LEGGENDE E RACCONTI
POPOLARI DI ROMA
ROMA E' UNA CITTA' RICCA DI STORIA
MA ANCHE DI LEGGENDE E TRADIZIONI POPOLARI
SCOPRIAMO ALCUNE
INTRODUZIONE
Il termine folclore deriva dall'inglese folk = popolo e lore = sapere e si riferisce all'insieme delle tradizioni arcaiche provenienti dal popolo, tramandate oralmente e riguardanti usi, costumi, leggende, proverbi, musica, canto, danza, riferiti ad un popolo di una determinata area geografica.
Lo studio delle tradizioni popolari e dunque del folclore ha inizio con l'invasione napoleonica dell'Italia, nel neonato regno d'Italia viene avviata una inchiesta su questo insieme di aspetti con lo scopo di estirpare i pregiudizi e le superstizioni che esistevano soprattutto nelle campagne. Gli atti di questa inchiesta e le relative illustrazioni sono custoditi nel castello Sforzesco di Milano.
La prima opera di rilievo, che anticipa di cinquant'anni il metodo scientifico sullo studio del folclore si deve a Michele Placucci, questi nel 1818 pubblica a Forlì "Usi e pregiudizi dei contadini romagnoli", ad esempio si racconta che i contadini romagnoli mangiavano fave nell'anniversario dei morti (2 novembre) perchè si riteneva che questa pianta avesse il potere di rafforzare la memoria e così nessuno dimenticava i propri morti.
L'intellettuale che ha dato poi origine allo studio sistematico, su base scientifica del folclore è stato il medico palermitano Giuseppe Pitrè (1814-1916) che ha condotto una ricerca inusperabile sulle tradizioni popolari siciliane prima e su quelle italiane nel 1894. A lui si deve una rivista che venne pubblicata per 27 anni fino al 1909.
Durante il fascismo questo tipo di studi venne utilizzato dalla propaganda per creare il mito romantico del popolo e per creare una idea di popolo compatta unita sotto i suoi capi.
Dopo la seconda guerra mondiale ebbe grande impatto la pubblicazione dei Quaderni del Carcere di Antonio Gramsci per il quale la conoscenza e lo studio delle tradizioni popolari sono elemento fondante per dare coscienza di classe al popolo ancora lontano dall'istruzione. Scrive Gramsci: "il folclore è la visione del mondo delle classi subalterne, non consideratelo una bizzaria, una stranezza, un elemento pittoresco, ma una cosa molto seria, da prendere sul serio".
A Roma esiste il museo delle Arti e Tradizioni Popolari, è un luogo meraviglioso dove portare i bambini, ma non solo, per conoscere come vivevano i nostri nonni e le ultime generazioni che ci hanno preceduto. Vi sono raccolti gli strumenti del lavoro agricolo e pastorale, i mezzi di trasporto precedenti al motore a scoppio, i manichini con le maschere di Carnevale delle varie regioni e città italiane, le marionette e i pupi siciliani, i manichini con i vestiti tipici delle varie regioni italiane. Vere e proprie opere d'arte sono i presepi napoletani del Settecento. Il museo si trova all'EUR in piazzale Marconi 8.
Oggi lo studio del folclore è materia di studio universitaria sotto il nome di antropologia culturale.
LA LEGGENDA DELLA PAPESSA GIOVANNA
via di San Giovanni in Laterano
rione I Monti e rione XIX Celio
Nel nord Europa viveva una volta un principe che aveva tre figlie. Un giorno in cui era molto triste chiese alla figlia più grande: "Quanto mi vuoi bene?" ed ella "Quanto è grande il mare", poi chiese alla seconda: "Quanto mi vuoi bene?" e la seconda: "Quanto è grande il cielo", infine fece chiamare la più piccola, di nome Giovanna, a cui rivolse sempre la stessa domanda e questa rispose: "Ti voglio bene come al sale". Il padre rimase stupito e irritato, "Ma che risposta è mai questa...", davanti alla ostinazione di Giovanna la cacciò di casa.
Ormai sola e senza nessun aiuto si tagliò i capelli, si sporcò il volto di fuliggine e decise di presentarsi a tutti come un ragazzo. Chiese aiuto ad un convento, qui fu accolta, studiò tanto che in poco tempo divenne il novizio più colto della comunità. Giovanna, ormai per tutti Giovanni, girò per le migliori università d'Europa lasciando meravigliati tutti coloro che la ascoltavano per la sua cultura e la sua saggezza. Un giorno il vescovo di Magonza le chiese: "Qual è per te il dono più prezioso che lo spirito santo può dare ad un uomo?", "E' il sal sapientiae, il sale della sapienza, o Eminentissima Eccellenza" rispose subito Giovanna, ed ebbe subito l'approvazione del vescovo. Così in poco tempo fu nominato vescovo e poi anche cardinale.
Alla morte del papa il Conclave non riusciva a trovare un degno successore di Pietro, stremati da lotte intestine i cardinali deciso di scegliere un uomo di grande dottina, un saggio, quindi il nostro Giovanni-Giovanna.
Una volta entrata in possesso dei suoi poteri, si stabilì in Laterano, si dedicò ai suoi amati studi, licenziò gran parte della sfarzosa corte papale ma tenne presso di se un cameriere giovane e bello a cui faceva leggere le Sacre Scritture quando non voleva stancarsi gli occhi. Questo cameriere si chiamava Montersino. I due entrarono in grande confidenza, al giovane cameriere il Papa sembrava una donna, i suoi sospetti erano iniziati dal momento che appena eletto aveva fatto una legge per cui il Sommo Pontefice si doveva vestire da solo.
