jaca Book)

Cathopedia, l'enciclopedia cattolica

Wikipedia

Vatican News

Articoli vari da siti internet

 

 

ALTA MODA A ROMA

Made in Italy è il titolo di una serie tv ambientata nel mondo della moda, a Milano, nei primi anni Settanta, che racconta il passaggio dall’haute couture al prêt-à-porter. 
Made in Italy, oltre ad essere il titolo della serie è anche sinonimo immediato di qualità, traduzione in etichetta di valori e atmosfere italianissime. Nella serie, l’intuizione della capo servizio della rivista di moda inventata Appeal è quella di dare visibilità alla moda italiana e ai suoi (primi) stilisti, non sempre e ancora ai francesi – storce il naso ogni volta che le propongono l’ennesima copertina di Chanel o Saint Laurent.

Ma cosa succedeva, qualche decennio prima, a Roma? Non ci hanno ancora fatto una serie (speriamo di vederla presto) ma nasceva l’alta moda italiana. Anche in questo caso la dialettica con i francesi era accesa. Parigi dettava legge in fatto di stile ma negli anni Cinquanta, sui giornali italiani, iniziò la 
Guerra alla Senna, una ribellione alla dittatura stilistica francese, per proporre una propria visione di stile. Un indizio è il “vestito all’italiana” realizzato in velluto, l'unica stoffa prodotta nelle fabbriche di Genova e Vaprio, che celebrava la tradizione artigiana. Un altro indizio: l’italianizzazione del dizionario della moda - il tailleur diventa completo a giacca, il golf panciotto a maglia, pois pallini, paillettes pagliuzze, volants volanti (!).
Il centro di questa "rivolta di stile" era Roma.

La moda romana era (ed è, tutt’oggi) legata indissolubilmente alla scenografia, al cinema, era la Hollywood sul Tevere: la moda era lanciata nei film, le attrici erano le influencer di quel tempo.
La Mangano con la sua bellezza primitiva indossava cappelli di paglia e calze nere, la Lollo abiti sdruciti e aderenti, nastrini fra i capelli, la Loren cinture alte ballando il mambo.
Ogni stilista aveva le sue dive di riferimento. Quella delle Sorelle Fontana era Ava Gardner che vestiva Fontana nella vita privata come sul set. Per lei confezionarono il 
Pretino, un abito dalla linea talare, riprodotto da Piero Gherardi per Anita Ekberg in una scena de La Dolce Vita.
Schuberth, apprendista presso la sartoria Montorsi, nel 1938 aprì una modisteria al numero 145 di via Frattina, poi un atelier. I suoi abiti traboccavano di sfarzo e ricchezza, opulenza ottocentesca e glamour hollywoodiano.
Seguiva procedimenti originali - accostava spago e filo di seta, paglia e strass e dava alle sue creazioni nomi strani tipo “Schuberth ha sognato Chopin”, “La nonna aveva ragione”, “Estate al polo”.
Roberto Capucci faceva parte della generazione dei grandi sarti architetti con il suo atelier in via Sistina, debuttò nel 1951, a soli 21 anni. In antitesi al new look di Dior, il suo abito-scatola geometrico era una forma elaborata e cava da abitare.

Fibre sintetiche e high tech - abiti rivestiti in plastica trasparente ornati di plexiglass (oggi non si potrebbe, siamo plastic free). Come non si potrebbe accettare la pelliccia ovunque, presentata anche nelle collezioni estive - bolero di volpe argentata ed ermellino, cappe di talpa.

La costellazione di artisti-sarti romani è ricchissima: Maria Antonelli, la prima a fare una linea sportswear negli primi anni Sessanta, Simonetta Visconti, The Glamorous Countess adorata dagli americani, Carosa e Gabriella di Robilant. Renato Balestra, Rocco Barocco, Fausto Sarli. Questi furono i primi nomi a rendere famosa la moda romana nel mondo. L’espansione che la moda italiana conobbe negli anni Cinquanta e la sua definitiva affermazione sulla scena della couture internazionale non è semplicemente l’esportazione di uno stile, di una cultura materiale, ma l’espressione di una sensibilità e di una sapienza artigianale. Oggi la moda italiana è soprattutto a Milano – l’hardw
are – ma parte della sua sostanza, della sua linfa vitale, continua ad arrivare dalla capitale. Roma conserva la sua identità mista di haute couture e micro-realtà artigiane. Basta pensare ai designer più stimati del momento: Alessandro Michele che ha rilanciato Gucci - nato a Roma, viene dall’Accademia di Costume e Moda, voleva fare lo scenografo. Studia Roma, i suoi luoghi, il suo passato, le sue creazioni sono piene della sua città. Pier Paolo Piccioli ha dato nuova luce a Valentino – anche lui nato a Nettuno, Valentino fa parte della sua cultura, della sua storia. Una casa di alta moda significa persone, dice lo stilista. Significa approccio personale. E questo è importante ora come lo era negli anni Sessanta. Le sue parole sono sostanziate dal suo profilo Instagram: nelle sue Stories si vedono le sarte con i loro nomi, le loro mani e i loro strumenti. A Silvia Venturini Fendi e alla maison romana - l’ultima sfilata The Dawn of Romanity al Tempio di Venere ha restaurato e celebrato Roma nella sua eterna gloria, proprio rielaborando il fascino cinematografico della donna romana. Roma non riesce ad amministrare sempre al meglio la sostanza che la anima (tanta) ma ispira e passa la sua storia. Questa storia può essere presa e riportata in vita non come uno zombie o Frankenstein ma a nuova vita, inserendola nel contemporaneo, facendola tornare presente. È proprio nella contaminazione dei tempi che l’alta moda può continuare ad essere, a fiorire. E lo si può fare attraverso la formazione, tramandando il sapere, un sapere unico che rischia di andare perduto. Questa artigianalità, questi valori, sono custoditi dentro le stanze di realtà che vivono dagli albori della moda in Italia. L'Accademia di Costume e Moda di Roma è la culla di tutto questo, dove giovani designer sperimentano sulla loro pelle, fra le loro mani, passato e futuro, storia e ricerca. Anche gli stessi brand si fanno carico di insegnare ai propri designer e ad aspiranti stilisti il loro saper fare: Fendi, insieme all’Accademia Massoli, vuole formare una nuova generazione di artigiani specializzati. Il brand collabora con la Sartoria Massoli che oggi ha 34 dipendenti, dal 1982.

La contaminazione fra piccole realtà artigianali romane con brand di moda affermati è un'altra pratica virtuosa. Molti brand, fra i più famosi nel mondo della moda, trovano in queste micro-realtà radicate, antiche, un posto dove fare ricerca e trovare ispirazione. Le parrucche di Rocchetti&Rocchetti utilizzate per vetrine e campagne, i ricami di Niccoli, i guanti di Alberto Merola. Annamode e il suo archivio sterminato - il brand ha appena presentato anche una sua collezione primavera estate a Parigi e New York, collezione che reinventa capi d'archivio cinematografico. Cosa resta dell’alta moda italiana? Restano i mestieri che sopravvivono al mondo di cui erano espressione, lingua. Roma è la casa di questa lingua, resta un luogo che plasma, ispira, costruisce. L’alta moda non è morta, è eterna come la città in cui è nata. Si traduce nei valori che l’hanno creata e questa espressione, questo linguaggio, non aspetta altro che essere preso e messo in forma, di nuovo.

