PREMESSA
La prima guerra mondiale fu il più grave conflitto armato che l’umanità avesse mai conosciuto, coinvolse non solo l’Europa ma anche gli Stati Uniti, il Giappone e si interessò anche le colonie degli stati europei e altri paesi extraeuropei. Si combattè dall’estate 1914 alla fine del 1918. Venne chiamata la “Grande Guerra”.
La causa scatenante fu l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo Este avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo, in seguito a ciò l’Impero Austro Ungarico dichiarò guerra alla Serbia. A causa delle alleanze che esistevano da anni si formarono due blocchi di Stati contrapposti, da una parte gli Imperi Centrali: Germania, Austria-Ungheria e Impero Ottomano (a cui si unì la Bulgaria), dall’altra parte gli Alleati: Francia, Regno Unito e Impero Russo (ad essi si unì l’Italia nel 1915, con loro la Serbia, il Montenegro, la Grecia, la Romania, il Belgio, il Portogallo, e il Giappone. Dal 1917 gli Stati Uniti). Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati nei due fronti, di questi 9 milioni caddero sui campi di battaglia; altri 7 milioni di civili morirono in conseguenza della guerra. L’Italia ebbe 615.000 morti e quasi un milione di feriti, molti di più della seconda guerra mondiale che venne combattuta su tutto il territorio nazionale e venne attraversato da eserciti opposti con il fenomeno della Resistenza. Nella seconda guerra mondiale l’Italia ebbe 313.000 vittime militari e 130.000 civili.
Le prime operazioni militari videro una avanzata fulminea dell’esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia ma, gli anglo-francesi riuscirono a bloccare tale avanzata nella prima battaglia della Marna. Il contemporaneo attacco russo da Est spense la speranza tedesca di una guerra rapida, anzi divenne una logorante guerra di trincea su tutti i fronti, con questa caratteristica rimase fino alla fine.
Due fatti importanti accaddero durante il conflitto: lo scoppio della rivoluzione in Russia e l’ingresso in guerra degli Usa al fianco degli Alleati. La guerra si concluse con l’armistizio di Villa Giusti (4 novembre 1918) per il fronte italiano e con l’armistizio di Rethondes (11 novembre 1918).
RIPERCUSSIONI ECONOMICO SOCIALI
“La guerra determinò all’interno di ciascuno stato ripercussioni di estrema gravità… La guerra, con le sue enormi esigenze di armanento, di munizioni, di approvvigionamento di ogni genere, poneva davanti a ogni governo un problema di dimensioni mai viste fino ad allora. Si rendeva necessaria una enorme dilatazione delle industrie di guerra, si affacciava la necessità di controllare pressocchè interamente la vita econnomica del paese, onde far converger tutte le risorse ai fini bellici e assicurare, insieme, un minimo di possibilità alimentari ai combattenti e alla popolazione civile, si profilava il problema di assicurare contemporaneamente la mano d’opera alle industrie, all’agricoltura, alla navigazione mercantile, senza diminuire l’afflusso di nuove masse di combattenti sui fronti. Tutto questo determinava un intervento ed un controllo dello Stato in profondità, in ciascun settore della vita nazionale, rompendo la tradizione del liberismo ecomomico… mentre la sicurezza militare portava fatalmente a sospendere le stesse libertà fondamentali, sulle quali si basava tutto il sistema politico europeo…
Organizzazione della produzione di guerra, sistemi di razionamento e tesseramento dei generi alimentari, con tutto ciò lo Stato assumeva su di se compiti direttivi nel campo economico, quali mai erano stati prospettati… Libertà di stampa e di riunione, segreto epistolare, diritti personali, scomparivano a vantaggio dei poteri del governo e dei militari. Per la prima volta nella storia anche l’Inghilterra, terra classica del liberismo, era costretta ad adottare la coscrizione obbligatoria e a sospendere gran parte dei diritti dei cittadini.
Di converso tutto ciò ingigantiva il peso che nella politica interna… venivano ad avere gli elementi militari e i grandi complessi industriali, dai quali in definitiva dipendeva l’esito della guerra… Si verificarono ovunque rapidissimi e violenti spostamenti di fortune…, mentre alcuni erano rovinati dal conflitto, altri riuscivano ad accumulare fortune colossali…
Tutti questi fenomeni di ordine economico e sociale dovevano ben presto assumere un’importanza enorme nel determinare l’erosione del liberalismo classico, preso come in uma morsa tra il nazionalismo autoritario da una parte e la rinnovata spinta rivoluzionaria delle masse operaie e contadine dall’altra. Due fenomeni caratteristici…” del Novecento, il fascismo e il comunismo, “trovano già le loro radici nella situazione maturata in seguito alla guerra mondiale nella maggior parte d’Europa[1]”.
ITINERARIO
PIAZZA VENEZIA
Oltre all’Altare della Patria, che conserva la sepoltura del Milite Ignoto,
la piazza ricorda i trofei di guerra tolti agli austriaci.
Nel Vittoriano si trova il Sacrario delle Bandiere
con i mas e altri armamenti, e il Museo del Risorgimento
con cimeli della Grande Guerra.
Sul lato Sud della piazza, addossato al colle Capitolino, si trova il MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, detto anche VITTORIANO o ALTARE DELLA PATRIA.
Grandiosa mole dell’arch. Giuseppe Sacconi, iniziato nel 1885 per celebrare il cinquantenario dell’unità nazionale e inaugurato nel 1911. Il calcare di Botticino (Brescia) usato nella costruzione, di un bianco freddo e abbagliante non si armonizza con la tinta calda e dorata del travertino, la pietra dominante a Roma; né il monumento riesce ad ambientarsi nella scenografia delle rovine circostanti.
Un’ampia scalinata sale all’ALTARE DELLA PATRIA e si divide poi in due rampe che, girando dietro l’altare, si ricongiungono alla statua del re, si aprono nuovamente per sboccare su un vasto ripiano, dominato dal porticato a esedra che corona l’edificio.
Nell’esedra di destra la fontana del Tirreno di Pietro Canonica, in quella di sinistra l’Adriatico di E. Quadrelli. Davanti a quest’ultima i resti della tomba di Caio Publicio Bibulo, del I sec. a. C. importante caposaldo della della topografia di Roma antica: si trovava infatti fuori della cerchia delle mura Serviane (come è noto era vietato seppellire in città).
Alle testate della scalinata due grandi gruppi allegorici in bronzo dorato: Il pensiero di Giulio Monteverde a sinistra e L’azione di Francesco Jerace a destra.
Sul primo ripiano l’ALTARE DELLA PATRIA, vasta e armoniosa composizione architettonica e scultorea con nel mezzo, contro un’edicola, la solenne statua di Roma, verso cui convergono, in altorilievo i Cortei trionfali del lavoro, a sinistra, e dell’Amor patrio a destra, opere dello scultore Angelo Zanelli. Ai piedi della statua di Roma si trova, dal 1921, la TOMBA DEL MILITE IGNOTO, la salma di un soldato sconosciuto morto nella prima guerra mondiale, costantemente guardata da due sentinelle armate.
Le scale salgono ai due portali del Museo del Risorgimento, quindi proseguono fino alla STATUA EQUESTRE DI VITTORIO EMANUELE II di Enrico Chiaradia, alta e lunga 12 metri, in bronzo già dorato. Poggia su un basamento con le statue delle città italiane di Eugenio Maccagnani.
Segue un altro grande ripiano conotto are con i simboli araldici delle città italiane liberate nella guerra 1915-18 e in mezzo un masso del monte Grappa.
Sovrasta il grandioso PORTICO in curva, composto di 16 colonne alte 15 metri; nell’attico le statue delle regioni d’Italia, alte cinque metri. Dal portico meraviglioso panorama di Roma.
Sopra i propilei spiccano due colossali quadrighe di bronzo con Vittorie alate, opera di Carlo Fontana e di Paolo Bartolini (1908).