I sospetti aumentavano sempre di più finchè un giorno decise di rivolgersi ad un eremita che aveva fama di santità e saggezza. Questi gli disse: "Se vuoi sapere se una persona è uomo o donna, portala in una sala d'armi. Se tira dritto è una donna, se si ferma a maneggiarle è un uomo". E così qualche giorno dopo Montersino disse al papa che i Mori incombevano a largo di Anzio, bisognava controllare l'armeria. Anche qui il Papa si comportò da vero uomo, controllando con attenzione e competenza tutte le armi.
Una sera dopo cena il Papa volle che Montesino gli leggesse un pezzo della Bibbia dove si parla di Giacobbe che lotta con l'angelo ai piedi della scala. Il Papa disse: "L'angelo era femmina sicuramente, poichè ognuno di noi ha un angelo guida di sesso diverso", il cameriere rimase interdetto a tanta sapienza, poi il papa continuò "Il mio angelo sei tu, ad esempio".
Dopo tanto tempo Montersino aveva scoperto la verità, la papessa e il cameriere si amarono a lungo nella stanza segreta del Papa compiendo un sacrilegio e insieme portando a compimento un destino.
Un giorno, durante la processione del Corpus Domini tra San Pietro e San Giovanni, il corpo del Papa cominciò a contorcersi sotto la violenza dei dolori del parto e, proprio sullo stradone di San Giovanni, dove ora c'è una cappelletta, il Papa dette alla luce un papetto, sotto gli occhi sbarrati di ecclesiastici e popolo. Era il colmo della vergogna! La gente pareva impazzita, i sediari abbandonarono la sedia papale, tra le grida e il sangue la papessa Giovanna e il figlio furono linciati sul posto.
Di questa leggenda che si tramanda da secoli vi sono ovviamente varie versioni, anche perchè tutte queste si sono tramandate per via orale. Alcune versioni sono meno truculenti, alcuni narrano che nel finale sconvolgente, in mezzo a tanta confusione la papessa Giovanna, il suo innamorato e il bambino riuscirono a fuggire per non si sa dove.
Un'altra versione dice che si trattava di una bella ragazza inglese e che si era travestita da uomo per amore di un monaco benedettino. La stessa versione dice di essere stata il successore di papa Leone X (papa della famiglia Medici vissuto nel Cinquecento, per la storia il successore fu Adriano VI Florenz) e che una volta eletta prese il nome di Giovanni VII (è un papa dell'VIII secolo, di famiglia di funzionari imperiali).
Sembra che la leggenda sia sorta intorno alla metà del Duecento, nel Quattrocento si credeva che il corteo papale di intronizzazione - cioè la presa di possesso della cattedrale di Roma da parte del nuovo Papa - deviasse per via dei Santi Quattro Coronati per non passare nel punto dello scandaloso avvenimento. La leggenda è accreditata da uno storico Bartolomeo Platina[1] che scrisse: "Fu sepolta senza onori", anche Boccaccio e Lawrence Durrel la raccontarono e fu sfruttata dai protestanti per screditare il romano pontefice. Qualcuno collocò questa papessa Giovanna tra Leone IV (quello che fece costruire le mura intorno al Vaticano dette ancor oggi "Leonine") e Benedetto III.
La cappellina che ricorda il luogo dove avvenne il fatto incredibile e scandaloso si trova vicinissimo a via di San Giovanni in Laterano, esattamente in via dei Querceti angolo via dei Santi Quattro. La cappellina attuale risale al Settecento ed è dedicata alla Madonna.
Via dei Querceti si trova nel rione XIX Celio, prende il nome dall'aspetto arboreo che la zona aveva quando era chiamata Querquetulana. Venne chiamata anche vicus Papisse in onore di una donna della famiglia Papa che aveva delle proprietà nell'area, tale donna condusse una vita esemplare.
La via di San Giovanni in Laterano - per i romani lo "Stradone di san Giovanni" - era originariamente una strada stretta e tortuosa e fino alla fine del 1300 praticamente desolata. Costituiva l'ultimo tratto di quella via Papalis o Papae, ovvero il tratto percorso dal corteo pontificio per la "presa di possesso" che il nuovo Pontefice compiva di San Giovanni in Laterano. Venne ampliata e selciata da papa Sisto V che volle aprire una grande arteria di collegamento tra il Colosseo e il Laterano e poi di lì proseguire fino a San Pietro costruendo un nuovo ponte sul Tevere davanti ai Fiorentini.
SILVESTRO II IL PAPA MAGO
piazza San Silvestro
rione III Colonna
Il monaco Silvestro voleva ad ogni costo conoscere tutta la sapienza del mondo e dell'aldilà. Per questo giunse a Roma, città dove si trovano le reliquie più importanti della cristianità. Per raggiungere il sapere era disposto anche ad un patto con il demonio.
Un giorno passeggiava per Campo Marzio, assorto nei suoi pensieri, pensava alla sua terra, al freddo settentrione, un paese circondato da foreste e pianure sconfinate. Si ricordò di un uomo vecchissimo che viveva come un eremita, era sacerdote di una religione dimenticata, adorava la luna. A lui aveva confidato il suo grande cruccio, questi era rimasto a lungo in silenzio, poi gli aveva detto: "L'ombra ti svelerà il segreto. Cerca l'ombra". Il monaco chiese cosa voleva dire, ma l'eremita ripetè tre volte la stessa frase.
Quello stesso giorno, mentre passeggiava per Campo Marzio, il monaco fu molto colpito da una statua che si alzava in una piccola piazza. Rappresentava un guerriero o un giudice, era difficile dirlo, aveva il braccio destro proteso in avanti e il dito indice puntato a terra. Sull'elmo erano due parole latine: "Percuoti qui". Molti avevano colpito l'elmo, con le mani, con dei sassi, ma niente era successo. Notò che l'ombra del dito a terra era netta e precisa. Fece un segno in quel punto, lasciò passare il giorno e quando si fece notte, quando tutti erano andati a dormine e le strade erano vuote tornò in quella piazzetta. Si era munito di una pala, nel punto dove aveva fatto il segno, iniziò a scavare.