 

2024-01-14 ITINERARIO VERDE

 

ITINERARIO VERDE
(Liberamente tratto da: Francesco Rutelli, “Roma, camminando” – Laterza)

Vi propongo un esperimento: una camminata interamente dedicata al verde nella storia della città.
[Francesco Erbani] Nei cinque secoli precedenti al 1870, l’area dell’ansa del Tevere, Via Giulia, Giulio II col suo architetto Bramante, e via della Lungara dall’altra parte del fiume, sarebbe dovuta essere il centro monumentale della città. Cambiano papi, cambiano architetti. Fine ‘500 la Roma di Sisto V con Domenico Fontana, via Sistina, via Merulana. Primi ‘800 Napoleone, prefetto Camille de Tournon, due grandi aree verdi, una da piazza del Popolo a Ponte Milvio, e l’altra da piazza Venezia all’Appia antica. Di questo piano resta ben poco, ma c’è l’embrione di quella che oggi è la Passeggiata Archeologica, e a piazza del Popolo i due emicicli del Valadier.  Qui l’assetto è quello voluto dal prefetto. Il secondo periodo delle trasformazioni è dopo il 1870 verso est, dal Quirinale in direzione della piccola stazione Termini, vengono realizzati i Ministeri, i quartieri residenziali ma anche di edilizia popolare, come in Prati, piazzale degli Eroi, Testaccio, Garbatella, città Giardino sotto Nathan (uno dei migliori piani regolatori) con strade e marciapiedi larghi, sistema radiale, gli assi…
Nell’anno 0 Roma aveva un milione di abitanti, nell’anno 1000 35,000. Negli  anni ’80 del ‘900, 2.700.000, oggi 2.800.000.
Anni ’60 boom demografico, abusivismo (Insolera) endemico. Un terzo di Roma è abusivo. Non più di necessità ma di speculazione. Piaga costata tantissimo per raggiungere questi brandelli senza illuminazione, marciapiedi, spazi comunitari, luoghi di raduno insomma.
Immaginario di Roma influenzato dall’antico, fase repubblicana e imperiale. Grande vuoto fino al 1870. Diderot, D’Alambert denunciano la trascuratezza dei rioni, il sudiciume del selciato romano. Molto meno popolata e più povera di Londra e Parigi. Anni ’50 Cinema, Roma di Pasolini, Cederna descrive una città che segue solo fini speculativi…
La decadenza a Roma è chiamata bellezza… (“La grande bellezza”)
“Il Colosseo è come il teschio di Argo: Nelle occhiaie vuote gli nuotano le nubi, ricordo dell’antico gregge”.
Josif Brodskij

    1. VIA DEI QUERCETI (Monumento alla Papessa Giovanna)
Un nome che riflette l’antica fisionomia del Celio (Querquetulanus). Non possiamo partire se non dal Celio, associato a giardini e vigne, di carattere rurale. Dentro il san Giovanni, resti di un complesso per produzione vino, gli antichissimi Horti di Domitia Lucilla.
“A poco a poco, la salita dei santi quattro si fa gradatamente campestre, non sembra più di essere in città” (F. Bellonzi)
Primo tratto di via dei Querceti si chiamava vicus papisse, sulla scia della leggenda della papessa Giovanna (cappellina all’angolo) Racconto di Gregorovius: una bella fanciulla (IX-X sec), figlia di un ags nata a Ingelheim, a Fulda monaco/a, amante benedettino, che muore e lei va a Roma col nome di Giovanni Anglico, modello di perfezione teologica, eletta papa, resta incinta, in processione a fra Colosseo e san Clemente doglie, partorisce maschio e muore, sepolta lì, i Romani le erigono statua con corona pontificia e bimbo in braccio. Da allora, sella stercoraria da cui si poteva vedere da sotto del sedile di marmo in Laterano il sesso maschile del papa eletto.

    2. ARCO DI DOLABELLA, SS. QUATTRO (Via Claudia)
Qui cominciava la Tuscolana. Sopra domus antica. Abside robusto con caratteri strutturali romani, tardoantichi, carolingi, romanici e rinascimentali. Nell’Aula Gotica c’era un tribunale della curia. Interno basilicale con matronei e ciborio, cripta e oratorio s. Silvestro, un catalogo che descrive il rapporto tra Costantino e papa Silvestro cui Costantino da’ mandato. Ciclo di metà duecento, statico, ripetitivo, con cornice fitomorfa, ossia con fregio in forma vegetale.
Monache agostiniane, chiostro duecentesco, archetti con doppie colonnine e capitelli a foglie acquatiche, e giardino. Affreschi Aula Gotica (vedi sito per visite): 12 mesi dell’anno, vizi e virtu’, arti, talamoni, stagioni, costellazioni, sole e luna, paesaggio marino. Decorazioni a tralci, cigni, gazze, pappagalli, fagiani. Rapporti tra umani di otto secoli fa e Madre Terra.
    3. CELIO
Aggirato l’ospedale del Celio attraversiamo l’arco di Dolabella e Silano (ricostruzione in travertino dell’antica Porta Celimontana), parte di mura serviane, utilizzato a sostegno dell’acquedotto neroniano diramazione di quello Claudio per portar acqua alla Domus Aurea. Entriamo a villa Celimontana, antica Vigna Mattei dove Filippo Neri nel ‘500 dava ristoro ai pellegrini delle Sette Chiese. Sotto, Aranciera di san Sisto.
3 bis – Passaggio a Via del Fagutale.

    4. PORTA CAPENA
Scendiamo a Porta Capena (non c’è piu’), entriamo nel Circo Massimo percorrendo la Valle Murcia, tra Palatino e Aventino.  Fino a 300,000 persone, massima concentrazione di popolazione romana, saliamo da Mazzini.
Già Plinio il Vecchio (Naturalis Historia) parlava di terra nostra madre che il desiderio di sfarzo dei Romani portava a distruggere. Inquinamento lampade a olio e fornaci industriali.

Quanto era verde Roma? Non c’era piano regolatore, solo le maggiori famiglie realizzavano horti, giardini (scipionis, luculliani, pompeiani, caesaria, sallustiani, agrippae, Maecenatis). Dapprima esterni alle mura (salvo Cesare e a ltri) e poi dopo Augusto urbani. Spariranno i luci, piccoli boschi urbani dal significato sacro o simbolico, come quello di Vesta, o il lucus Libitinae (vicino piazza Mazzini) che persiste ed era legato alla conservazione dei registri dei morti.
    5. ROSETO COMUNALE
Andiamo al Roseto Comunale e giardino degli Aranci. Uva e alberi da frutto nel regime alimentare della Roma tardomedievale: cavolo e lattuga, rucola, portulaca, spinaci rape carote finocchio zucche, cipolle, agli, scalogni e porri, erbe aromatiche, senape, prezzemolo comune e coriandolo; medicinali, il senecione, emolliente e antiemorragico.

Il Roseto nasce 1932 sul colle Oppio; qui sull’Aventino era l’Orto degli Ebrei, con un piccolo cimitero fino al ’34. Dopo la distruzione di quello di colle Oppio durante la guerra, nel’50 l’area assunse forma simbolica di menorah, il candelabro. Rose vincitrici del premio Roma, annuale. Oggi oltre 1,100 specie da tutto il mondo.
    6. GIARDINO DEGLI ARANCI – CLIVO ROCCA SAVELLA
Parco degli Aranci o Savello, era l’orto del convento dei Domenicani di s. Sabina. Nome dall’arancio presso il quale predicava s. Domenico.

Scendiamo dal romantico clivo di Rocca Savella. Il nome ricorda struttura del 1000 costruita dai Crescenzi. Traversiamo il fiume da ponte Palatino e camminiamo sulla banchina destra, controcorrente, superando l’Isola Tiberina, ponte Garibaldi e ponte Sisto.
    7. VILLA CHIGI – VIA DELLA LUNGARA
Arriviamo a Villa (Agostino) Chigi (banchiere, ricco anche per la concessione dell’allume, fondamentale per la tessitura, sui Monti della Tolfa), di Baldassarre Peruzzi (entrambi senesi). Poi la villa passa ai Farnese, poi ai Borbone, poi passò allo Stato (Accademia d’Italia, poi dei Lincei). Accanto, John Cabot University.