Alla fine della Grande Guerra venne deciso di onorare tutti i soldati morti in guerra per la patria tumulando in questo luogo uno dei tanti caduti italiani di cui non si conosceva l’identità. Venne scelta la madre di un volontario delle terre irredente, che aveva disertato l’esercito austriaco, caduto in combattimanto senza che il corpo fosse stato ritrovato: Maria Bergamas[1]. Alla donna venne dato l’incarico di scegliere una salma tra undici tutte non identificate. La cerimonia avvenne ad Aquileia il 26 ottobre 1921, la donna passò davanti alle salme, giunta davanti ad una non riuscì più a proseguire, si accasciò al suolo pronunciando il nome del figlio: Antonio. Tale feretro fu collocato su un affusto di cannone e, accompagnato da reduci decorati di medaglia d’oro, fu deposto su un carro ferroviario.
Le altre dieci salme furono tumulate nel cimitero di guerra collocato nel prato dietro la basilica di Aquileia. Il viaggio venne effettuato a velocità ridotta, il convoglio si fermò in molte stazioni dove la gente ebbe modo di onorarlo. Una folla strabocchevole lo attese anche per ore. A Roma venne accolta dal Re, dai rappresentanti dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, inoltre erano presenti le bandiere di tutti i reggimenti, si fermò nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, finalmente il 4 novembre 1921 venne tumulata nel Vittoriano.
Negli anni Trenta il feretro venne traslato nella cripta interna al Vittoriano costruita con rocce provenienti dalle montagne in cui si combattè la prima guerra mondiale: il Grappa, il Carso e altre.
Ogni capo di Stato in visita in Italia e il Presidente della Repubblica appena eletto fa visita al Milite Ignoto e gli rende omaggio.
MUSEO CENTRALE DEL RISORGIMENTO Fa parte dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano che comprende il centro di Studi, l’Archivio, le pubblicazioni e il museo vero e proprio. Nel museo è documentata la storia d’Italia dalla metà del Settecento a tutta la prima guerra mondiale. Queste testimonianze sono formate da documenti cartacei: lettere, diari, manoscritti; da quadri, sculture, disegni, incisioni, stampe, armi che rievocano fatti e protagonisti del periodo storico preso in esame. L’ultima sezione del museo è dedicato alla Prima Guerra Mondiale che secondo alcuni storici non è altro che la IV Guerra d’Indipendenza. Si possono vedere il calamaio d’argento con penna utilizzato per firmare l’armistizio di Villa Giusti, borracce, maschere antigas, uno dei volantini lanciati da Gabriele D’Annunzio su Vienna nell’agosto del 1918 e – nell’ultima sala – l’affusto di cannone sul quale venne trasportata a Roma la salma del Milite Ignoto. Di tale conflitto mondiale abbiamo anche filmati dell’Istituto Luce e registrazioni sonore. Alcuni artisti vennero ingaggiati dai comandi militari per documentare gli avvenimenti di guerra: tra questi Giulio Aristide Sartorio, Tommaso Cascella, Anselmo Bucci. Esisteva inoltre, un reparto di fotocinemaoperatori che documentò la vita di trincea e quella sul mare.
Il museo, dopo un lungo periodo di chiusura, è stato riallestito nel 2001, anche per interessamento dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che molto si è adoperato per la valorizzazione del Vittoriano.
SACRARIO DELLE BANDIERE Raccoglie le bandiere di guerra dei reparti disciolti, nonché le bandiere degli istituti militari. Sono custoditi cimeli particolarmente importanti relativi alle guerre combattute dalle Forze Armate italiane. Tale area fu inaugurata nel 1968, in occasione del cinquantenario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale. Il Museo Sacrario della Marina, ubicato al piano terra, fu istituito nel 1961 per celebrare i cento anni di vita della Marina Militare.
Il Mas 15 con cui, nei pressi di Premuda, Luigi Rizzo, effettuò il 10 giugno 1918 un audace attacco contro una formazione navale austriaca che culminò nell’affondamento della corazzata Szent Istvan. Accanto vi è il Siluro lenta corsa o maiale della Seconda Guerra Mondiale, di Tesei e Vicentini, con cui furono violate le più munite basi navali del nemico, da Gibilterra ad Alessandria, da Algeri ai porti italiani occupati dai tedeschi.
Il MAS è la sigla di Motoscafo Armato Silurante, è una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d’assalto veloce. Fondamentalmente si trattava di un motoscafao da 20/30 tonnellate con una decina di uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da due siluri e alcune bombe di profondità, oltre a mitragliatrice o cannoncino.
Tra le altre bandiere vi sono quelle della fregata Re di Portogallo che si battè valorosamente a Lissa e quella della corazzata Duilio che al suo nascere rivoluzionò la tecnologia navale dell’epoca. Con i suoi 4 cannoni da 450 mm in due torri binate e la velocità di 15 nodi, al momento della sua apparizione fu, per velocità, protezione e armamento, unanimemente riconosciuta la corazzata più potente in servizio (varata nel 1880 – radiata nel 1909). La più antica bandiera attualmente conservata nel sacrario è quella della fregata Garibaldi, già borbonica Borbone.
PIAZZA DELL’ESQUILINO
E’ il luogo delle manifestazioni interventiste,
furono la spinta popolare all’entrata in guerra dell’Italia.
Questa fu il teatro delle manifestazioni favorevoli all’intervento italiano nella grande guerra. Tra via Cavour e via di Santa Maria Maggiore c’è un balcone (detto “Prua d’Italia”) dal quale si esibì Gabriele D’Annunzio in uno dei suoi discorsi pieni di retorica patriottica. Da tali discorsi e da questa mobilitazione prese successivamente spunto il fascismo per porsi come erede dello spirito della Grande Guerra. D’Annunzio parlò anche al Campidoglio, altre manifestazioni si tennero in piazza del Quirinale per sollecitare o sostenere il Re all’intervento in guerra.
La guerra mondiale scoppiò il 28 luglio 1914 mentre l’Italia era rimasta neutrale. Erano contrari all’intervento in guerra dell’Italia i socialisti e i cattolici; i primi perché era inconcepibile che proletari di un paese combattessero contro proletari di un altro paese, i secondi perché era altrettanto inconcepibile che i cattolici italiani combattessero contro i cattolici austriaci. Anche Giolitti e i suoi seguaci liberali erano contrari all’intervento perché avrebbe esposto l’Italia ad un cimento superiore alle sue forze. A favore della guerra erano i nazionalisti i socialisti riformisti (come Bissolati) e i socialisti rivoluzionari (come Mussolini), gli ambienti monarchici che vedeva una occasione di gloria per la monarchia ma soprattutto una possibilità per liberare le “terre irredente”, in breve Trento e Trieste. Un grande aiuto venne a questi ultimi dal poeta Gabriele D’Annunzio con la sua parola ricca i fascino.
Anche se il parlamento era in maggioranza contrario alla guerra, il capo del governo Salandra, esponente dell’estrema destra e la corona si adoperarono per la partecipazione al conflitto contando sul fatto che una vittoria militare avrebbe portato ingrandimenti territoriali, maggiore prestigio per la corona, minacciato dalla Settimana Rossa (giugno 1914).
PIAZZA DEI CINQUECENTO
E’ il luogo nel quale una grande folla accolse come trionfatori
Armando Diaz e Pietro Badoglio alla fine del conflitto.
Un’altra manifestazione, alla fine del conflitto, accolse
Vittorio Emanuele Orlando che aveva abbandonato
Parigi sede delle trattative di pace.
Nel clima di esaltato patriottismo determinato dai sacrifici della guerra e dalla vittoria contro l’impero asburgico, si tenne una vera e propria manifestazione tra piazza dei Cinquecento e piazza Esedra (oggi della Repubblica), con essa, una folla strabocchevole accolse il generale capo di Stato Maggiore Armando Diaz che aveva guidato l’esercito italiano dopo la sconfitta di Caporetto (24 ottobre – 12 novembre 1917) e Pietro Badoglio che, insieme a Gaetano Giardino, aveva affiancato Diaz nel ruolo di vice comandante di Stato Maggiore.
Si formò un corteo che raggiunse il Quirinale per omaggiare il Re.