Ma al primo colpo di pala si aprì una voragine stretta e profonda, da essa partiva una scala di cui non si vedeva la fine. Senza alcun timore iniziò a scendere e si trovò in una grande e ricca sala. Al centro di essa sedevano su due troni un re con la maschera d'oro e una regina con la maschera d'argento. Il monaco rimase di sasso. Il re si alzò e disse: "Qui è sepolto il tesoro dell'imperatore Ottaviano. Il sapere che tu cerchi è tutto racchiuso in questo libro nero. Ma tu non puoi toccarlo. Io manderò con te un mio servo Nadir che ti leggerà quelle pagine meno oscure che anche tu, povero umano, puoi capire".
Nadir era vestito da saraceno, aveva un occhio storto, ma per il resto era una persona gradevole.
Poi si alzò la regina che gli diede un anello, era intrecciato d'oro, d'argento e di rame con sopra una stella fatta da due triangoli sovrapposti. Subito il monaco capì che era l'anello di re Salomone, con esso poteva capire il linguaggio degli animali.
Uscito dalla profondità della terra la voragine scomparve. Iniziò la vita del monaco con il servo Nadir. Quando il monaco rivolgeva delle domande a Nadir, questo apriva il libro nero e leggeva alcuni passi che la maggior parte delle volte rimanevano oscure. Ogni volta lo stesso copione: domande sensate e risposte insensate, o almeno così sembrava al monaco.
Un giorno in un giardino dell'Aventino udì alcuni uccelli parlare tra loro: "Silvestro non può rubare il libro nero perchè Nadir lo inseguirebbe ovunque", "Conosce il cammino nelle stelle, nessun essere che cammina per terra o nuota sull'acqua può sfuggirli, Nadir lo ritrova subito".
Silvestro si logorava al pensiero di non poter leggere il libro. Una notte prese una decisione estrema, rubò il libro e fuggì via. Nadir lo inseguì quasi subito, cerca e cerca, non riusciva a trovarlo, cercò ancora e niente. Il monaco si era aggrappato con le mani sotto le arcate di ponte Milvio, in modo da non stare nè sulla terra, nè sull'acqua, pendeva a mezz'aria. Nadir non trovandolo tornò nella reggia sotterranea, dal suo re.
Silvestro si mise a studiare il libro giorno e notte, molti aspetti gli erano oscuri, vi erano profezie incomprensibili, ma c'era scritto come fare per diventare ricchi, come essere validi consiglieri dei potenti, come vedere il passato e prevedere il futuro, come diventare Papa.
Così il monaco si fece eleggere Papa, assunse il nome di Silvestro II. Attraverso il libro nero adesso conosceva le leggi della fisica, quelle che regolano il movimento degli astri, ma aveva perso la sua anima.
A volte aveva delle orribili visioni. Adesso che papa Silvestro, il papa mago, possedeva il sapere, stava peggio di prima, conosceva tutte le brutture del mondo e queste gli pesavano addosso.
Allora decise di pentirsi, implorò pietà. Cominciò a pregare come gli aveva insegnato la madre da bambino. Capì che il bene e il male sono inestricabilmente confusi e che spetta all'anima del singolo distinguerli e fare una scelta.
Quando sentì giungere la sua ultima ora, papa Silvestro II, ormai semplice e buono come un bambino ordinò che appena morto il suo corpo fosse messo su un carro trainato da buoi, là dove il carro non guidato da umani si sarebbe fermato, lì doveva essere sepolto. Il carrò uscì da san Pietro e iniziò a fare il percorso che giunge a san Giovanni, lo stesso della incoronazione del Papa. Quando il carro giunse davanti alla chiesa di San Giovanni improvvisamente si fermò. Il papa mago fu sepolto in quella chiesa in segno perenne del perdono divino.
Nella navata intermedia destra della basilica di San Giovanni si può vedere il cenotafio di papa Silvestro II, opera del 1909. Ne fa parte un'antica iscrizione, si narra che quando si avvicina la morte di un Papa questa trasuda acqua e dal sepolcro si sente uno scricchiolar d'ossa. E' notizia storica che nel 1648, in occasione di lavori di restauro, l'arca venne aperta e il corpo del Papa venne trovato intatto con la tiara in testa e le vesti pontificali, a contatto con l'aria il corpo si dissolse in pochissimo tempo.
Secondo una versione di questa leggenda si narra che un diavolo suo amico gli annunciò che sarebbe morto quando avrebbe detto messa a Gerusalemme. Annullò così il pellegrinaggio in Terra Santa. Ma, avendo interpretato male la profezia, un giorno andò a dire messa in Santa Croce in Gerusalemme edificata sulla terra che proviene dalla Palestina. Segnò così la sua fine, si sentì mancare, fece in tempo a chiedere perdono, la sua fine è quella della versione precedente.
La piazza prende il nome dalla chiesa, eretta sulle rovine del tempio del Sole dell’imperatore Aureliano, da Stefano II e chiamata inter duos hortos perché era circodata da orti o in capite perché vi è conservata la reliquia della testa di San Giovanni Battista. L’aspetto attuale risale al 1595-1601, a Franceso da Volterra e Carlo Maderno. Domenico De Rossi è autore della facciata nel 1703. Il campanile è del 1210. La chiesa è officiata dai cattolici inglesi.
Il palazzo delle Poste centrali che vi affaccia sul lato Nord era già convento annesso alla chiesa di San Silvestro in Capite, adattato dall’arch. Malvezzi, con nuova facciata di gusto eclettico, ispirata a forme quattro cinquecentesche, di Luigi Rosso (1878). La facciata è ornata di eccellenti finestre bifore sovrastate da sei tondi in marmo con i membri di casa Savoia.