Nella loggia a cinque arcate gli affreschi della favola di Psiche (dall’Asino d’Oro di Apuleio) eseguiti su cartoni di Raffaello da Giulio Romano. Nella Sala di Galatea, Galatea sul cocchio tirato da delfini di Raffaello, affreschi di Sebastiano del Piombo e soffitto di Peruzzi. Nel giardino all’italiana, lungo la Galleria dei lauri è incisa la frase “Per te che vieni qui: ciò che ti sembra brutto è per me bellissimo. Se ti piace, rimani; se non ti piace, va pure via; comunque grazie”. Chigi non la definiva “villa” ma “viridarium”, luogo verde suburbano, con agrumeti, innesti, siepi, vigne e grotte sotterranee. (Mercurio indica fico aperto penetrato da una zucca a forma di pene).

Camminiamo ora a via della Lungara verso Porta Settimiana, e a destra di Palazzo Corsini arriviamo a largo Cristina di Svezia entrando nell’Orto botanico, qui dal 1883, con 3,500 specie su 12,000 mq. La parte pianeggiante era, prima, il giardino di Palazzo Corsini con l’orto dei semplici pontificio. 


Roma, 21 aprile 2024


 

Vedi Roma in Bici

 


Le Olimpiadi del 1960 all’EUR

 

svolta nello sviluppo urbanistico della città”

 

Filippo Topa


 

Prima tappa (Metro Palasport – viale America)

Un poco di storia

La scelta di Roma fu decisamente simbolica perché coniugava le Olimpiadi dell'Era Antica con quelle dell'Era Moderna. Dopo la conquista della Grecia da parte di Roma (146 a.c.), soprattutto in Età Imperiale le gare Olimpiche vennero spesso disputate a Roma e non più ad Olimpia, il tutto fino al 393 dopo Cristo, quando l'Imperatore Teodosio pose fine a questa tradizione.

Il barone Pierre de Coubertin alla fine del XIX secolo ebbe l'idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell'antica Grecia, le prime Olimpiadi dell'era moderna si svolsero ad Atene nel 1896.

Roma si era già candidata ad ospitare i Giochi del 1904, tenutisi però a Saint Louis, ed avrebbe dovuto ospitare quelli del 1908, tenutisi però poi a Londra dopo che il governo italiano rinunciò alla loro organizzazione per via dell'eruzione del Vesuvio del 1906.

Benito Mussolini avrebbe voluto far ospitare a Roma anche le Olimpiadi del 1944, ma la Seconda Guerra Mondiale non fece disputare quei giochi. Tuttavia, alcune strutture, come il Foro Italico, all'epoca Foro Mussolini, vennero costruite.

Nel 1955 il CIO (Comitato Internazionale Olimpico), riunito a Parigi, fu chiamato a decidere quale città avrebbe ospitato i Giochi Olimpici Estivi del 1960.

Le città candidate a ospitare il prestigioso evento erano otto: Roma, Losanna, Detroit, Budapest, Bruxelles, Città del Messico, Tokyo e Toronto. La prima delle otto città a tirarsi indietro fu Toronto, che non partecipò neanche alla votazione.

La prima votazione servì a scremare il numero di candidati, lasciando solo quattro città: Roma, Losanna, Detroit e Budapest. Tra le città escluse, tuttavia, Tokyo avrebbe ospitato le Olimpiadi del 1964, che ospiterà anche quelle del 2020, e Città del Messico quelle del 1968.

Alla fine, alla terza votazione, dopo l'esclusione di Budapest, prima città del Patto di Varsavia a correre per ospitare le Olimpiadi, e di Detroit, i Giochi del 1960 furono assegnati a Roma nella votazione finale con Losanna.

Contesto Italiano del periodo

Lo sport italiano era uscito molto provato dalla Seconda Guerra Mondiale, ma grazie a numerose iniziative riuscì ad avere una rapida ripresa. Il Primo Ministro Alcide De Gasperi ed il suo Sottosegretario Giulio Andreotti avevano favorito lo sviluppo del CONI, mettendovi a capo Giulio Onesti che prima riuscì a far ottenere all'Italia l'organizzazione dei Giochi Invernali del 1956 a Cortina d'Ampezzo e, successivamente, quelli di Roma del 1960.

Nell'Italia del boom economico, anche lo sport stava crescendo insieme al resto dell'economia del Paese.

Principali infrastrutture non sportive realizzate

In vista delle Olimpiadi, a Roma era stata completata la prima linea metropolitana (l'attuale Linea B), che dalla Stazione Termini raggiungeva il nuovo quartiere dell'EUR. Al tempo stesso, si lavorò per ammodernare le strutture sportive già esistenti e costruirne di nuove. Anche il nuovo Aeroporto di Fiumicino venne realizzato per l'occasione, e una nuova strada a Ovest, che attraversava Villa Pamphilj e raggiungeva il Foro Italico, venne tracciata, oggi è infatti nota come Olimpica.

La piscina delle Rose

La piscina delle Rose è un impianto per sport acquatici che si trova a Roma nel quartiere dell'EUR; progettata nel 1958 e ultimata nel 1960 in occasione dei giochi olimpici, fu destinata a sede degli allenamenti degli atleti del nuoto e a ospitare alcuni incontri delle fasi eliminatorie del torneo olimpico di pallanuoto.

Ristrutturata nel 2007, ospita oggi anche una palestra ed è utilizzata anche come centro di ricevimenti e ristorante.

La piscina delle Rose fu ideata nell'intento di fornire, nel settore sud di Roma, una struttura acquatica di rinforzo a quella già esistente nella zona nord, al Foro Italico; già l'EUR era stata destinata a ospitare il Palazzo dello Sport, il Velodromo Olimpico e il complesso sportivo delle Tre Fontane, e fu quindi naturale prevedere in tale settore una struttura per il nuoto, la cui collocazione definitiva fu individuata nelle immediate vicinanze del laghetto artificiale che sorge al centro del moderno quartiere romano.

L'ottica nella quale la piscina delle Rose fu ideata era quella di fornire, anche a Giochi ultimati, un impianto fruibile dalla cittadinanza e adattabile anche a future esigenze agonistiche. Progettato dall'architetto Sergio Buonamico e dagli ingegneri Guido Gigli e Giorgio Biuso (quest'ultimo all'epoca direttore dei servizi di architettura e urbanistica dell'Ente EUR), il quale ne curò anche la fase realizzativa, l'impianto, costruito in cemento armato, consiste di una vasca regolamentare di 50 metri di lunghezza per 25 di larghezza, con una tribuna fissa di 2 000 posti cui ne fu aggiunta una, per la durata dei Giochi, di ulteriori 1 850 posti. Furono previsti quattro torri d'illuminazione per gli incontri notturni, e l'impianto fu dotato anche di un moderno sistema di depurazione dell'acqua.

L'ingresso del complesso è all'estremità nord-occidentale di viale America, e la piscina si trova a circa 8 metri più in basso del piano di tale strada; adiacente a essa fu realizzato un solarium decorato con composizioni floreali tra cui quelle di rose, dalle quali derivò il nome dell'impianto.

Il costo totale dell'impianto fu di circa 90 milioni di lire dell'epoca; durante i Giochi la piscina ospitò le gare dei gironi di qualificazione del torneo olimpico di pallanuoto.

Nel 2007 l'impianto andò incontro a lavori di ammodernamento e nell'occasione furono realizzati una piscina coperta e un ristorante; la struttura, di proprietà dell'ex Ente EUR (oggi EUR S.p.A.) e affidata in gestione a un consorzio privato, ospita anche un club di canottaggio e di canoa, le cui attività si tengono nel limitrofo laghetto artificiale.