Un’altra manifestazione di popolo, di grandi dimensioni avvenne per il rientro in patria di Vittorio Emanuele Orlando, capo del governo e Sidney Sonnino, ministro degli Esteri. I due stavano partecipando ai trattati di Pace. Un grave disaccordo era intervento tra l’Italia e gli altri paesi vincitori del conflitto sulle condizioni di pace. Vediamo di ricostruire brevemente quanto accaduto.
L’Italia era entrata in guerra in seguito al patto di Londra, con esso l’Italia aveva diritto a prendersi non solo territori indiscutibilmente italiani come il Trentino, Trieste e la costa dell’Istria, ma anche il Sud Tirolo tedesco e l’interno dell’Istria slavo, nonché la Dalmazia anch’essa slava ad eccezione di Zara italiana. Ciò era stato fatto al fine di garantirsi da una riscossa austriaca, ma l’impero asburgico era sparito, erano nati nuovi stati come la Jugoslavia, e l’Austria era ridotta a un piccolo stato con una capitale Vienna enorme, si disse un piccolo corpo con una grande testa.
Se quindi i rappresentanti italiani richiedevano la rigida attuazione del patto di Londra, la Jugoslavia reclamava le terre abitate da slavi sulla base del principio di nazionalità. A complicare le cose sorgeva il problema di Fiume che il patto di Londra lasciava alla Croazia come sbocco al mare, ma fin dal 30 ottobre 1918, la popolazione aveva proclamato la volontà di unirsi all’Italia.
Tutta l’intransigenza italiana si ritorceva contro di noi rispetto al problema delle ex colonie tedesche che avevano un valore economico ben più alto delle povere terre abitate da slavi. Inoltre l’Italia aveva tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con la Jugoslavia dove la nostra industria poteva esportare i propri prodotti, tale interesse era anche della Jugolavia, ma la nostra rigidità ci creava nemici nei balcani invece di alleati.
Davanti a tutto ciò la delegazione italiana si ritirò dalla conferenza di pace, tale gesto restò sterile.
PIAZZA DELLA REPUBBLICA
CHIESA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
Nella chiesa la sepoltura di Armando Diaz e Thaon di Revel.
Armando Diaz, oltre ad essere considerato il “Duca della Vittoria”, generale e capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, dopo la guerra fu ministro della guerra tra il 1922 e il 1924 nel governo presieduto da Mussolini; ebbe il titolo di Maresciallo d’Italia.
La famiglia era di lontane origini spagnole, era nato a Napoli nel 1861, fu avviato giovanissimo alla carriera militare, frequentò la Nunziatella, divenne ufficiale all’Accademia militare di Torino. Prese servizio in un reggimento di artiglieria da campo. Dal 1895 lavorò allo Stato Maggiore nella segreteria del generale Alberto Pollio, nel 1899 venne promosso maggiore, nel 1905 tenente colonnello. Nel 1910, durante la guerra di Libia comandò il 21° fanteria, fu ferito a Zanzur nel 1912. Durante la prima guerra mondiale fu assegnato alla III armata che gli valse la medaglia d’argento per una ferita riportata alla spalla. La sera dell’8 novembre 1917 fu chiamato a sostituire Luigi Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore dell’Esercito, per via della disfatta di Caporetto. Organizzò la resistenza sul monte Grappa e sul Piave, decentrò molte funzioni ai sottoposti, riservandosi un ruolo di controllo. Nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l’offensiva il 24 ottobre, con 58 divisioni contro 73 austriache. Il piano prevedeva l’attacco in un solo punto, a Vittorio Veneto, preceduto da un’azione diversiva lungo il Piave. Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre l’esercito passò all’attacco, il fronte austriaco si spezzò avviando una reazione a catena. Il 3 novembre si arrivò a Trento. Il 4 novembre l’Austria capitolò, in questa occasione Diaz stilò il celebre “Bollettino della Vittoria”. Alla fine della guerra divenne senatore. Venne onorato da una parata a New York, primo fra gli italiani. Entrò nel primo governo Mussolini su precisa condizione del Re che intendeva porre una figura di prestigio e di sicura fede monarchica. Da ministro accettò la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sottoposta direttamente a Mussolini. Terminata l’esperienza governativa si ritirò a vita privata, era sposato dal 1895, morì nel 1928.
La chiesa di Santa Maria degli Angeli venne sistemata da Michelangelo nell'aula del tepidarium delle terme di Diocleziano nel 1563-66 e rimaneggiata da Vanvitelli nel 1749. E' la chiesa preferita per le funzioni religiose di carattere ufficiale (matrimonio di Umberto II, funerali di Eleonora Duse). La facciata disadorna, in cotto, è formata dall'esedra di una sala delle terme, probabilmente il calidarium. Ai primi del Novecento si decise di demolire la facciata opera di Vanvitelli. Le due porte della basilica sono opera dell'artista polacco Igor Mitorj, rappresentano: a sinistra il Redentore, a destra l'Annunciazione (poste in opera il 28 febbraio 2006). Interno a croce greca. La navata trasversale veramente dà l'idea della grandiosità delle costruzioni romane, m 90,8 di lunghezza, m 27 di larghezza, m 28 di altezza; tre volte a crociera coprono la navata, 8 immense colonne di granito rosa, monolistiche sono parzialmente interrate perchè Michelangelo dovette alzare il livello della chiesa. Entrando in chiesa subito a sinistra e destra le sepolture di Salvator Rosa e Carlo Maratta. Nella cappella di destra "Cristo in Croce con San Girolamo e devoto" di Daniele da Volterra. Nella navata trasversale si trovano grandiose pale d'altare provenienti da San Pietro, nella tratto di sinistra "Caduta di Simon Mago" di Pompeo Batoni; nella navata trasversale sono sepolti il maresciallo Armando Diaz, "il generale della Vittoria" (di Antonio Munoz), il grand'ammiraglio Thaon di Revel e il capo di governo Vittorio Emanuele Orlando (entrambe del Canonica). Sul pavimento è presente una grandiosa meridiana voluta da papa Clemente XI per il giubileo del 1700 al fine di dimostrare la correttezza della riforma del calendario gregoriano. Notare le costellazioni che fiancheggiano la linea di meridiana. Nella tribuna si trovano il "Matirio di San Sebastiano" del Domenichino, il "Battesimo di Gesù" di Carlo Maratta e nell’abside il sepolcro di papa Pio IV.
CIMITERO MONUMENTALE DEL VERANO
Nel nuovo settore si trova il monumento che
ricorda tutti i caduti, è opera dell’arch. De Vito.
Nel cimitero monumentale del Verano si trova un imponente e spettacolare monumento che ricorda le vittime del grande conflitto mondiale. Si trova la margine Est, lungo la tangenziale. Una parete di marmo bianco concava reca i nomi di tutti i romani caduti. E’ opera del 1926 dell’arch. Raffaele De Vico, il celebre architetto dei giardini romani (Villa Glori, Giardini di piazza Mazzini, Colle Oppio, ampliamento dello zoo con l’uccelliera, parco Nemorense e parco Savello sull’Aventino, serbatoio idrico di porta Maggiore). Al di sotto vi è una grandiosa cripta a pianta circolare dalla quale si accede da due scale circolari. E’ denominato Monumento Ossario ai Caduti della Guerra 1915-18. Tale monumento si vede anche dall’esterno del cimitero, passando da via Tiburtina e guardando dall’ingresso / cancellata di Portonaccio.