Al centro della piazza venne collocata la statua di Metastasio del Gallori, poi spostata ai primi del Novecento in piazza della Chiesa Nuova per motivi di traffico. La piazza è oggi tutt’uno con piazza San Claudio, ma fino agli anni Trenta vi erano dei palazzi che la separavano e furono abbattuti con i lavori di ampliamento del Corso.
Il Comune di Roma, in accordo con Atac, ha realizzato la pedonalizzazione della piazza con lo spostamento dei capolinea ad aprile 2012. Il restyling ha comportato nuovi lampioni in ghisa, sampietrini e panchine. Il costo è stato di 2 milioni di €, il tempo dei lavori – dalla consegna del cantiere – doveva essere di 10 mesi e la piazza doveva essere pronta per il concerto del 31 dicembre ma i tempi si sono dilatati a causa delle polemiche sul progetto stesso di ristrutturazione. La nuova piazza San Silvestro è stata progettata dall'architetto Paolo Portoghesi, autore della moschea di Roma nel 1974, del restauro del borgo di Calcata nella valle del Treja e della reggia di Amman in Giordania. La piazza è pavimentata con sampietrini, mentre al centro in direzione nord-sud c'è un passaggio in pietra serena. Il lato est della piazza presenta dei lunghi sedili in marmo che formano un ovale interrotto in quattro punti. Il lato ovest presenta dei lunghi sedili che formano un rettangolo anch'esso spezzato. L'architetto avrebbe voluto una fontana che è tipica delle piazze di Roma, mentre non sono previsti alberi, e questo è un fatto negativo perchè nelle caldissime giornate estive i sedili e la piazza sono impossibili da vivere. E' rimasto un corridoio per le macchine tra via della Mercede e il Corso, un'altro davanti a piazza San Claudio.
ARTEMISIA
piazza Capo di Ferro rione VII Regola
Viveva tanto tempo fa a Roma una giovane molto bella di nome Artemisia, era la figlia di un famoso pittore, Orazio, che era stato amico e seguace del Caravaggio. In quei tempi il padre era impegnato ad affrescare le sale del palazzo Borghese.
Artemisia crebbe in via della Croce, passava intere giornate nello studio del padre, era la sua modella preferita e posava spesso per lui nelle vesti di angelo. Un giorno quando il padre era uscito si accorse che aveva lasciato sul cavalletto una natura morta interrotta giorni prima: una melagrana che lasciava intravedere i semi vermigli, un liuto appena accennato si appoggiava a un libro aperto. Del quadro c'era solo l'impronta, quasi in trance Artemisia lo completò, nelle pagine aperte scrisse: "Sic transit gloria mundi". Quando il lavoro fu finito Artemisia si chiese cosa avrebbe detto il padre, quel padre burbero, di poche parole, capace di passare anche un giorno senza parlare. L'avrebbe punita? Non c'era la mamma a proteggerla, era morta quando lei aveva cinque anni e i fratelli erano troppo piccoli. Si nascose in un sottoscala, fece buio, il padre non arrivava. Finalmente sentì aprire e chiudere la porta, poi una esclamazione che non prometteva nulla di buono: "Accidenti! Artemisia! Artemisia! Sei stata tu! Dove ti sei cacciata? Vieni fuori!". Si fece coraggio, uscì dal nascondiglio, andò verso il padre e disse: "Sono qui padre, perdonatemi! Non volevo!| Non volevo!". Ma il padre la prese tra le braccia, la baciò, la carezzò e le disse: "Sei un'artista nata! Non dovrai più posare per me, io ti insegnerò tutti i segreti della pittura, hai fatto una meraviglia, io stesso non avrei saputo fare meglio".
Da allora Artemisia divenne l'allieva migliore di Orazio. A quel punto il padre, desideroso di perfezionare la preparazione artistica della figlia, chiamò Agostino Tassi, detto lo Smargiasso, per insegnare la prospettiva alla giovane figlia. Artemisia aveva allora diciassette anni e dell'amore conosceva solo i sogni. Dipingeva le eroine della Bibbia e immaginava di essere una di queste. A volte immaginava di essere la regina di Saba che cerca di carpire, con sorrisi e carezze, al re Salomone i segreti della Divina Saggezza. Altre volte sognava di essere Rachele al pozzo di Charan, dove incontrò Giacobbe per la prima volta e subito lo baciò e non smise di amarlo fino alla fine dei suoi giorni. Giacobbe per poterla sposare fece il servo del suocero per sette anni, ma gli sembrarono sette giorni. Ma la storia che più le piaceva era quella di Ester, la bella figlia di Sion che andò sposa al Re dei Re Assuero. Nonostante il divieto Ester entrò nella sala del trono, quando vide Assuero cadde svenuta. Questi la raccolse da terra, la prese tra le braccia, le baciò gli occhi e la risvegliò con tenere parole.
Quando Agostino Tassi entrò nello studio del padre, fece un triplice inchino e subito ella sentì un brivido. Velocemente imparò la prospettiva. Un giorno Agostino le chiese di dipingere senza un modello, a lei sembrò impossibile, ma lui gli spiegò che sempre quando si dipinge si ritraggono le immagini che la propria mente produce. Pensò che era quello che lei stessa aveva fatto quando aveva completato il melograno.
Una notte Artemisia non riusciva a prendere sonno così decise di uscire di casa per fare quattro passi per via della Croce. Vide avvicinarsi verso di lei un uomo ubriaco, mal vestito, con tre donne di strada. Riconobbe in quell'uomo Agostino. Il giorno dopo Artemisia gli chiese perchè passava le notti in quel modo. Rispose che non c'è differenza tra le donne, una donna onesta è solo una donna che alza il prezzo, per una donna si paga sempre. Allora lui le chiese perchè non si era sposata, le rispose che il padre non voleva. Lui sostenne che il padre era innamorato di lei. A quel punto Artemisia si infuriò dicendo che il padre era onesto, e lui "questo è il suo prezzo".