Seconda tappa (Velodromo – via del Ciclismo)

Il velodromo olimpico

Il velodromo olimpico era un impianto sportivo di Roma adibito a corse ciclistiche su pista, fu inaugurato nel 1960 in occasione dei Giochi della XVII Olimpiade. Capace di più di 17 660 posti a sedere, rimase inutilizzato dal 1968 e fu demolito nel 2008. Il suo abbattimento fu oggetto di indagine giudiziaria, in quanto fu ventilata l’ipotesi di disastro colposo per via dell’amianto liberato nell’aria in occasione dell’esplosione che distrusse l’impianto.

A causa delle vicissitudini giudiziarie di EUR S.p.a., proprietaria del terreno su cui sorgeva l’impianto, qualsiasi tentativo di riqualificazione dell’area non ha avuto alcun seguito: il più recente piano, del 2017, è in attesa di sviluppi.

Il progetto del velodromo olimpico di Roma risale alla fine del 1954, quando il CONI istituì un concorso per la realizzazione di tale opera, il che costituì un unicum tra tutti gli impianti previsti per i Giochi Olimpici del 1960.

L’area individuata per la costruzione del velodromo fu nel quadrante sudorientale dell’EUR, quartiere a sua volta situato in quella che all’epoca era l’estrema periferia meridionale di Roma e già destinato a sede di un'altra attrezzatura olimpica, il palazzo dello Sport (opera di Marcello Piacentini realizzata da Pier Luigi Nervi); il terreno dove l’impianto era previsto era un lotto trapezoidale compreso tra viale del Ciclismo, viale della Tecnica, viale dell’Oceano Pacifico e viale dei Primati Sportivi.

Non esistendo né una configurazione-standard né una lunghezza di pista predefinita, le specifiche di concorso furono piuttosto libere e riguardarono soprattutto l’agibilità dell'impianto, la visibilità da ogni ordine di posti e il collegamento con la viabilità esterna onde permettere l’arrivo in linea di eventuali corse ciclistiche su strada. Di fatto l’unico vincolo fu la natura della pista, da realizzarsi in legno.

Il bando del CONI vide la partecipazione di 30 progetti tra i quali, al termine della selezione, risultò vincitore quello di Cesare Ligini, Dagoberto Ortensi e Silvano Ricci; secondo giunse un progetto di Antonio Nervi (figlio di Pier Luigi); al terzo posto si classificarono quattro progetti a pari merito e a tutti i professionisti che parteciparono alla selezione fu garantito un rimborso spese.


 

Assegnato l’appalto, il progetto vide realizzazione pratica a partire dal 1957; la tribuna coperta sul lato di viale dell’Oceano Pacifico fu costruita su un’intelaiatura di cemento armato, mentre le altre gradinate furono edificate su collinette artificiali di terra riportata.

Particolarmente innovativa fu giudicata, dagli esperti, la soluzione individuata per garantire agibilità e visibilità da ogni posto a sedere: i progettisti, infatti, variarono costantemente l’andamento longitudinale delle gradinate in maniera da mantenerlo, di fatto, sempre in linea con la pista; ogni gruppo di due posti, quindi, si trovava a essere longitudinalmente disassato rispetto a quelli limitrofi, ma sempre sull’asse di miglior visibilità del tracciato ciclistico.

La realizzazione strutturale dell’impianto fu curata dall’ingegnere Francesco Guidi, che seguì anche la direzione dei lavori affidati all’impresa di costruzioni Alarico Palmieri; la pista, lunga 400 metri, fu realizzata completamente in parquet di doussié del Camerun su progetto degli architetti tedeschi Clemens ed Herbert Schurmann e con la collaborazione dell’istituto sperimentale dell'Università di Firenze, diretto dall’ingegnere Guglielmo Giordano, specialista nelle tecnologie del legno. Il costo totale dei lavori fu di poco superiore al miliardo di lire dell’epoca.


 

L'impianto fu inaugurato nell'aprile 1960, a pochi mesi dall'apertura dei Giochi; durante la rassegna olimpica ospitò le gare di ciclismo su pista: velocità e chilometro a cronometro, in entrambe le quali si impose l'atleta italiano Sante Gaiardoni, che nella seconda stabilì anche il record del mondo della specialità con 1’07”18, tandem, che vide vincitori altri due ciclisti azzurri, la coppia Sergio Bianchetto — Giuseppe Beghetto, e inseguimento a squadre, in cui si affermò il quartetto italiano. Il prato del velodromo fu anche sede, insieme allo stadio dei Marmi, di alcuni incontri del torneo olimpico di hockey su prato, compresa la finale.

Il 30 ottobre 1967 il ciclista belga Ferdinand Bracke stabilì sul tracciato del Velodromo Olimpico il record dell'ora su pista all'aperto e a livello del mare, all'epoca fissato in 48,0934 km.

L'ultimo evento ufficiale che ebbe luogo in tale impianto fu il campionato del mondo su pista del 1968, che vide di nuovo la vittoria italiana in una delle specialità, la velocità, ancora a opera di Beghetto, già olimpionico sullo stesso tracciato otto anni prima.

Fin dalla fine degli anni sessanta l’area del velodromo era giudicata instabile, sia per calcoli geologici dell’epoca, sia per il fatto che le tribune insistessero su riporti di terra; per tale ragione esse non ospitarono mai più pubblico dopo i citati mondiali ciclistici del 1968; solo la pista e il campo in erba furono utilizzati per gare o allenamenti di ciclismo e hockey su prato.

Nel corso degli anni furono tentati da parte del CONI, di concerto con l’Ente EUR e il Comune di Roma, diversi progetti di ristrutturazione e riqualificazione dell’impianto, con eventuali aggiunte di destinazione d’uso, in particolare spettacoli e congressi, ma senza alcun esito pratico.

Di fronte a progetti, presentati a partire dalla fine degli anni novanta, che prevedevano la completa demolizione dell’impianto e il suo cambio di destinazione d’uso, furono compiuti tentativi più concreti di preservare e riqualificare l’area. Da uno studio del 2005 del dipartimento d’Architettura dell’Università “La Sapienza” emerse come, nonostante l’abbandono più che trentennale dell’impianto e la supposta instabilità strutturale del terreno, esso fosse «completamente recuperabile in osservanza della legislazione attuale, sia dal punto di vista strutturale e antisismico, sia dal punto di vista della sicurezza alla normativa antincendio, sia in materia relativa alla funzione sportiva», in quanto, rispetto alle ultime rilevazioni effettuate a fine anni sessanta, non sarebbero stati evidenziati ulteriori cedimenti.

Gli autori dello studio, inoltre, miravano a voler mettere in luce l’unicità del citato disegno architettonico e la qualità della pista in legno, usata anche in altri velodromi, e per tale ragione sollevarono di fronte alla Soprintendenza per i Beni Architettonici della Regione Lazio la questione sull’opportunità di porre un vincolo sull’opera, onde evitarne la demolizione, proponendo anche un piano alternativo d’adeguamento (minimale, secondo i suoi autori, considerando che in base alle analisi effettuate esso già rispettava sostanzialmente i requisiti sportivi e di sicurezza richiesti) e di recupero-salvaguardia dell’area.

L’Ente EUR, nel frattempo divenuto EUR Spa, preferì invece effettuare un completo ridisegno dell’area, che prevedeva la demolizione dell’impianto preesistente e l’edificazione di un parco acquatico della stessa forma della vecchia pista di ciclismo con alcune strutture esterne che comunque non avrebbero alterato la fisionomia generale del sito; tale soluzione non mancò di suscitare polemiche, soprattutto in seno al Comitato di Quartiere dell’EUR, che fece notare come, in base ai primi abbozzi di progetto, poi approvato nel corso dell’anno 2008, tutto il disegno dell’area sarebbe stato stravolto; ottenuta una prima ordinanza di demolizione a inizio luglio 2008 l’impianto fu così minato, ma l’autorità giudiziaria fermò l’iter il 23 luglio, il giorno in cui le cariche esplosive avrebbero dovuto essere brillate; il prefetto di Roma Carlo Mosca obiettò tuttavia che per motivi di sicurezza non era possibile lasciare un’area minata del genere (120 kg di tritolo) nel centro del quartiere e, dal momento che la sminatura avrebbe richiesto un mese, ottenne l’immediata demolizione dell’impianto, che avvenne già il giorno seguente all’ordinanza di sospensione, il 24 luglio.