Il Verano è il Cimitero Monumentale di Roma la cui entrata è presso la basilica di San Lorenzo fuori le Mura, deve il suo nome alla gens Verani, senatori dai tempi della repubblica. La zona era da sempre luogo di sepoltura perché si trovava lungo una antichissima via consolare, la Tiburtina. Nelle catacombe di Santa Ciriaca fu sepolto San Lorenzo, sulla cui tomba sorse la basilica. Durante il dominio francese su Roma venne applicato l’editto di Saint Cloud che stabiliva che tutte le sepolture dovessero essere fuori dai centri urbani. Il progetto del cimitero si deve a Giuseppe Valadier, lo stesso autore di piazza del Popolo tra il 1807 e il 1812. Con la restaurazione i papi mantennero l’uso del cimitero. Sotto la direzione di Virginio Vespignani venne realizzato il quadriportico d’ingresso (1880), dopo l’unità d’Italia il cimitero si ingrandì ancora fino ad acquistare villa Mancini, zona oggi denominata il Pincetto. Dagli anni Sessanta nel cimitero possono essere sepolte solo le persone che dispongono di cappelle di famiglia, da allora le sepolture avvengono nel cimitero Flaminio detto dai romani di Prima Porta. Il 19 luglio 1943 un terribile bombardamento degli alleati, che aveva lo scopo di colpire lo scalo ferroviario, causò gravissimi danni nel vicino quartiere di San Lorenzo e la morte di circa 1.000 persone. Anche il cimitero venne colpito, furono danneggiati il quadriportico, il Pincetto, il sacrario militare e il crollo di un tratto di mura a destra dell’ingresso causando la morte di alcune persone che vi avevano cercato riparo. Anche le tombe di Petrolini e della famiglia Pacelli subirono danni.
L’ingresso al cimitero è caratterizzato da tre fornici, tra due corpi di fabbrica, con quattro grandi statue sedute de: la Meditazione (di Francesco Fabj-Altini), la Speranza (di Stefano Galletti), la Carità (sempre di Fabj-Altini) e il Silenzio (di Giuseppe Blasetti). E’ opera di Virginio Vespignani degli anni 1874-78. Da questo spettacolare ingresso si accede al quadriportico opera di Vespignani che ha nel fondo la cappella di Santa Maria della Misericordia dello stesso architetto ma precedente all’ingresso, all’interno della cappella “Le anime purganti”, pala d’altare di Tommaso Minardi. Per l’importanza storica e culturale da alcuni anni si organizzano visite guidate al cimitero stesso. Molti sono gli artisti degli ultimi due secoli che hanno realizzato tombe e sculture: Duilio Cambellotti, Mirko Basaldella, Raffaele De Vico e tanti altri.
Il 15 luglio 2003 è stato inaugurato il Centro di Documentazione dei Cimiteri Storici di Roma dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Collocato all’ingresso del portico è aperto su richiesta, nella settimana della Cultura (in primavera) e nel periodo della commemorazione dei defunti. Video, fotografie, proiezioni e cataloghi informatizzati costituiscono il materiale che si può consultare nel centro.
TORPIGNATTARA
VIA CASILINA ANGOLO VIA FRANCESCO BARACCA
Uno dei più singolari monumenti ai caduti.
In uno slargo, lungo la Casilina, presso via Francesco Baracca, si trova l’unico monumento di Roma che utilizza un cannone, cioè una delle armi usate durante la Grande Guerra. A lato si trova un parallelepipedo in travertino che porta incisi i nomi dei caduti del “suburbio” come veniva denominato allora il quartiere. Il giardinetto è delimitato da un recinto in ferro, agli angoli dei proiettili per cannoni.
Il luogo è famoso anche per essere apparso nel film “Un borghese piccolo piccolo” del 1977, diretto da Mario Monicelli con Alberto Sordi.
PIAZZA SALERNO
Sulla piazza la chiesa dei Sette Santi Fondatori,
nella cripta il sacrario con tutti i caduti per la Patria.
Sulla piazza del quartiere Nomentano si trova una chiesa moderna, pochi romani sanno che la cripta della chiesa è dedicata ai morti e ai dispersi italiani di tutte le guerre, vi sono conservate le memorie relative ai caduti, foto, medaglie, divise, bandiere, armi, nonché i loro nomi scolpiti nelle pareti.
Si tratta della chiesa dei Sette Santi Fondatori, costruita tra il 1946 e il 1956 su progetto dell’arch. Alberto Tonelli ed intitolata ai sette fondati dell’ordine dei Serviti (devoti fiorentini del secolo XIII). La parrocchia è preesistente, risale al 1935. La chiesa è a pianta dodecagonale, esternamente presenta due ordini: quello inferiore rivestito di marmo bianco, quello superiore di mattoni di laterizio attraversato da nervature verticali in cemento armato e coronato da una serie di finestre-vetrate policrome. L’interno a forma circolare con una serie di dieci pilastri di cemento che accennano ad una navata perimetrale. Dietro l’altare maggiore è collocato un mosaico realizzato nel 1964 da Ambrogio Fumagalli. Da segnalare l’affresco “La visione della Madonna ai Sette Santi Fondatori” di Maceo Casadei, del 1959.
La chiesa si affaccia su una piazza circolare, al centro un caratteristico monumento a Guido Baccelli, eretto nel 1930, con bronzi di Attilio Selva. Si compone di tre colonne di travertino unite al vertice da una trave, la base è in pietra scura, tra le colonne i bronzi di Selva. Attilio Selva (Trieste 1888 – Roma 1970) studiò a Trieste, quindi si stabilì a Milano e Torino dove lavorò con Bistolfi, dal 1909 si stabilì a Roma. Realizzò la fontana di piazza dei Quiriti a Roma, la statua di San Carlo a piazza Augusto Imperatore, il monumento a Oberdan a Trieste, il monumento a Nazario Sauro a Capodistria, a Montecassino il gruppo bronzeo della Morte di San Benedetto e paliotto in argento nel 1970, ma la sua opera più celebre resta il monumento ai caduti di Trieste presso San Giusto. Guido Baccelli (Roma 1830 – 1916) medico e uomo politico. Si adoperò per curare la malaria. Deputato e consigliere comunale fu per ben sette volte ministro della pubblica istruzione. Promosse la realizzazione del Policlinico di Roma, della Gnam, gli scavi alle terme di Caracalla con la passeggiata archeologica e scavi a Pompei.
PORTA PIA
MUSEO STORICO DEI BERSAGLIERI
In questo, come negli altri musei storici delle armi,
vari cimeli ricordano il contributo dato da ognuna
nella Grande Guerra.
Il museo si trova all’interno di porta Pia, o meglio nella struttura ideata da Virginio Vespignani, che precede la porta stessa. In esso si trovano i cimeli ed i ricordi relativi alla istituzione del Corpo, seguendo il filo logico delle vicende alle quali parteciparono reparti di bersaglieri.
Nel lato Sud dell’edificio, il piano inferiore, è dedicato alla Prima Guerra Mondiale: targhe, fotografie, gagliardetti di reparto, statue celebrative, ritratti e medaglieri di comandanti e bersaglieri semplici, armi italiane ed austriache, tra queste la mitragliatrice che falciò, alle ore 16 del 4 novembre 1918 al Quadrivio del Paradiso, il diciannovenne sottotenente Alberto Riva di Villasanta ed i suoi bersaglieri, ultimi caduti nella Grande Guerra.
Il museo venne inaugurato il 18 settembre 1932 in concomitanza con quella del monumento al Bersagliere nel piazzale antistante. Nel cortile di ingresso al museo sono collocati busti in bronzo di alcuni dei più illustri rappresentanti del Corpo e il monumento al più romano dei bersaglieri Enrico Toti, volontario per vocazione. Al piano terreno una saletta è dedicata a La Marmora, il fondatore del corpo, vi sono esposte due carabine con fiaschetta per polvere a misurazione automatica per il rapido caricamento, furono ideate da lui nel 1836. Tra i cimeli la Proposizione originale, scritto di pugno da La Marmora per ottenere da Carlo Alberto la costituzione del corpo.
Il monumento al Bersagliere è opera dello scultore Publio Morbiducci (romano, autore dei dioscuri al Colosseo quadrato, della fontana al Viminale, monumento a Emanuele Filiberto in piazza Castello a Torino), mentre il progetto architettonico è di Italo Mancini, venne inaugurato nel 1932. Il progetto di Morbiducci risultò vincitore perché sembrò di facile impatto sul pubblico ed interpretava in modo autentico il carattere popolare del bersagliere. L’autore coniuga un esasperato realismo con un forte vigore plastico.