Ormai Artemisia non dormiva più. Agostino, sempre gentile aspettava, finchè un giorno si gettò ai suoi piedi e le giurò eterno amore. Artemisia era giovane e si innamorò di lui, passarono una notte insieme. Purtroppo presto venne a sapere che il suo amante era sposato con figli, la sua famiglia era a Livorno. Caccio Agostino e nei suoi sogni cominciò a immaginarsi come la Maddalena, la donna perduta che si era pentita. Agostino invece desiderava come un matto la giovane, anzi ora che lei lo aveva cacciato la desiderava ancora di più. Pagò due sicari che per un migliaio di scudi promisero di uccidere la moglie.
Un giorno Artemisia stava ritoccando un quadro in cui si vedeva Susanna al bagno, le teneva compagnia la vicina, sora Tuzia, quando entrò di corsa Agostino Tassi annunciando alla vicina che il figlio maggiore aveva avuto un brutto incidente sul lavoro, era in pericolo di vita, aveva bisogno di lei. Subito sora Tuzia uscì di casa. Così il brutto ceffo ebbe campo libero, afferrò Artemisia, la spinse in camera da letto, le tappò la bocca. Artemisia gli graffiò il viso, gli strappò i capelli, lo morse fino a fargli uscire il sangue, ma non ci fu nulla da fare, con la violenza ebbe ragione di lei. Appena si fu liberata corse in cucina, prese un coltello di grandi dimensioni e si avventò sull'uomo, a tanto lui si aprì la camicia e disse: "Eccomi qua! Colpisci pure! Io ti amo veramente, tu sei solo mia!". Lo colpì di striscio ma non ebbe il coraggio di infierire. Artemisia piangeva perchè non riusciva a distinguere la verità dalla menzogna.
Da allora ogni notte Artemisia sognò di essere Giuditta che taglia la testa di Oloforne per salvare il suo popolo, gli ebrei. Ancora oggi si può vedere una splendida tela a Firenze, negli Uffizi, che rappresenta Oloferne sdraiato nel letto colto nel momento in cui Giuditta gli mozza il capo volto verso gli spettatori. Secondo la tradizione il volto di Oloferne è quello di Agostino Tassi, l'uomo che aveva fatto violenza a Artemisia Gentileschi.
Artemisia Gentileschi (Roma 1597 - Napoli 1652 circa) allieva del padre Orazio, lavorò tra Firenze e Roma e Venezia. Dopo il 1630 fu a Napoli dove ebbe influenza sullo sviluppo della pittura napoletana, soprattutto nella formazione di Stanzioni e Cavallino. Per qualche tempo lavorò a Londra. Fu ottima ritrattista, dipinse quadri religiosi o di soggetto biblico come la Giuditta di cui parla la leggenda oggi agli Uffizi, a Firenze. Una replica del quadro al museo di Capodimonte a Napoli.
Per la sua costante preziosità, il colore della pittrice è più intenso di quello del padre, più vivace il contrasto chiaroscurale come nel "Miracolo di San Gennaro" nel duomo di Pozzuoli. Tra le sue opere più importanti "La nascita del Battista" al Prado, Madrid, "Giuditta con la sua ancella" a palazzo Pitti a Firenze, "Susanna e i vecchioni" a Schonborn, l'"Autoritratto come allegoria della pittura" nella Royal Collection di Windsor.
Negli anni Settanta del Novecento diventò un simbolo del femminismo internazionale a partire dalla notorietà assunta dal processo per stupro da essa intentato, numerosi circoli le furono intitolati. Divenne simbolo di una donna impegnata a perseguire la propria indipendenza e la propria affermazione professionale contro i pregiudizi del proprio tempo.
A Roma nella galleria Spada, nel palazzo omonimo è conservata la tela "Madonna con Bambino" della pittrice. Un'altra sua opera è in palazzo Pallavicini Rospigliosi (sul Quirinale), un suo autoritratto è conservato in palazzo Barberini sede della Galleria Nazionale d'Arte Antica.
Nella piazzetta, compresa tra piazza della Quercia[2] e via Capo di Ferro si trova palazzo Spada. Fatto costruire dal cardinale Capodiferro al tempo di Paolo III da Giulio Mazzoni che ha riempito la facciata di stucchi: statue di personaggi romani, medaglioni, cartigli, armi gentilizie, la lotta tra centauri e lapiti, dei romani, dei marini, rendono questa facciata una delle più pittoresche di Roma. Nella cosiddetta sala del Trono si trova una colossale statua di Pompeo ritenuta quella ai cui piedi venne pugnalato Cesare, ritrovata in via dei Leutari, sugli stalli che sono simili a quelli del parlamento sabaudo di Torino, siedono i consiglieri di Stato perchè questa è la sede del Consiglio di Stato. Il palazzo fu venduto ai Mignanelli quindi agli Spada che nel 1632 lo fecero restaurare da Borromini che vi realizzò la galleria prospettica di poco più di otto metri con in fondo una statua di Marte di soli 60 cm ma sembra un colosso.
LA LEGGENDA DEL PAPA EBREO
via del Portico d'Ottavia
rione XI Sant'Angelo
Ancora oggi nelle case e nei vicoli del ghetto ebraico si racconta la leggenda del papa Ebreo. Tanto tempo fa in Germania, in una famiglia ebraica nacque Yeshuà, figlio di Samuel e di Lia. Era un bambino prodigio, a quattro mesi parlava, a due anni leggeva e scriveva e a tre anni giocava a scacchi con il padre che dopo qualche tempo gli insegnò la "mossa Samuel" inventata da lui stesso, formata da una combinazione di mosse del Cavallo sostenuto dalla Torre. Ma il bambino era veramente un prodigio negli studi, conosceva benissimo la Torah, il Talmud, i Commentari e la Misha. Anche in questo il suo maestro fu il padre, in questi studi molto presto lo superò, perchè gli bastava dare un'occhiata per imparare un lungo brano a memoria.