Nonostante la demolizione l’area rimase sotto sequestro giudiziario su denuncia del Comitato di Quartiere; fu permessa solo l’attività di smaltimento delle macerie e, a seguito di ciò, sorsero nuove e più violente polemiche: nel febbraio 2009, infatti, la ditta preposta all’attività di rimozione dei ruderi della demolizione annunciò di aver trovato parti di amianto libero che, peraltro, durante l’esplosione di sei mesi prima, erano state rilasciate in aria. Sull’argomento il consigliere regionale del PD Luisa Laurelli presentò un’interrogazione al consiglio regionale del Lazio il 18 febbraio successivo. Interessato della controversia, il presidente del XII Municipio della Capitale chiese chiarimenti all’ASL di competenza, la quale dichiarò, il 25 febbraio successivo, che già dal 2005 era stato individuato e rimosso amianto dall’impianto, precisando inoltre che eventuali «materiali pericolosi» sarebbero stati ritrovati in un’area «diversa, ma vicina» a quella dove avvenne l’esplosione, ma che comunque non costituivano un elemento di rischio. L’EUR Spa, nel frattempo, aveva annunciato l’ultimazione entro il 2014 del progetto denominato “Città dell'acqua”; il nucleo centrale di tale progetto avrebbe dovuto essere l’Aquadrome, parco acquatico ad alta tecnologia; i responsabili del progetto sostennero che l’aspetto complessivo del nuovo impianto non avrebbe differito sostanzialmente da quello preesistente. Tuttavia i lavori non videro mai la luce, laddove altresì la procura della Repubblica di Roma aprì un procedimento giudiziario per disastro colposo nei confronti di un dirigente dell’EUR Spa responsabile nel 2008 delle attività di demolizione dell’impianto; nel luglio 2012 giunse il rinvio a giudizio del dirigente in quanto imputato di non avere effettuato i necessari controlli e preso le dovute cautele per evitare lo spargimento della polvere d’amianto.

Infine, a seguito di un’inchiesta giudiziaria che portò ad arresti e indagini nei confronti dei vertici di Eur Spa e delle perdite di bilancio della società di gestione del futuro impianto, il progetto della Città dell’Acqua fu di fatto definitivamente accantonato a fine 2014.

Nel 2017 la nuova governance di EUR Spa presentò un piano di riqualificazione che prende esplicitamente le distanze dal precedente progetto di parco acquatico e propone la realizzazione di edifici a cubatura limitata a destinazione edilizia civile mista (90% residenziale, 10% sociale) intorno al perimetro del vecchio velodromo, mentre invece sullo spazio un tempo occupato dal prato di gioco e le tribune non sono previsti interventi edilizi; il piano è in attesa di approvazione.


 


 

Terza tappa (Palazzo dello Sport – Piazzale


dello Sport)

Il Palazzo dello Sport

Il Palazzo dello Sport è stato progettato nel 1956 dall'architetto Marcello Piacentini con consulenza strutturale dell'ingegnere Pier Luigi Nervi e direzione dei lavori del geometra Arcangelo Losso, realizzato tra il 1958 e il 1960 per i XVII giochi olimpici di Roma, la struttura – di proprietà di EUR S.p.A. – ospita da allora eventi sportivi, convegni e concerti. È anche noto come PalaSport o PalaEur dal nome del quartiere in cui è ubicato.

Tra il 1999 e il 2003 fu sottoposto a lavori di ammodernamento e ristrutturazione realizzati dalla ForumNet S.p.A. e finanziati dalla Lottomatica che acquisì il diritto a dare il proprio nome all'impianto, gestito dalla All Events Spa, società del gruppo ForumNet; per tale motivo, fino al 2018, ebbe anche il nome commerciale di PalaLottomatica.

Oltre ad essere stato la sede delle competizioni olimpiche di pallacanestro e pugilato, il Palazzo dello Sport in ambito internazionale ha ospitato un europeo di pallacanestro (1991), due mondiali (1978 e 2010) e un europeo (2005) di pallavolo, e più recentemente è destinato a ospitare le fasi finali dell'europeo 2023.

Dagli anni ottanta al 2020 sede a più riprese del club cestistico della VIRTUS Roma, ospita dal 2021 le gare interne della formazione femminile di pallavolo Roma Club.

Nell'istituendo quartiere dell'EUR 42 – sede designata dell'Esposizione universale in programma per il 1942 ma mai realizzata – era già prevista, fin dal 1937, un'installazione monumentale nell'area sovrastante il Laghetto alla ricongiunzione delle carreggiate della Via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo). L'effetto scenico che avrebbe dovuto scaturirne era quello di «quinta prospettica» per i visitatori provenienti da Roma.

Fu deciso, in tale area, di costruire il cosiddetto Palazzo dell'Acqua e della Luce per il cui progetto furono invitati 16 noti ingegneri e architetti, tra cui Pier Luigi Nervi e Franco Albini. Dalla selezione, indetta nel febbraio 1939, non risultarono vincitori. Al lavoro di Nervi fu assegnato il secondo premio, poi la commissione esaminatrice, diretta da Marcello Piacentini, si assunse direttamente l'onere di realizzare l'opera; Nervi decise di tirarsi indietro e anche la commissione giunse a un nulla di fatto. L'opera non trovò mai realizzazione, complice anche la successiva guerra che fermò tutti i lavori.

Nel 1955 il CIO assegnò a Roma i giochi olimpici del 1960; fu deciso quindi che, nel quadro della costruzione dei nuovi impianti che avrebbero dovuto ospitare l'Olimpiade, nell'area sovrastante al laghetto trovasse sede un edificio multiuso, principalmente destinato alle attività sportive ma aperto anche ad altri utilizzi. Piacentini e Nervi, le cui strade si erano separate quasi vent'anni prima, furono incaricati di redigere il progetto, il primo per la parte architettonica e il secondo per quella strutturale. Il progetto del Palazzo dello Sport, presentato nel 1956, prevedeva un edificio di forma circolare del diametro massimo di poco meno di 100 metri, realizzato completamente in cemento armato.

La costruzione avvenne tra il 1958 e il 1960. La struttura completata presenta due ordini di gradinate per un totale di circa 12 000 posti con ampie luci libere, frutto della realizzazione in cemento armato; le gradinate sono sostenute da pilastri inclinati che fanno anche funzione di sostegno e raccordo con la struttura di copertura: questa, spessa solo 9 centimetri, è anch'essa in cemento armato e ha la forma di calotta sferica. A completare l'opera e mascherare l'andamento curvilineo delle gradinate e l'inclinazione dei pilastri di sostegno, una copertura frontale in cristallo a facciata continua che conferisce al Palazzo la sua tipica forma cilindrica. Tutti i lavori in cemento armato furono realizzati dalla società di Pier Luigi Nervi, la Ing. Nervi e Bartoli. Tra le altre imprese che parteciparono ai lavori del Palazzo dello Sport figurano Siemens italiana, che realizzò l'impianto audio; Solari di Udine, che mise in opera i tabelloni luminosi e i cronometri; Dell'Orto & Chieregatti di Milano, che si occupò dell'impianto di condizionamento; Ilva di Genova e Industria Officine Magliana (I.O.M.S.A.) di Roma per i lavori in metallo; Gazzotti di Bologna, che realizzò la superficie di gioco in parquet.