Il monumento è costituito da una imponente scultura in bronzo, alta 4 metri, che raffigura il bersagliere scattante all’assalto, posto su un basamento di travertino opera di Mancini. Sui lati maggiori dello stesso basamento si trovano bassorilievi in pietra di Trani che raffigurano personaggi e battaglie combattute dai bersaglieri: il ponte di Goito, Luciano Manara, Porta Pia a sinistra, Sciara Sciat, Enrico Toti, Riva di Villasanta a destra.
PIAZZA SANTA CROCE
MUSEO STORICO DELLA FANTERIA
Chiuso per restauro dal 22 luglio 2013.
Il museo è articolato in tre settori: - Armi, bandiere e uniformi, è organizzato su una direzione, la biblioteca con archivio storico e il sacrario. Dispone di 35 sale espositive a cui si devono aggiungere 5 gallerie o androni. Il patrimonio del museo è costituito da cimeli, documenti e ricordi provenienti da donazioni o da acquisti, da pitture, disegni e sculture. Una sezione è dedicata alla Prima Guerra Mondiale. Tra le opere d’arte si segnala la statua marmorea del “Partente” di B. Poidimani, posta al piano terra presso l’ingresso e il “Redentore sulla Croce” nell’atto di piegarsi a sorreggere due fanti morenti, dello scultore Edmondo Furlan.
PIAZZALE APPIO
Uno dei tanti monumenti ai caduti sparsi nei quartieri e nei rioni di
Roma, ma anche in tutti i comuni e frazioni d’Italia.
Il monumento ai caduti del quartiere Appio Latino e Tuscolano è costituito da una lapide murata sulle Mura Aureliane presso porta San Giovanni, in viale Castrense. Si vede un angelo che sorregge un fante ormai defunto, il militare regge ancora nella mano destra il fucile; la presenza di un capitello e di una corona ingentilisce la scena. Nel primo anniversario della fine della seconda Guerra Mondiale alla suddetta lapide è stata affiancata un’altra lapide che ricorda i partigiani del quartiere (VI zona) morti nella lotta di Liberazione Nazionale, la lapide fu voluta dal partito d’azione. Tra i nomi che vi sono riportati spicca quello di Pilo Albertelli, docente di storia e filosofia nel Liceo Classico Umberto I oggi intitolato a lui, fu membro del comitato militare antifascista durante l’occupazione tedesca di Roma, arrestato il primo marzo del 1944 per denunzia di un delatore, fu portato nella pensione Oltremare occupata dalla Banda Koch, fu torturato ma non fece i nomi dei compagni di lotta, venne ucciso alle Fosse Ardeatine (è medaglia d’oro). Si è così creato, volutamente, un rapporto tra i caduti per la Patria in due diverse contingenze storiche.
PIAZZA DELLA CROCE ROSSA
MONUMENTO AL FERROVIERE
Uno tra i tanti monumenti dedicati
alle categorie di lavoratori morti in guerra.
A Roma vi sono monumenti ai caduti morti nella Grande Guerra dedicati agli impiegati comunali, ai postelegrafonici, impiegati alle Corte dei Conti e così via. Questo dedicato ai ferrovieri si trova davanti alla sede generale delle Ferrovie dello Stato. E’ un monumento di grandi dimensioni, è opera di un artista di rilievo, le sue opere si trovano alla Gnam, alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, è Amleto Cataldi[2]. Non si conosce la data esatta della sua erezione, certo non dopo il 1924.
VIA NOMENTANA
VILLA PAGANINI
Monumento ai caduti del Nomentano e Salario.
Forse il monumento ai caduti più bello tra quelli dedicati agli abitanti dei quartieri di Roma caduti in guerra. Da foto d’epoca si vede che era inizialmente collocato ad un incrocio di quattro strade, piazza Regina Margherita, poi spostata per ragioni di traffico veicolare. Oggi si trova nella villa Paganini, guarda verso via Nomentana e villa Torlonia, il monumento è dedicato ai caduti dei quartieri Nomentano e Salario.
Il monumento rappresenta una Vittoria alata su cavallo, è opera di Arnaldo Zocchi. Scultore fiorentino, presidente dell’Accademia di San Luca, lavorò al Vittoriano, realizzò il monumento a Garibaldi a Bologna, ad Altamura un monumento alla libertà in onore dei martiri del 1799 che difesero la repubblica Partenopea contro l’esercito del card. Ruffo.
Verso via Dalmazia si trova il portale in tufo non ben conservato (all’interno si intravede un edificio scolastico, una targa recita “Scuola di mosaico”) e l’ingresso alla villa recentemente riqualificata (2011, ma oggi in grave stato di abbandono) voluta dal cardinale Giulio Alberoni (1661 – 1752) che fu ministro di Filippo V di Spagna. Al centro della villa c’è una finta grotta da cui scaturisce acqua che forma un piccolo corso d’acqua, un laghetto sovrastato da un bel ponte in legno. Una parte della villa è occupata da padiglioni in legno. Le vie sono intitolate alle vittime della mafia (D’Antona, La Torre, Impastato, Savena, Antiochia, Caponnetto, Ambrosoli, Marco Biagi, Rita Atria).
VILLA BORGHESE – PINCIO
Emiciclo con i caduti eroici della Grande Guerra e
monumento a Enrico Toti.
Sono busti collocati a semicerchio subito dopo il ponte che scavalca il muro Torto. Furono collocati nel 1926. Il busto di Damiano Chiesa è opera di Pietro Melandri. Il busto di Fabio Filzi è opera di Publio Morbiducci.
Oltrepassato il ponte si trova la doppia esedra arborea degli eroi con i busti bronzei di alcuni eroi della prima guerra mondiale, tutti irredentisti, a sinistra Guglielmo Oberdan, a destra Damiano Chiesa, Francesco Rismondo, Cesare Battisti, Nazario Sauro e Fabio Filzi.
Guglielmo Oberdan, triestino, uno dei massimi esponenti dell’irredentismo, condannato a morte per aver espresso la volontà di attentare alla vita di Francesco Giuseppe nell’occasione della visita dell’imperatore nella città per festeggiare i 500 anni di Trieste austriaca. Davanti alla magistratura austriaca si autoaccusò del proposito. Una scuola elementare gli è intitolata a Roma in largo Ravizza (Monteverde) ubicata in una villa gentilizia (villa Baldini). Damiano Chiesa era un patriota di Rovereto, si arruolò volontario nell’esercito italiano sotto falso nome pur essendo cittadino dell’impero austriaco, catturato dagli austriaci fu riconosciuto da un orologiaio prussiano di Rovereto e fucilato come disertore. Francesco Rismondo, nativo di Spalato, fu presidente del Veloclub della sua città in quanto appassionato ciclista, allo scoppio della guerra si arruolò volontario tra i bersaglieri ciclisti, disperso durante la battaglia di Opacchiasella morì a Gorizia o in un tentativo di fuga o fucilato. Cesare Battisti, di Trento, giornalista, geografo, cittadino austriaco di nascita fu deputato socialista al parlamento di Vienna. Allo scoppio della guerra si arruolò con gli italiani, catturato fu processato e impiccato per alto tradimento. Nazario Sauro, di Capodistria, tenente di vascello della marina italiana, fu giustiziato per alto tradimento a Pola. Fabio Filzi, di Pisino, si unì volontario ai soldati italiani, fu fatto prigioniero insieme a Cesare Battisti di cui era subalterno, condannato a morte per tradimento la sentenza fu eseguita per impiccagione nel castello del Buon Consiglio di Trento.