Sempre intento agli studi per molte ore al giorno, pian piano si accorse che la piccola comunità nella quale viveva non gli bastava più, era diventata troppo piccola per lui. Non c'era più nessuno che lo poteva battere nel gioco degli scacchi, nessuno poteva superarlo nel commentare la Bibbia. I suoi orizzonti erano troppo limitati se continuava a vivere in quel piccolo paese freddo del Nord della Germania. Pian piano il demone della vanità lo assalì, un uomo della sua cultura, della sua intelligenza se fosse stato tra i cristiani lo avrebbero fatto cardinale e forse anche Papa.
Improvvisamente, un giorno, abbandonò la casa del padre senza dire nulla a nessuno. Andò in una grande abbazia dove stava un teologo famoso e disse che si voleva convertire. Aveva da tempo studiato la Vulgata e quindi era in grado di seguire il catechismo, a volte si sostituiva al teologo nel dare spiegazioni dotte. Yeshuà venne ordinato sacerdote, quindi vescovo, infine cardinale. Erano tempi oscuri per la Chiesa, i papi venivano eletti tra i membri delle principali famiglie nobili e una volta assunta la carica pensavano solo agli interessi della propria famiglia. Giunse quindi il giorno che tutti i cardinali si riunirono in Conclave per eleggere un nuovo Papa, ai più sembrò giunto il momento di eleggere quello strano cardinale tedesco sempre dedito agli studi e alle discussioni teologiche.
Diventato Papa il nostro Yeshuà si mise all'opera per mettere ordine nella Curia romana, eliminò i parassiti e gli incapaci, chiamò intorno a se le persone meritevoli e oneste quindi iniziò a governare la Chiesa secondo verità e giustizia.
Giunto a questo punto della sua vita si accorse che lui, abituato a concentrarsi su problemi di estrema difficoltà teorica, era circondato da persone che si dedicavano soprattutto a problemi di politica e diplomazia. Sentì un grande senso di vuoto. Gli mancava tanto non poter disporre di un valido avversario nel gioco degli scacchi, gli mancavano i piatti che gli cucinava la madre, donna umile e buona, gli mancava Rachel, la ragazza che avrebbe dovuto sposare nel suo lontano paese e pensava che forse ora era diventata la moglie del fornaio che tanto la corteggiava, forse avrà avuto dei figli con lui, sarà felice!
Un giorno giunse alle orecchie del Papa che si trovava a Roma un pellegrino tedesco, non cristiano, bensì ebreo, era un rinomato giocatore di scacchi, girava il mondo alla ricerca del figlio. Il Papa volle riceverlo e giocare con lui una partita. Nella sua strategia di gioco mise in atto la "mossa Samuel", ma nel punto decisivo il pellegrino mise in atto la contromossa, con gli occhi sbarrati dalla meraviglia il Papa perse la partita. Subito si abbracciarono, quel misterioso giocatore di scacchi era il padre. Tra le lacrime Ueshuà disse: "Padre, perdonami, vengo via con te, torniamo al nostro piccolo e caro paese". Ma il padre: "No figlio mio, resta! Che importanza hanno le parole e gli abiti? Sono apparenza, la voce di Dio parla alla tua anima al di là del frastuono delle parole e delle stesse preghiere". Il figlio capì che doveva rimanere nel suo ruolo, così avrebbe meglio onorato Dio e provveduto al meglio per i bisogni dell'umanità. Padre e figlio si abbracciarono, si salutarono e il vecchio padre tornò nel suo paese dove poco dopo si spense serenamente.
In effetti ci fu a Roma un papa di origine ebraica, era Anacleto II (1130-1138) della famiglia Pierleoni, il cui antenato Baruch, era venuto a Roma verso l'anno 1000. La famiglia dei Pierleoni hanno le loro case in piazza della Bocca della Verità e una torre all'angolo tra via del Teatro di Marcello e vico Jugario.
Via del Portico d'Ottavia inizia da piazza Costaguti e arriva a lungotevere de' Cenci anche se da pochi anni l'ultimo tratto è diventato largo 16 ottobre 1943 e ancor più vicino al lungotevere piazza Gerusalemme. E' stato per secoli e lo è ancora oggi il cuore del ghetto ebraico di Roma. Prende il nome dal grandioso portico fatto costuire da Augusto come accesso al teatro di Marcello e dedicato alla sorella Ottavia. Nel medioevo vi si teneva il mercato del pesce per cui si chiamava via di Sant'Angelo in Pescheria. Nel 1926 venne alla luce la trecentesca casa che ora è sede della Ripartizione alle Antichità durante i lavori per liberare il teatro di Marcello dalle costruzioni accomulatesi nei tempi.
Il Portico d'Ottavia era un doppio colonnato rettangolare che presentava al centro un'area aperta con due templi: Giunone e di Giove, nel lato di fondo si trovava un edificio absidato detto Curia Ottavia con biblioteca. Sotto il portico ben 34 statue equestri di bronzo di Lisippo, raffiguranti Alessandro Magno e i suoi ufficiali morti nella battaglia di Grafico, inoltre c'era la statua di Cornelia, la madre dei Gracchi, la cui base è ora ai Capitolini. Nel Medioevo, sulle rovine del portico, furono edificati un grande mercato del pesce ed una chiesa, Sant'Angelo in Pescheria. La chiesa fu edificata da Teodoro, zio di papa Adriano I Colonna, come rivela un'iscrizione conservata al suo interno. Inizialmente intitolata a san Paolo, dopo il miracolo dell'apparizione dell'arcangelo Gabriele sul monte Gargano Bonifacio II la intitolò all'angelo. Da questa chiesa mosse Cola di Rienzo per la conquista del Campidoglio il giorno di Pentecoste del 1347, qui gli ebrei erano costretti a frequentare la predica dei gesuiti. Celebre la lapide che impone di consegnare la testa dei pesci maggiori di una certa lunghezza ai Conservatori.