All'impianto si accede attraverso 16 ingressi disposti lungo la circonferenza del Palazzo, disposti a una distanza di circa 20 metri l'uno dall'altro. Al fine di rendere idoneo l'impianto anche a manifestazioni diverse da quelle sportive (canore, teatrali, etc.), le nervature della calotta interna furono ricoperte di materiale fonoassorbente; ampio risalto fu dato alla circolazione dell'aria nell'edificio, completamente condizionato: furono realizzate ampie luci nelle pareti di tamponamento, e la parte superiore della cupola è sopraelevata a costituire un lucernario che diffonde uniformemente l'illuminazione solare all'interno della struttura durante le ore diurne. Il costo complessivo dell'impianto fu stimato in circa un miliardo e 900 milioni di lire dell'epoca.

L’inaugurazione del Palazzo avvenne il 3 giugno 1960 e già il giorno dopo ospitò il primo incontro di pugilato professionistico, che vide l’italiano Giulio Rinaldi battere il francese Gérminal Ballarin davanti a circa quindicimila spettatori. Dopo le Olimpiadi del 1960 dei cui tornei di pallacanestro e di pugilato fu una delle sedi, il Palazzo fu utilizzato – a parte la sua destinazione principale di sede di eventi sportivi – per gli usi più svariati, tra cui concerti (tra i primissimi quello dei Rolling Stones nel 1970) e congressi di partito (per esempio quello della Democrazia Cristiana del 1976). Dal campionato 1982-83 fino al 1999-2000, inoltre, il Palazzo dello Sport ospitò ininterrottamente le gare interne della Virtus Roma, per poi riprendere tale funzione a più riprese, l'ultima volta nel 2018. Dopo la chiusura per fallimento del club, nella stagione 2020-21 l'impianto rimase inutilizzato ma, dal 2021, è tornato a essere la struttura interna di un club di prima divisione nazionale, la squadra femminile del Roma Club neopromossa in serie A1.

Nel 1999 il Palazzo dello Sport fu sottoposto a lavori di ristrutturazione che riguardarono il consolidamento degli impianti preesistenti e l'adeguamento alle nuove normative di sicurezza. Fatta salva la struttura e l'aspetto globale del Palazzo, i lavori – in carico alla società ForumNet Spa, dal 2000 titolare da Ente Eur della concessione, poi girata ad All Events Spa, dell'impianto per 12 anni – durarono tre anni sotto la supervisione degli architetti Luca Braguglia e Antonello Ricotti; la società di scommesse e lotterie Lottomatica finanziò le opere e acquisì il diritto a porre il suo nome sulla struttura fino a termine concessione. I lavori riguardarono la costruzione di diversi bar e un ristorante, il miglioramento dell'acustica e la superficie esterna all'edificio; sul fronte verso Roma, sovrastante la cascata tributaria del Laghetto dell'EUR, fu realizzata una terrazza panoramica di circa 2 700 m². Sul fronte esterno lungo il perimetro, altresì, l'architetto Massimiliano Fuksas realizzò un'installazione con lampade fluorescenti rappresentanti i numeri del Lotto secondo la smorfia, in tributo al gioco e allo sponsor del Palazzo.

Il nuovo PalaLottomatica, così ridenominato, tornò a ospitare le gare interne della Virtus Roma fino a maggio 2011 allorquando, persa la licenza Eurolega, il club non ritenne di dover più sostenere la spesa di 750 000 euro l'anno per l'affitto della struttura e decise lo spostamento al Palazzetto dello Sport per la stagione successiva. Il primo concerto ospitato nel rinnovato impianto fu quello di Carlos Santana del 20 settembre 2003.


 

Il Palazzo dello Sport è uno dei due edifici multifunzione italiani, insieme al Mediolanum Forum di Milano, facenti parte dell'EAA – European Arenas Association, consorzio che riunisce i gestori delle maggiori strutture coperte d'Europa.

Come detto, il Palazzo dello Sport fu la sede delle gare interne della Virtus Roma, che in tale impianto si aggiudicò il campionato 1982-83 e la successiva Coppa dei Campioni d'Europa, anche se dovette affrontare il rischio di sfratto per divergenze con l'Ente EUR.

In ambito pugilistico, altresì, ospitò tra gli anni sessanta e settanta numerosi e qualificati incontri valevoli per l’assegnazione di un titolo mondiale, aventi a protagonisti professionisti di indiscussa fama quali, tra gli altri, Sandro Mazzinghi, Nino Benvenuti e Bruno Arcari. Nel 1964 fu teatro del primo incontro mondiale tra due pugili italiani, il citato Mazzinghi contro Manca, per il titolo dei medi junior; un anno più tardi, nel 1965, ancora Mazzinghi fu di scena, per la stessa categoria, contro Benvenuti, mentre Burruni incontrò Pone Kingpetch (per i pesi mosca). Nel 1966 si incontrarono Hernández e Lopopolo per i welter junior; Mazzinghi tornò più volte al Palazzo dello Sport nel 1967 contro il Francese Jo Gonzales per il titolo d'Europa e per difendere contro lo statunitense Little il proprio titolo dei medi junior nel 1968. Nino Benvenuti e Luis Rodríguez furono altresì protagonisti, nel 1969, del primo incontro a Roma per il titolo mondiale dei pesi medi e, di nuovo, ivi il pugile istriano disputò il match di difesa del titolo contro Monzón (1970). Ancora, Arcari riportò due titoli dei welter junior WBC, la prima volta nel 1970 contro Adigue e la seconda, un anno dopo, contro Henrique. Tra tali due performance di Arcari, si tenne al Palazzo dello Sport anche il primo incontro mondiale in Italia tra due stranieri, il messicano Vicente Saldívar e il franco-australiano Johnny Famechon, valido per i pesi piuma.


 


 

Fu tra gli impianti che ospitarono due edizioni del Campionato mondiale di pallavolo maschile affidati all'Italia, nel 1978 come Palazzo dello Sport e nel 2010 come PalaLottomatica, di entrambe le quali ospitò la finale che, nel 1978, vide in campo l'Italia, sconfitta 0-3 dall'Unione Sovietica davanti a 18 000 spettatori.

Nel 1991 ospitò invece tutte le gare del campionato d'Europa di pallacanestro, nel quale l'Italia giunse in finale per poi essere sconfitta dalla Jugoslavia.

Il ristrutturato PalaLottomatica ospitò nel luglio 2004 l'edizione di quell'anno della World League di pallavolo maschile, con ancora l'Italia in finale, sconfitta 1 set a 3 dal Brasile; l'anno successivo ospitò diverse gare e la finale del campionato europeo di pallavolo maschile 2005, organizzato congiuntamente da Italia e Serbia: per l'ennesima volta l'Italia fu in campo nella finale, ma in tale occasione se la aggiudicò battendo la Russia 3 set a 2.

Nel 2007, in occasione del NBA Europe Live Tour, il palazzo ospitò due apparizioni dei Toronto Raptors, una contro la sua avversaria di NBA dei Boston Celtics, un'altra contro la Virtus Roma.

Nel quadro del Campionato mondiale di pallavolo femminile 2014, assegnato all'Italia, il PalaLottomatica ne ospitò alcuni incontri, anche se la finale fu assegnata a Milano.

In vista della presentazione della candidatura di Roma quale sede per i Giochi olimpici del 2020, inoltre, il PalaLottomatica fu scelto come sede per la finale del campionato di pallavolo maschile 2010-11, e in seguito si progettò di utilizzarlo in pianta stabile quale sede delle final four di Coppa Italia al fine di promuovere la Capitale come luogo idoneo a ospitare manifestazioni sportive di alto livello.


 

In occasione del campionato europeo di pallavolo maschile 2023, ospitato congiuntamente da Bulgaria, Macedonia, Israele e Italia, il Palazzo dello Sport è stato designato per ospitare la Final Four del torneo, ovvero le semifinali e la finale, che originariamente erano state assegnate a Bologna, alla quale invece è riservata la gara d'apertura del torneo.