Di ben maggiori dimensioni è il monumento a Enrico Toti che si trova in un angolo del giardino del Pincio, è opera di Arturo Dazzi[3], del 1921. Enrico Toti (Roma 1882- Monfalcone 1916) nato nel quartiere di San Giovanni da padre ferroviere e madre di Cassino. Arruolatosi nella marina militare, si congedò e fu assunto come ferroviere, nel 1908, mentre lavorava alla lubrificazione di una locomotiva nella stazione di Colleferro, scivolò e rimase incastrato sotto gli ingranaggi con la gamba sinistra che gli venne amputata. Perso il lavoro si dedicò alla realizzazione di piccole invenzioni che sono documentate nel museo dei bersaglieri di Roma. Nel 1911 pedalando in bici con una gamba sola raggiunse parigi, da lì il Belgio, la Danimarca, la Finlandia, la Russia, la Polonia e rientrò in Italia. Nel 1913 raggiunse Alessandria d’Egitto e il confine con il Sudan dove le autorità ingesi gli imposero di concludere il viaggio. Allo scoppio della guerra mondiale Toti presentò tre domande per essere arruolato. Raggiunse in bicicletta il fronte a Cervignano del Friuli, qui fu accolto come civile volontario, riuscì a farsi trasferire presso i bersaglieri ciclisti del terzo battaglione, presso i quali iniziò a combattere. Il comandante maggiore Renzini gli consegnò le stellette e l’elmetto piumanto da bersagliere. Nell’agosto 1916 cominciò la sesta battaglia dell’Isonzo che si concluse con la presa di Gorizia il 6 agosto. Enrico Toti, lanciatosi con il suo reparto all’attacco di Quota 85 a est di Monfalcone, fu ferito più volte dai colpi avversari, prima di morire scagliò la cruccia verso il nemico esclamanto “Nun moro io”, “Io non muoio”. Nel 1922 la sua salma fu portata a Roma per ricevere solenni funerali. Nel clima incandescente che precedette la marcia su Roma, il feretro fu oggetto di colpi di arma da fuoco, ne seguirono scontri con un morto e 25 feriti, in zona San Lorenzo. E’ sepolto al Verano, in un riquadro rialzato a cinquanta metri dall’ingresso principale a sinistra.
Non passa inosservato il monumento all’umile eroe e all’alpino che si trova davanti alla Fortezzuola. E’ opera di Pietro Canonica, sul monumento è la scritta: "Ca custa lonca custa viva l'Austa" 1915-1918". In dialetto valdostano significa: “A qualunque costo: viva Aosta”, che è il motto del battaglione alpini di Aosta. Opera in bronzo del 1940 che riproduce Scudela = scodella, il mulo decorato con croce di guerra, nel 1957 fu aggiunto l'alpino anch’esso in bronzo. Il mulo porta l'affusto del 75. Scudela era il più resistente e coraggioso dei muli di una batteria di montagna durante la Grande Guerra. Ogni giorno, per anni, ha portato sulla groppa il suo cannoncino per gli aspri sentieri di montagna, sotto la neve e sotto il fuoco nemico, fedele compagno dell’alpino da cui era inseparabile e di cui sapeva comprendere al volo ogni gesto e parola. Una mattina, durante un durissimo scontro, la batteria fu costretta alla ritirata e Scudela con il suo alpino vennero dati per dispersi. Al calar della notte il mulo raggiunse i resti del reparto, ma senza il suo compagno, di cui restava solo il cappello con la penna nera.
La fortezzuola è sede del museo Canonica. La fortezzuola era, prima dei lavori del Settecento, la "casa del Gallinaro". Nel 1926 il Comune la concesse allo scultore Pietro Canonica perchè ne facesse la sua abitazione e il suo studio. Dopo la sua morte (1959) le opere rimaste nello studio andarono a costituire il museo aperto al pubblico nel 1961, in esso si mischiano oggetti personali dello scultore con ritratti di sovrani, capi di stato e personalità d'Europa e d'America. Fu infatti ritrattista della nobiltà e di numerose case regnanti europee.
PIAZZA SANT’AGOSTINO
Uno dei monumenti ai caduti dei rioni di Roma
più curati dal punto di vista artistico.
In questa piazza si trova uno dei più artistici monumenti ai caduti dei rioni di Roma. Guardando la facciata della chiesa è sulla destra, precede l’ingresso alla biblioteca Angelica. Presenta in alto una lastra, molto grande, con l’elenco dei caduti del rione. Essendo un elenco molto nutrito questo ci fa capire come questa zona fosse molto popolata negli anni di inizio Novecento. Al di sotto si trova un’altra lapide più piccola, quindi una sorta di sarcofago affiancato da due cesti di frutta.
MINISTERO DELLA MARINA MILITARE
Davanti all’ingresso le ancore di due
corazzate austriache affondate in guerra:
la Viribus Unitis e la Teghenthoff.
Sul lungotevere delle Navi, nel quartiere Flaminio si trova il MINISTERO DELLA MARINA MILITARE progettato da Giulio Magni (autore della cosiddetta cattedrale di Ostia, delle case popolari a Testaccio, a Santa Croce, molti villini al Salario) nel 1914 ma realizzato fra il 1924 e il 1928. E’ un edificio imponente ispirato allo stile barocco con torri angolari, corpi centrali avanzati, lunghe lesene, bugnato e finestre con timpano aggettante. Ha pianta trapezoidale, un cortile centrale più grande e altri più piccoli. Davanti all’ingresso principale si trovano le ancore delle corazzate austriache “Viribus Unitis” e “Teghetthoff” affondate dai mas italiani nella rada di Pola il 1° novembre 1918. Sul lato opposto del ministero, in piazza della Marina, un bel giardino all’italiana.
VILLA GLORI
Il parco delle Rimembranza creato per
ricordare i caduti della Prima Guerra Mondiale.
Il Comune di Roma, con delibera del 23 ottobre 1923, decise di trasformare l’area dove oggi è villa Glori, in Parco della Rimembranza dedicato ai caduti della Grande Guerra. Il progetto del nuovo parco fu affidato a Raffaele de Vico, architetto del Servizio Giardini, in soli otto mesi creò un giardino per passeggiate immerse nel verde mediterraneo di pini, lecci, querci, lauri, aceri, cedri, ippocastani ed ulivi, tutti puntigliosamente allineati a filari. Il parco fu inaugurato il 18 maggio 1924. Una grande croce e un enorme altare sono la memoria tangibile dei caduti in guerra.
Venne scelto questo luogo perché il 23 ottobre 1867 qui avvenne uno scontro tra le truppe pontificie e una settantina di patrioti al comando dei fratelli Cairoli. Tale azione doveva scatenare l’insurrezione della popolazione romana, cosa che avvenne ma in misura minore, ma soprattutto doveva anticipare e giustificare l’intervento di volontare guidati da Garibaldi. Purtroppo i patrioti venne sopraffatti dalle truppe pontificie e uccisi, sulla sommità dell’altura si trova ancora un ramo secco di mandorlo dove morì Enrico Cairoli, mentre il fratello Giovanni, gravemente ferito, morì poco dopo. I superstiti raggiunsero Mentana dove combatterono con Garibaldi. In quegli anni vi era una vigna proprietà di un tale Vincenzo Glori, in essa anche un casale poi riadattato ad uso agricolo.
L’idea di farne un parco pubblico era già prevista dal piano regolatore del 1883, si iniziò con gli espropri e nel 1895 fu inaugurata una colonna in marmo di Pietrasanta a ricordo dei patrioti del 1867. Nel 1924 il parco venne inaugurato. Nel 1929 fu avviata la costruzione di tre padiglioni in legno destinati ad ospitare una colonia estiva per i bambini dalla salute precaria, il Dispensario Marchiafava. Dal 1988 tali padiglioni sono stati affidati alla Caritas che ne hanno fatto una casa famiglia per malati di Aids. Nel 1997, sindaco Francesco Rutelli, su idea della critica d’arte Daniela Fonti, il Comune di Roma ha promosso la costituzione di un parco di scultura contemporanea all’aperto intitolata Varcare la soglia che voleva esprire la possibilità di integrazione tra luogo di sofferenza e luogo di svago. Sono state così installate opere di Dompè “Meditazione”, Mattiacci “Ordine”, Mochetti “Arco-laser”, Caruso “Portale mediterraneo”, Castagna “Monadi”, Kounellis “Installazione”, Nunzio “Linea”, Staccioli “Installazione”. Nel 2000 si sono aggiunti “La porta del Sole” di Giuseppe Uncini e “Uomo erba” di Paolo Canevari. Nel 2003, alle spalle del mandorlo di Enrico Cairoli, è stata collocata una piccola lapide dedicata ai carabinieri morti a Nassiryia, in Iraq.