IL MARCHESE DEL GRILLO
piazzetta del Grillo
rione I Monti
Il marchese Onofrio del Grillo è una figura storica realmente esistita nell'Ottocento, un bulone ai limiti della legalità, sordo ad ogni senso di giustizia, prevaricatore verso gli ebrei che, alla fine si ravvide di tutti i mali combinati per dare ascolto alla sua coscienza. Oggi la sua popolarità è dovuta al celebre film con Alberto Sordi del 1981 dal titolo: "Il marchese del grillo"[3].
Nato a Fabriano nel 1714 si trasferì a Roma dove divenne ricchissimo per una eredità, così entrò nella Corte Pontificia e vi divenne celebre per il suo carattere eccentrico. La fama dei suoi colossali scherzi si diffuse in tutta Roma e fu ampliata dalla voce popolare che probabilmente fuse episodi appertenuti a personaggi diversi. Ritiratosi nella villa di famiglia a Fabriano (che tutt'ora esiste), vi trascorse gli ultimi anni della sua vita, si spense nel 1787, riposa in San Giovanni dei Fiorentini. Resta quindi un divario tra la figura storica che ha occupato tutto il Settencento e quella leggendaria a cui si è ispirato il film di Mario Monicelli che invece è riferita all'Ottocento, precisamente al periodo dell'occupazione napoleonica di Roma.
Nei racconti popolari ci appare come un uomo di mezza età annoiato da una vita di lussi tra il soglio papale chiaramente decadente e una plebe povera e senza speranza di emancipazione. Non perde mai l'occasione di tirare qualche brutto scherzo alla plebe che essendo in una posizione inferiore nulla può contro la nobiltà. Getta monete a due povere zingare, ma queste sono state rese incandescenti sul fuoco. Si rifiuta di pagare il falegname ebreo, chiamato in giudizio corrompe i giudici e il povero falegname è condannato, allora fa suonare a morto tutte le campane delle chiese di Roma, la gente pensa che sia morto il Papa, mandato a chiamare da Pio VII Chiaramonti gli rivela lo scherzo, "la giustizia è morta". Tira un brutto scherzo al carbonaio Gasperino, suo sosia, lo mette al suo posto, viene catturato dai gendarmi per alto tradimento, ma all'ultimo può beneficiare dell'amnistia e torna al suo posto.
La famiglia del Grillo risiede tutt'ora nello storico palazzo seicentesco collegato con un sovrappasso a una torre medioevale. Il palazzo è costituito da una facciata e due avancorpi laterali: quello di sinistra collegato tramite un sovrappasso ad arco detto "dei Conti". Presenta cinque piani ed ingloba l'antica torre medioevale, mentre il palazzo di destra ha tre piani. La torre detta anche della Miliziola per distinguerla dalla più grande torre delle Milizie, fu edificata nel 1223 come proprietà dei Carboni, poi dei Conti, finchè nel 1675 fu acquistata dai del Grillo che la ristrutturarono nel contesto del palazzo aggiungendovi l'originale coronamento a beccatelli come indica l'epigrafe commemorativa "Ex marchione de Grillis" Le finestre presentano sia decorazioni con volute e fregi, sia teste di leone, sia conchiglie. Un magnifico portale barocco al civico 5 è decorato da una doppia conchiglia sovrastata da una protome leonina dalla quale dipartono due festoni. Uno scalone porta ad un piccolo giardino ricco di fontane e ninfei di stucco. Nel giardino un altro portale con quattro colonne affiancate dalle statue di Minerva e Mercurio. Nel secondo dopoguerra ha ospitato lo studio e l'abitazione del pittore neorealista Renato Guttuso che vi è morto nel 1987.
Sul lato opposto della piazza si trova la Casa dei Cavalieri di Rodi che insiste sul Foro di Augusto, è opera quattrocentesca voluta dal cardinale Marco Barbo nipote di Paolo II. Dalla piazzetta si intravede una grandiosa muraglia bugnata di blocchi di peperino alternati a fascioni in travertino, era la cinta del foro e rappresentava una barriera antifuoco per gli incendi che spesso scoppiavano in questa parte della città antica detta Suburra.
STORNELLATA
rione XIII Trastevere
cerca un vicolo o una piazzetta di Trastevere
dove ambientare questo stornello
Fino all'invenzione della radio era difficile sentire per le strade di Roma la musica, ma vicoli e piazzette risuonavano delle voci delle persone che gridavano, si chiamavano, cantavano. C'erano i venditori ambulanti che richiamavano l'attenzione delle donne vantando i pregi delle loro merci, il vociare dei bambini che giocavano, il rumore dei carri sul selciato, le donne che cantavano le ninne nanne o ripetevano a mente le filastrocche, c'erano i ragazzi che corteggiavano le ragazze.
E a proposito di corteggiamento non era raro imbattersi in una stornellata che un ragazzo rivolgeva alla propria amata. Qualche semplice strumento musicale accompagnava il canto dello spasimante, più raramente c'era un cantante "professionista".
In omaggio a questo tempo andato immaginiamo di trovarci di fronte ad un duetto a cui alla voce maschile risponde una femminile. Questa stornellata tramandata a voce è stata trascritta da Gigi Zanazzo[4] e da Mario Menghini[5].
Uomo
E io de li stornelli ne so tanti,
Ce n'ho da caricà ttre bastimenti,
Chi ne sa più de me se faccia avanti
Donna
Io de li stornelli che ne so' 'n zacchetto,
Se me li metto in collo nun li porto
Se mi li metto a ddì nun ciarizzecco.