Per via delle sue buone caratteristiche acustiche, sia prima che dopo la ristrutturazione il Palazzo dello Sport è stato sede di numerosissimi concerti, sia come eventi singoli che come tappe di tour dei vari artisti. A parte i citati concerti del 1970 dei Rolling Stones (che vide 12 000 spettatori e un incasso di 26 milioni di lire dell'epoca) e del 2003 di Carlos Santana, il palazzo ha ospitato diversi artisti e gruppi italiani e internazionali; a titolo esemplificativo e non esaustivo si citano i Depeche Mode nel 1987 e nel 1990, i Cure ancora nel 1987, Paul McCartney nel 1989, gli Iron Maiden nel 1990 e a seguire anche nel 1995 e nel 1998, i Dire Straits nel 1992 e i Metallica nel 1996 e nel 2009.

Non mancarono gli incidenti: il 14 febbraio 1975, in occasione di un previsto concerto di Lou Reed, il Palazzo dello Sport fu teatro di aspri scontri tra le forze dell'ordine e gruppi di manifestanti che tentarono il boicottaggio dell'esibizione, contestando all'impresario dello spettacolo David Zard di lucrare indebitamente sulla musica e di escludere i meno abbienti dalla sua fruizione; gli scontri furono talmente gravi da provocare seri danni all'edificio e annullare il concerto (riuscì a esibirsi solo Angelo Branduardi, uno degli artisti che dovevano fare da apertura) nonché da indurre tutti i gruppi e i cantanti provenienti dall'estero a rifiutarsi di inserire in calendario, per diversi anni a venire, le città italiane.

Tra gli artisti italiani più assidui figura Renato Zero, presente al Palazzo dello Sport fin dal 1978 in occasione del suo Zerolandia Tour, spesso con più serate nel corso della stessa tournée; la più recente serie di esibizioni è del novembre 2019; tra gli altri gruppi più volte esibitisi al PalaSport figurano i Pooh (una prima volta nel 1990, poi in seguito anche nel 2006 per il tour celebrativo dei loro quarant'anni di carriera e, più recentemente, a novembre 2010), Francesco De Gregori (una prima volta nel 1996, poi nel 2003).

Il PalaLottomatica fu scelto anche dal pianista Giovanni Allevi per tenervi la serata d'apertura del suo Alien World Tour: nel febbraio 2011 la struttura ospitò per la prima volta un concerto per pianoforte solo.

La struttura è idonea a ospitare altri eventi diversi da quelli sportivi e musicali; a titolo esemplificativo, per rimanere nel campo artistico, l’one man show di Enrico Brignano Sono romano ma non è colpa mia (2011); al Palazzo dello Sport sono tuttavia legati alcuni congressi politici che hanno caratterizzato il corso della storia recente italiana.

Si menzionano per esempio il citato congresso della Democrazia Cristiana del 1976 il quale, conclusosi con l'elezione alla segreteria di Benigno Zaccagnini, confermò la politica del partito, negli anni del cosiddetto “compromesso storico”, di svolta a sinistra e l'avvicinamento alle posizioni del Partito Comunista; nel 1986, invece, l'XI congresso della CGIL, che vide le dimissioni dello storico leader sindacale Luciano Lama e l'ascesa alla segreteria di Antonio Pizzinato.

Più avanti, nel marzo 1989, sotto la guida del neosegretario Achille Occhetto, il Palazzo dello Sport fu teatro del XVIII congresso del Partito Comunista Italiano, nel corso del quale fu deciso di creare un nuovo soggetto politico della sinistra italiana e dal quale prese origine il Partito Democratico della Sinistra.

Anche il rinnovato edificio è talora sede di eventi politici: i Democratici di Sinistra ivi tennero il loro congresso del 2005 e, pochi mesi più tardi, anche l'Unione di Centro fu in tale struttura per il suo secondo congresso nazionale.

Quarta tappa (Palazzo dei Congressi – Piazza


John Kennedy)

ll Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi

ll Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, più informalmente noto come Palazzo dei Congressi, è un edificio di Roma che si trova nel quartiere dell'EUR; progettato da Adalberto Libera e iniziato nel 1938, fu completato nel 1954.

Originariamente uno dei progetti più importanti della prevista esposizione universale di Roma del 1942, mai realizzatasi a causa della guerra, era quasi ultimato quando le urgenze postbelliche misero in secondo piano le esigenze architettoniche e di rappresentanza della Capitale, e solo negli anni cinquanta vide il definitivo completamento dei lavori e la sua apertura al pubblico.

In ragione della sua capacità e dei suoi ampi volumi liberi fu destinato anche a ospitare le gare di scherma ai Giochi olimpici di Roma del 1960.

Nel maggio 1936 Roma era diventata la capitale di un impero: in quello stesso anno fu assegnata alla città l'organizzazione dell'Esposizione universale del 1942 e il governo italiano intese cogliere l'occasione per celebrare in tale data sia i fasti del neonato impero che, soprattutto, il ventennale del regime fascista nonché altresì per sviluppare l'urbanizzazione della città lungo l'asse viario che portava al mare.

Nel dicembre 1936 fu varata la legge che istituì l'ente per l'Esposizione Universale di Roma e appena un mese più tardi furono banditi i primi concorsi e diramati gli inviti per l'ideazione degli edifici dell'istituendo quartiere della mostra, che prese il nome di EUR 42 dall'acronimo dell'Esposizione e dall'anno in cui avrebbe dovuto tenersi.

Già ad aprile l'ente appositamente istituito per il vaglio dei progetti aveva deliberato i primi piani; per i palazzi più importanti furono banditi specifici concorsi tra giugno e ottobre di quello stesso anno: il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, il complesso delle Esedre (oggi piazza delle Nazioni Unite), il Museo delle Comunicazioni (oggi Archivio Centrale dello Stato), la basilica dei santi Pietro e Paolo e il Palazzo della Civiltà Italiana (un ulteriore concorso per la costruzione del Palazzo dell'Acqua e della Luce fu bandito un anno e mezzo più tardi ma il progetto non ebbe seguito: al suo posto, nel 1960, sorse il Palazzo dello Sport).

Tra i progetti presentati al concorso figurava — oltre a quello vincitore di Adalberto Libera — quello dei comaschi Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Pietro Lingeri, che si classificò al secondo posto; l'esclusione di questi ultimi spinse Giuseppe Pagano a parlare nel 1941 di «occasione perduta» e a criticare l'operato della commissione («…era così concorde il giudizio della maggioranza sui progetti più vistosamente affidati al compromesso, che ogni lotta per salvare i migliori poteva rasentare l'assurdo di una fissazione paranoica»).

L'approvazione definitiva dei progetti del Palazzo della Civiltà Italiana, della Piazza Imperiale e del Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi avvenne l'11 febbraio 1938 a opera dello stesso Benito Mussolini e l'inizio lavori fu deliberato nell'aprile successivo; tuttavia, siccome solo a dicembre fu deciso in via definitiva quale tipo di fondazioni adottare, l'avvio effettivo dei lavori fu solo nel 1939.

Nonostante i vincoli imposti dal regime fascista, che nell'EUR vedeva la prima, vera grande occasione di creare ex novo una propria cifra architettonica che richiamasse esplicitamente i fasti imperiali di Roma, il progetto di Libera, pur se parzialmente sottostante alle direttive governative, è anche quello che da esse figurò più intellettualmente indipendente: Libera infatti, evitando il monumentalismo accentuato del Palazzo della Civiltà Italiana o della citata esedra, riuscì a concepire un volume capace di sottrarsi alla datazione del proprio tempo; l'unica struttura che tradisce l'epoca di origine del manufatto è il colonnato frontale che l'architetto, nel cambiato clima culturale del dopoguerra, affermò di non aver potuto evitare di costruire nonostante i suoi tentativi. Anche lì, tuttavia, Libera riuscì a elaborare una soluzione che, se pur parzialmente compromissoria, tolse preminenza alla funzione della colonna e la pose quasi in secondo piano, riducendo tale elemento a una specie di pilastro rivestito in travertino con compiti più di sostegno che ornamentali. In un suo studio del 2002 Garofalo rileva che la monumentalità del prospetto sarebbe stata accentuata dall'eventuale posa in opera, mai realizzata, della scultura di una quadriga di Francesco Messina sulla mensola in aggetto realizzata al centro della facciata; per Quilici la realizzazione, tuttavia, comprova l'inattualità del «tentativo di Libera di porre le basi di una nuova, moderna, architettura di Stato».