PALAZZO BRASCHI
In questi giorni una mostra fotografica
ripercorre gli anni di guerra vissuti dalla popolazione civile romana.
Dal 29 ottobre al 30 aprile 2015 è in corso la mostra “Roma e la grande guerra, la capitale d’Italia in 35 immagini”. La sala della Fotografia al secondo piano del Museo di Roma, appositamente riallestita in occasione del centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia, ospita 35 immagini provenienti dai fondi dell’Archivio Fotografico del Museo stesso che illustrano come Roma, anche se lontana dal teatro degli scontri, affrontò da protagonista quegli anni.
Si possono vedere la serie di fotografie, attribuite a Giuseppe Primoli, riferita all’incontro tra Guglielmo II e Leone XIII in Vaticano o altre, attribuite a Carlo Tenerani, del passaggio del corteo in via Nazionale in occasione della visita a Roma di Edoardo VII d’Inghilterra. Alcune immagini della Fotografia Molitari registrano l’arrivo di Gabriele D’annunzio a Roma e l’attesa per il suo discorso in Campidoglio nel maggio 1915 in favore dell’entrata in guerra dell’Italia. Altre immagini documentano le manifestazioni interventiste in piazza di Spagna e piazza del Quirinale. Nella vetrina al centro della sala vi sono alcune rare foto dal fronte alpino di tre reduci romani: i fratelli Emilio e Mario Giglioli, militari di carriera e l’archeologo Giulio Quirino Giglioli, volontario. Particolarmente suggestiva la foto che ricorda l’esplosione della cima del Col di Lana, minata dagli italiani nell’aprile 1916.
Al termine della mostra le immagini della tumulazione del Milite Ignoto il 4 novembre 1921, in una foto il re, Ivanoe Bonomi e il duca d’Aosta eroe della guerra.
PIAZZA RISORGIMENTO
MUSEO STORICO DEI CARABINIERI
Nel museo viene ricostruita la storia del corpo
e il suo contributo durante il primo conflitto mondiale
con molti cimeli.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale i carabinieri si distinsero nelle battaglie dell’Isonzo, del Carso, del Piave, sul Sabotino e San Michele, in particolare sulle pendici del Podgora. I carabinieri furono i primi ad entrare a Gorizia il 9 agosto 1916. Il 2 novembre 1918 circa 200 militari del Battaglione Carabinieri Mobilitato presso il Comando Supremo, furono i primi a sbarcare a Trieste liberata. Il loro comandante Umberto Russo fu il primo a toccare il suolo di Trieste. Durante il conflitto caddero 1.400 carabinieri, 5.000 furono feriti. Ai reparti e singoli militari furono conferiti una Croce all’Ordine Militare di Savoia, 4 medaglie d’Oro, 304 d’Argento, 831 di bronzo, 801 Croci di Guerra e 200 Encomi solenni, tutti al valor militare.
Tutto ciò è documentato nel museo che esiste dal 3 dicembre 1925, allora disponeva di sole sei sale, dal 1937 si estende su tutta la palazzina di fine Ottocento che è stata ristruttura e decorata per il nuovo ufficio dall’arch. Scipione Tadolini. Nel 1985 il museo è stato ristrutturato e ammodernato, alla sua inaugurazione è intervenuto il ministro della difesa Spadolini.
LUNGOTEVERE CASTELLO
CASA MADRE DEI MUTILATI E DELLE VEDOVE DI GUERRA
I romani lo chiamano il “Pentagono”, perché ha una pianta pentagonale con cortile interno. Costruito tra il 1925 e il 1937 su progetto di Marcello Piacentini, presenta al suo interno un ciclo di affreschi che esaltano i vari corpi dell’esercito nella prima guerra mondiale.
Nella sala Pietro Ricci si trovano medaglioni con teste di uomini illustri: Francesco Rismondo, Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro, Cesare Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa, sono opere di Ettore Colla in collaborazione con Federico Papi. La decorazione parietale realizzata su cartoni è di Edoardo Del Neri.
Sulla facciata esterna il motivo di teste di fanti con l’elmo è di Giovanni Prini, la facciata esterna lato nord con Due angeli che porano la bandiera è sempre di Giovanni Prini.
Nel cortile delle Vittorie l’Aquila è di Ettore Colla, nel lato est le Battaglie combattute dai soldati italini sono di Cirpiano Efisio Oppo (1936-37), quelle del lato ovest sono di Antonio Giuseppe Santagata, la Vittoria è di Guido Galletti. Nel vestibolo est le erme di giulio Giordani e Fulcieri Paulucci de Calboli sono di Adolfo Wildt.
Nel sacrario delle Bandiere si trova l’affresco del Duce con Vittorio Emanuele II a cavallo, opera di Mario Sironi del 1938.
APPENDICE
L’ARTE NELLA GRANDE GUERRA
Agli inizi del Novecento il panorama artistico europeo e nordamericano è sconvolto da una serie di movimenti artistici d’avanguardia che cambiano completamente il modo di esprimersi degli artisti, le tecniche usate e il ruolo stesso dell’artista nella società. Si tratta di movimenti di rottura, che si rifiutano di operare come tutte le generazioni precedenti.
In Italia il movimento artistico d’avanguardia prese il nome di Futurismo. Nel 1909 viene pubblicato il manifesto del Futurismo che interessa la letteratura, il teatro e il cinema, seguito nel 1910 dal manifesto della pittura futurista e nel 1912 da quello dell’architettura. Il sogno del futurista è quello di distruggere tutto il passato, solo il futuro può esistere e ad esso bisgona tendere, rinnovandosi continuamente, abbandonando le regole imposte dalla tradizione. Le immagini non possono che essere nuove in un mondo sempre più rinnovato dalle macchine. La rappresentazione del movimento è dunque alla base della pittura e scultura metafisica. I principali esponente del futurismo furono Giacomo Balla e Umberto Boccioni (che morirà nel corso della prima guerra mondiale). Ma furono elementi di spicco anche Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo.
Molti di questi artisti videro nella guerra “l’igiene del mondo”, l’evento che poteva cambiare la storia del paese e dargli il posto di rilievo che meritava. Furono quindi interventisti. Basta andare alla Gnam dove si possono vedere i quadri di Giacomo Balla che parlano delle manifestazioni in favore dell’entrata in guerra dell’Italia, le manifestazioni di cui abbiamo riferito a piazza Esquilino, Campidoglio e Quirinale. Un quadro per tutti: “Forme grido Viva l’Italia” di Giacomo Balla del 1915. Molti di questi nel primo dopoguerra aderirono al fascismo (Balla realizzò un quadro sulla Marcia su Roma ispirato chiaramante al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo), anche se il regime li tenne sempre ai margini come è nel caso di Filippo Tommaso Marinetti. Marinetti venne arrestato dopo l’attentato di Sarajevo per aver bruciato bandiere austriache in piazza Duomo a Milano, appena l’Italia entrò in guerra partì volontario.
I comandi militari avevano al proprio servizio pittori e disegnatori, oltre che fotografi; tutti costoro si recarono sui luoghi di battaglia e riportarono veri e propri documenti artistici e storici dei fatti che via via accadevano. Tra tutti costoro un nome importante è quello di Giulio Aristide Sartorio. Partito come volontario, viene ferito e fatto prigioniero. Liberato torna al fronte illustrando 27 episodi bellici ora alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. Un posto a sé meritano i dipinti di guerra del pittore-soldato Italico Brass, inviato in zona di guerra per ritrarre gli aspetti più emozionanti e significativi del conflitto in corso.
Un altro artista importante morto nella guerra fu Antonio di Sant’Elia, architetto esponente del futurismo. I suoi disegni rappresentano edifici nei quali immaginava città composte di più edifici multilivello che si potevano connettere tra di loro. Si guadagnò una medaglia d’argento sul Monte Zebio, mentre guidava un assalto alla trincea nemica morì a quota 85 presso Monfalcone (10 ottobre 1916). Nello stesso luogo, il 6 agosto, era morto Enrico Toti.