Uomo
E ppe cantà ce vo' la rigolizzia;
Pe' ffa l'amore ce vole la grazzia
Masticata con 'n po' de malizzia.
Donna
Chi ccanta per amore e cchi pe' rabbia;
a mme me fa cantane la superbia,
C'ho cento capi come la vitarba.
Uomo
Bbella, che tte piaceno li canti,
Ffaccet'a la fenestra si ce senti
E nun avè paura de toni e llampi.
Donna
L'ucello in gabbia:
Si ccanta la matina co' la nebbia
Nun canta per amor, ccanta pe' rabbia.
De canzoncine io ne so un sacco,
Si me le metto al collo nu' le porto,
Ne fo un fagottello sott'er braccio.
Uomo conclude
E vvoi che ssete mastra de stornelli
Ve voijo regalà du' portogalli[6]
Famo la conta a chi li sa più bbelli.
E cchi nun vvò sentì questa mi' voce
S'attureno l'orecchie co' la pece,
Fino ch'arriva er prete co' la croce.
Santa Maria Maggiore è tutta d'oro,
Tu ccanti le canzone e io l'imparo
Tu butti li sospiri e io m'accoro.
BIBLIOGRAFIA
- AA.VV. Guida d’Italia, Roma, ed. Tci, 1993.
- AA.VV. Roma, libri per viaggiare, ed. Gallimard – Tci, 1994.
- AA.VV. I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton & Compton, 1989.
- AA.VV. Le strade di Roma, ed. Newton & Compton, 1990.
- Claudio Rendina (a cura di), Enciclopedia di Roma, ed. Newton & Compton, 2005.
- Giorgio Carpaneto, I palazzi di Roma, ed. Newton & Compton, 1991.
- Mariano Armellini, Le chiese di Roma, ed. Pasquino, 1982.
- Carlo Zaccagnini, Le ville di Roma, ed. Newton Compton, 1991.
- Willy Pocino, Le fontane di Roma, Newton & Compton, 1996.
- Giuliano Malizia, Gli archi di Roma, ed. Newton Compton, 1994.
- Giuliano Malizia, Le statue di Roma. Storia, aneddotti, curiosità, ed. Newton Compton, 1996.
- Mauro Quercioli, Le mura e le porte di Roma, ed. Newton Compton, 1993.
- Sergio Delli, I ponti di Roma, ed. Newton Compton, 1992.
- Carlo Villa, Le strade consolari di Roma, ed. Newton Compton, 1995.
- Alessandro Tagliolini, I giardini di Roma, ed. Newton Compton, 1992.
- Mario Spagnol e Giovenale Santi, Guida ai misteri e segreti di Roma, ed. Sugarco, 1992.
- AA.VV. Enciclopedia Universale, ed. Garzanti, 2003.
- AA.VV. Enciclopedia dell’Arte, ed. Garzanti, 2002.
- Roma ieri, oggi e domani, ed. Newton Compton.
- Forma Urbis, ed. Service Sistem.
- Capitolium, ed.
- AA.VV. Stradaroma, ed. Lozzi, 2005.
- AA.VV. Tutto Città, 2011/2012, ed. Seat.
SITOGRAFIA
www.comune.roma.it
www.archeoroma.beniculturali.it
www.museiincomune.roma.it
www.romasegreta.it
www.laboratorioroma.it
www.romasparita.eu
www.info.roma.it
www.abcroma.com
www.romanoimpero.com
www.archeoroma.com
www.amicidiroma.it
www.andreapollett.com
www.palazzidiroma.it
www.villediroma.com
www.romaspqr.it
www.tesoridiroma.net
www.iloveroma.it
www.romasotterranea.it
www.sotterraneidiroma.it
www.medioevo.roma.it
www.artemisiagentileschi.net
www.romanesco.it
www.vicariatusurbis.org
www.romanesco.it
www.repubblica.it
www.corriere.it
www.ilmessaggero.it
www.romatoday.it
www.ansa.it
www.viamichelin.it
www.tuttocittà.it
[1] Bartolomeo Platina (Piadena, Cremona, in latino Platina 1421 - Roma 1481) umanista e prefetto della biblioteca Vaticana. Celebre il quadro alla Pinacoteca Vaticana di Melozzo da Forlì "Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca". Ci ha lasciato un libro di biografie di papi, testi di filosofia e un curioso trattato di arte culinaria.
[2] Piazza della Quercia prende nome dalla chiesa di Santa Maria della Quercia voluta da Giulio II per ricordare l'omonimo santuario di Viterbo. Era sede della confraternita dei macellari.
[3] Film "Il marchese del Grillo" anno 1981, regia Mario Monicelli, Riccardo Billi è l'ebanista Piperno, Paolo Stoppa è il pontefice Pio VII, Flavio Bucci è il capo brigante don Bastiano, Cochi Ponzoni è il cognato conte Rambaldo,
[4] Gigi Zanazzo Luigi Antonio Gioacchino Zanazzo (Roma 1860-1911) poeta commediografo, antropologo e bibliotecario. Studioso delle tradizioni popolari romane e poeta romanesco è considerato con Francesco Sabatini il padre fondatore della romanistica. Alla sua scuola mossero i primi passi Trilussa e altri poeti della Roma di inizio Novecento. Una lapide con busto lo ricorda in via dei Delfini dove era la sua casa natale.
[5] Mario Menghini (Urbino 1865 - Roma 1945) storico ed erudito italiano, studiò il Risorgimento e la figura del Mazzini di cui curò l'edizione nazionale degli scritti con 60 volumi di epistolario. Diresse la sezione di storia contemporanea nell'Enciclopedia Treccani.
[6] Portogallo arancio, da: romanesco.it
Piero Tucci
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