Nella sua realizzazione definitiva il Palazzo dei Congressi è, essenzialmente, un cubo di 45 metri per lato che definisce al suo interno un volume libero: i corpi scala, così come i ballatoi, sono adiacenti alle pareti interne del cubo; tale volume emerge da una base a forma di parallelepipedo che comprende il frontale con il colonnato, aperto verso l'attuale piazza John Fitzgerald Kennedy, l'ampio atrio largo più di 60 metri, i volumi di servizio e, sul retro, un auditorium. La copertura dell'elemento principale, la sala dei Ricevimenti propriamente detta, è una volta a crociera ribassata le cui nervature sono costituite da due travi Vierendeel metalliche ad arconcrociate a 90º e disposte lungo le diagonali del quadrato di base del corpo di fabbrica. La struttura metallica sorregge travi secondarie e un solaio tipo Perret, mentre il manto di copertura è in rame. L'auditorium, chiamato spesso aula magna o Sala dei Congressi, è costituito altresì dal succedersi di 13 telai in cemento armato di 28 metri di luce che sorreggono una soletta, anch'essa di cemento armato, e le sovrastanti gradinate di teatro all'aperto. Il fronte secondario è costituito da un'ampia vetrata arretrata, alta 10 e larga 65 metri, sorretta su pilastri metallici fusiformi che forse doveva caratterizzare, nelle intenzioni di Libera, anche il fronte principale.

La realizzazione in cemento armato del palazzo, costruito dall'impresa Bassanini s.i.c. di Milano, è mascherata dal rivestimento murale interamente in travertino, il che conferisce all'opera quel carattere di monumentalità richiesto dalle direttive fasciste in fase di ideazione del quartiere. Dal punto di vista urbanistico il Palazzo dei Congressi costituisce l'estremo sud-orientale di uno dei tre assi trasversali che tagliavano la Via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo) e che avrebbero dovuto marcare le varie sezioni tematiche dell'Esposizione; più precisamente, venendo da Roma, il Palazzo sorge sul primo di tali tre assi, quello che all'estremo opposto si conclude con il Palazzo della Civiltà Italiana (gli altri due sono l'attuale viale della Civiltà Romana, all'altezza di piazza Guglielmo Marconi, e viale Europa, dalla basilica di ss. Pietro e Paolo all'Archivio Centrale dello Stato.

La costruzione del Palazzo dei Congressi, almeno nei suoi elementi fondamentali, nel 1943 era ultimata; tuttavia lo spostamento del fronte di guerra, che aveva lasciato Roma fuori dagli eventi bellici fino all'Armistizio, fermò di fatto qualsiasi lavoro; in seguito gli edifici dell'EUR all'epoca già completati servirono dapprima come accampamento per le truppe tedesche, poi alleate e infine, nell'immediato dopoguerra, come rifugio di sfollati.

Dopo la guerra si dovette attendere la costituzione dell'Ente EUR che prendesse in carico le infrastrutture esistenti e riqualificasse la zona, destinata a diventare il punto d'aggregazione direzionale della Capitale. I lavori sul Palazzo dei Congressi ripresero nel 1952; all'epoca, sulla parete di sfondo dell'atrio, era già presente un affresco allegorico di Roma trionfante, opera di Achille Funi; durante i lavori successivi Gino Severini realizzò un dipinto su masonite raffigurante momenti di vita agreste, in tema con la mostra dell'Agricoltura che si tenne nel 1953 nei palazzi dell'EUR.

Nel 1955 il Comitato Olimpico Internazionale, nella sua cinquantesima sessione di Parigi, assegnò a Roma l'organizzazione dei giochi della XVII Olimpiade del 1960; ciò diede lo spunto per completare opere già esistenti e avviare la costruzione di nuove. Furono individuate due zone principali per le gare; una, la zona settentrionale presso il Foro Italico, dove sorgono lo Stadio Olimpico, il Flaminio, quello dei Marmi e quello del Nuoto; l'altra, quella meridionale con attrezzature tutte ancora da realizzare, localizzata proprio all'EUR; di fianco alle strutture nuove progettate appositamente per l'appuntamento olimpico (Palazzo dello Sport, Velodromo, Piscina delle Rose), si decise di utilizzare anche il Palazzo dei Congressi, per usi sia cerimoniali che agonistici.

In fase di definizione del calendario degli eventi sportivi, in virtù delle caratteristiche dell'edificio (come detto, ampi volumi e facilità di accesso), si decise di assegnare al Palazzo dei Congressi lo svolgimento delle gare di scherma.

Fu quindi approntata un'area di servizio consistente in 20 spogliatoi per complessivi 380 atleti e installata una tribuna mobile a cura dell'impresa Cucinotta; furono installate 70 postazioni stampa per complessivi 686 accrediti e, inoltre, la Banca Nazionale del Lavoro, ufficialmente incaricata dei servizi di tesoreria per i Giochi, ivi installò un proprio sportello temporaneo facente funzioni di cassa, ufficio di cambio e altri servizi finanziari.

Il 19 agosto 1960, inoltre, il Palazzo ospitò la cerimonia inaugurale della 57ª sessione del Comitato Olimpico Internazionale.

Le gare di scherma — nelle varietà di fioretto maschile e femminile, spada e sciabola — si tennero dal 29 agosto al 10 settembre 1960 e videro le vittorie, a livello individuale, di Viktor Ždanovič (URSS, fioretto maschile), Giuseppe Delfino (Italia, spada), Rudolf Kárpáti (Ungheria, sciabola) e Heidi Schmid (Germania, fioretto femminile), mentre le squadre che si aggiudicarono la medaglia d'oro furono l'URSS (fioretto maschile e femminile), l'Italia (spada) e l'Ungheria (sciabola).

Il Palazzo dei Congressi è il luogo d'elezione di numerosi eventi tenutisi nel corso degli anni: mostre, seminari, convegni e congressi di partito. Tra questi ultimi si citano a titolo d'esempio il Congresso del Partito Comunista Italiano del 1962 e tre congressi della Democrazia Cristiana, il IX del 1964, l'XI del 1969] e il XII del 1973.

La notte del 10 gennaio 1977 il Palazzo fu oggetto di un attentato, che le forze dell'ordine definirono come «atto intimidatorio» avverso l'imminente congresso del Movimento Sociale Italiano: un gruppo, autodefinitosi nella successiva auto-rivendicazione telefonica alla stampa “Nuovi partigiani”, depositò nella sala dei Congressi tre ordigni esplosivi a base di cloruro di potassio e acido solforico, due dei quali esplosero provocando un incendio che mise a rischio le strutture dell'edificio.

I lavori di ristrutturazione e ammodernamento del Palazzo dei Congressi hanno portato alla valorizzazione di una terrazza con giardino pensile (prevista nel progetto originario) e all'installazione di nuove apparecchiature tecnologiche multimediali nella Sala dei Congressi, adesso capace di ospitare proiezioni cinematografiche, sfilate di moda e altri eventi.

Dal 2002 al 2016 la struttura ospitò annualmente ogni dicembre Più libri più liberi, fiera della piccola e media editoria organizzata dall'Associazione italiana editori.

Il Palazzo è di proprietà dell'ex Ente EUR, oggi EUR Spa, che ne ha affidato la gestione alla società Roma Convention Group S.p.A.

 

 

 

Visita alla necropoli Via Portuense



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