Si schierarono contro la guerra Gaetano Previati, Ardengo Soffici e Plinio Nomellini.
UN DIARIO DI GUERRA
Sul finire del 2013 l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano[4] e il Gruppo L’Espresso hanno dato il via al progetto “La Grande Guerra, i diari raccontano”.
In esso alcune tra le più belle pagine autobiografiche di persone che hanno vissuto la guerra sono state raccolte, si sono ottenuti così 1.000 brani selezionati di 150 autori diversi. Si tratta di un campione emblematico dell’intero paese: diari, memorie ed epistolari provengono da tutte le regioni italiane, da tutti i ceti sociali, da tutti i gradi gerarchici dell’esercito, da tutti i fronti sui quali l’Italia ha combattuto: dal Carso, all’Isonzo, alla Macedonia, all’Albania, agli italiani nei territori soggetti all’Austria (terre irredente) schierati sul fronte Orientale, fino alla Legione Redenta schierata in Siberia.
Un gruppo di ricerca ha individuato un elenco di temi che hanno connotato la vita di militari e civili: la condizione di vita di militari nelle trinceee (la fame, il freddo), gli aspetti della sfera emotiva (paura, odio), gli aspetti dei combattimenti veri e propri. Ne risultano così alcune parole chiavi per estrapolare dai diari dei brani lunghi all’incirca un articolo di giornale, ognuno con un titolo e un sottotitolo come proprio negli articoli dei giornali. Infine i brani scelti sono stati arricchiti di fotografie in gran parte inedite.
Il tutto è visibile sul sito espressonline.it/grandeguerra/.
Dal diario di Pietro Tucci (Laterza TA 1879 – Roma 1965), coltivatore diretto del sud d’Italia, combattente della prima guerra mondiale sul Piave insieme ad altri sei fratelli maschi, trasferitosi a Roma nel 1939. Nel suo diario inedito racconta che “durante la notte avvenivano i trasferimenti della truppa. Una notte mi spostavo con il mio reparto nelle trincee, mentre un altro reparto camminava in senso opposto, si vennero così a formare due lunghe file di uomini che camminavano nelle opposte direzioni. Ad un tratto un ordine: - Alt! Uguale ordine ricevette la fila opposta: - Alt! Venni così ad urtare il commilitone della fila che procedeva in direzione opposta alla mia. In quel momento mi accorsi che quel soldato era mio fratello Ciccillo. Subito ci abbracciammo, il tempo di scambiare due parole: - Come stai? Che notizie hai della famiglia? Nuovamente venne dato l’ordine: - Avanti! E ancora per l’altra colonna: - Avanti! Ci salutammo, un altro abbraccio… ognuno per la sua strada. Ci saremmo rivisti?”. Tutti e sette i fratelli Tucci tornarono dalla guerra, sani e salvi.
“Durante i periodi di pausa dei combattimenti, che a volte duravano giorni interi, i soldati italiani venivano a contatto con gli austriaci. Loro offrivano alcolici e ci chiedevano il pane, così avvenivano degli scambi”.
Durante una licenza, che veniva data anche per assolvere ai lavori nei campi: “La corriera che mi portava nella piazza del paese passa sotto casa mia. Riconosco mia moglie con in braccio un piccolino di meno di un anno. Tra me e me penso:- Chi sarà quel bambino? Un attimo dopo: - Ma certo, quello è mio figlio, nato mentre io ero al fronte”. Si trattava del figlio Nicola nato il 29 luglio 1917.
IL CICLISMO DURANTE LA GRANDE GUERRA
Il 1914 è l’ultimo anno di gare prima della Grande Guerra. Il Giro di quell’anno è una delle massime espressioni del ciclismo epico e torturatore. Otto tappe di quasi 400 Km di media, già la prima Milano-Cuneo presenta la neve sul Sestriere, nella seconda una mareggiata in Liguria, nella terza Lucca-Roma di 430 Km fuga inutile di Lauro Bordin di 350 Km. Alla fine vince Calzolari con quasi due ore di vantaggio sul secondo Albini. Soltanto otto corridori concludono la gara. Per la prima volta la classifica è stata a tempi.
Al Tour si segnala il toscano Pratesi, quarto tra gli isolati. Il Tour è vinto dal belga Thys. Girardengo vince il campionato italiano e la Milano-Torino. La Sanremo è vinta da Ugo Agostoni, atleta che morirà prematuramente. In suo onore si corre la Coppa Agostoni nel mese di agosto, con arrivo a Lissone in Brianza.
Lo svizzero Egg si riprende (lo aveva superato Berthet) il record dell’ora con 44,247 a Parigi Bufalo, il primato verrà battuto solo nel 1933 da Richard.
BIBLIOGRAFIA
- AA.VV. Guida d’Italia, Roma, ed. Tci, 1993.
- AA.VV. Roma, libri per viaggiare, ed. Gallimard – Tci, 1994.
- AA.VV. I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton & Compton, 1989.
- AA.VV. Le strade di Roma, ed. Newton & Compton, 1990.
- Claudio Rendina (a cura di), Enciclopedia di Roma, ed. Newton & Compton, 2005.
- Sabrina Ramacci, 1001 cose da vedere a Roma almeno una volta nella vita, ed. Newton Compton, 09.
- Giorgio Spini, Disegno storico della civiltà, ed. Cremonese, 1963.
- Sandro Picchi, Mario Fossati, Alfredo Martini, Gian Paolo Ormezzano, La storia illustrata del Ciclismo, ed. La Casa dello Sport, 1987.
- Talamo e altri, Museo Centrale del Risorgimento, ed. Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 2001.
- Sergio Lambiase – Luisella Bolla, Storia Fotografica di Roma, vol. I e II, ed. Intra Moenia, 2002.
- Cinzia Caiazzo e altri, La Grande Storia del Novecento, Mondadori, 2006.
- Eva Paola Amendola, Storia fotografica del Partito Comunista Italiano, ed. Riuniti, 1981.
SITOGRAFIA
- Racconta.gelocal.it, per i diari di guerra.
- Marina.difesa.it, per il sacrario delle bandiere al Vittoriano.
- Monumentigrandeguerra.it per monumento al ferroviere.
- Esercitodifesa.it per i musei dei bersaglieri, fanteria e carabinieri di Roma.
- Sovraintendenzaroma.it per villa glori.
- Museodiroma.it per palazzo braschi.
- Anaroma.it per monumento all’alpino.
- Museocanonica.it per monumento all’alpino.
Tucci Piero
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[1] Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) 1867 – Aquileia 1952).
[2] Amleto Cataldi (Napoli 1882 – Roma 1930) frequentò l’Accademia di Roma dove conobbe Boccioni. Suo il monumento alla Guardia di Finanza in viale XXI Aprile, una delle Vittorie alate sul ponte Vittorio Emanuele, la statua di Leonardo da Vinci a Amboise, gruppi bronzei per lo Stadio Nazionale. Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale in via Crispi si trova la statua Portatrice d’acqua del 1916. Omonima statua, ma di grandi dimensioni alla Gnam nel Caffè delle Arti.
[3] Arturo Dazzi. (Carrara 1881 - Pisa 1966) scultore di Carrara, suo l'Arco della Vittoria di Genova, fu anche pittore. Alla Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale si trova la sua scultura "Antonella". Alla Gnam "I costruttori" del 1907, una delle su prime opere. Suo l'obelisco (o stele) dell'EUR con i rilievi dedicati a Marconi. Il cinema Corso, ora spazio Etoile aveva una cupola apribile da lui decorata. Sue opere nella chiesa di Don Bosco a Roma. Realizzò un colosso marmoreo in piazza della Vittoria a Brescia, simbolo del fascismo, rimosso dopo la liberazione e ora nei depositi comunali.
[4] Pieve Santo Stefano comune in provincia di Arezzo di 3.200 ab. Vi è nato Amintore Fanfani.
[1] Ripercussioni economico sociali della Grande Guerra. La parte tra virgolette è presa da: Giorgio Spini, Disegno Storico della Civiltà, ed. Cremonese, vol.III, pag. 335/336, 1963.