VIA TIBURTINA

 

LUNGO L’ANTICA STRADA CONSOLARE ROMANA

VISITIAMO TRE INSEDIAMENTI DI CASE POPOLARI

DI TRE EPOCHE E DI TRE STILI DIVERSI

 

La via Tiburtina, di antichissima origine prende nome da Tibur, Tivoli, fu per millenni il percorso più diretto per la transumanza dai monti dell’Abruzzo alle pianure tirreniche. In epoca repubblicana iniziava dalla porta Esquilina (l’odierno arco di Gallieno) delle mura Serviane, dopo l’erezione di quelle Aureliane dalla porta Tiburtina; al 307 a.C. risale il suo prolungamento attuato dal console Marco Valerio Massimo (da qui il nome di Tiburtina Valeria) fino a Corfinio, vicino Sulmona (da Guida di Roma del Tci, 1993). Da Corfinio venne prolungata fino ad Aternum oggi Pescara dall’imperatore Claudio, questa parte prese il nome di Claudia Valeria. Oggi è la SS5 è meno frequentata perché tra il 1969 e il 1978 è stata costruita l’autostrada dei Parchi (A24) per l’Aquila e la sua diramazione per Pescara.

 

TIBURTINO III O BORGATA

DI SANTA MARIA DEL SOCCORSO

Costruita dall’Istituto Case Popolari progettato da Giuseppe Nicolosi con Roberto Nicolini nel 1936-37 nelle vicinanze del forte Tiburtino ed esplosa a partire dal 1952. I palazzi della primitiva borgata sono stati demoliti a partire del 1974, al suo posto negli anni Ottanta e Novanta sono sorti nuovi palazzi che hanno cambiato il volto alla borgata.

 

Ad indicare il cambiamento dei tempi, ecco un ristorante cinese-giapponese che vuole imitare le architetture orientali. Per una curiosa ironia le strade hanno i nomi di strumenti agricoli e di musicisti: badile, tridente, Mozart, Debussy e così via. A sottolineare le vicissitudini urbanistiche della borgata è la diversissima tipologia edilizia, non c’è alcuna uniformità nei palazzi che negli anni si sono costruiti, non c’è stata nessuna cura nell’assicurare agli abitanti una uniformità edilizia. Questo aspetto sottolinea ancora di più lo spaesamento che c’è nella periferia, ciò vale per Roma, ma non solo, forse per tutte le grandi città del mondo.

 

La stazioneSanta Maria del Soccorsodella metro B dal 5 marzo 2022 presenta un murale a Pier Paolo Pasolininel centenario esatto della sua nascita. Con lui sono raffigurati i fratelli Sergio e Franco Citti, amici inseparabili del poeta, quelli che hanno fatto conoscere Roma e il suo dialetto al poeta e regista. Il murale è opera di Leonardo Crudi.

 

Il forte Tiburtino era una delle quindici fortificazioni erette per difendere la giovane capitale dello stato italiano tra il 1878 e 1884 oltre a tre batterie (Nomentana, Porta Furba e Appia Pignatelli). I forti si trovano ad una distanza di 3-4 Km dalle mura Aureliane, tra i due e i quattro km tra loro, erano tutti a pianta esagonale e nominati con i nomi delle strade di accesso alla città che difendevano. Tutte le strutture furono poco o nulla utilizzate a causa della vicinanza alla città e alla evoluzione dei sistemi balistici a maggiore gittata che li avrebbero scavalcati, quindi con Regio Decreto del 1919 vennero radiati dal novero delle fortificazioni e utilizzati come caserme o depositi militari. Lentamente la città li ha inglobati.

Nel libro di Gaia Remiddi e altri dal titolo "Il moderno attraverso Roma" a pag. 140 si legge: "...i forti erano organismi difensivi poligonali costruiti su alture... edifici bassi, quasi un semplice corrugamento del terreno, hanno il fronte principale costituito da un muro a leggero saliente lungo 200 metri, i fianchi assai più brevi e circondati da un fosso asciutto con muro di controscarpa... l'aspetto più interessante di questi è la compenetrazione con l'ambiente naturale dell'agro romano...".

 

CHIESETTA DI SANTA MARIA DEL SOCCORSO

Si tratta della tipica chiesetta di borgata, molto semplice, con portichetto e tre navate, soffitto spiovente con capriate in legno e tegole, all’altare maggiore un’immagine della Madonna del Soccorso di pittore ottocentesco donata alla parrocchia dalla famiglia Pasquali nel 1946. La chiesa ha davanti a se un sagrato semicircolare, è arretrata rispetto alla via Tiburtina. E’ stata costruita tra il 1937 e il 1938 su progetto dell’architetto Tullio Rossi1e consacrata il 24 settembre 1938. Il territorio della parrocchia venne desunto da quello della basilica di San Lorenzo fuori le mura.

A sinistra della chiesa si trova una fontana, purtroppo asciutta con alla base una stupenda pigna sorretta da filiformi mani, sembra di gesso, causa il calcare, ma è in bronzo. E’ opera del maestro Alfiero Nena che è l’autore del Cristo Lux Mundi che si trova a sinistra dell’altare maggiore di Santa Maria del Popolo.

 

VIA DEL BADILE

Strada dal volto moderno. Lapide e circolo Arci ricordano Caterina Zinpolino Martinelli, martire della lotta di Resistenza. Venne uccisa dai fascisti perché riportava a casa il pane che aveva preso in un forno assaltato nelle vicinanze con altre donne.Scrive Carla Capponi: “Il tre maggio 1944 Caterina Martinelli guidava l’assalto di un forno delle donne di Tiburtino III. Mentre ritornavano nelle loro baracche con le sporte piene di pane, vennero bloccate da un milite della PAI. Al rifiuto di cedere il pane, le spararono con un mitra, Caterina venne colpita a morte mentre teneva in braccio uno dei sette figli”. Dal sito dell’ANPI. Un premio letterario alla sua memoria viene attribuito a Colli Aniene. Una via gli è intitolata a Colli Aniene.

La via presenta un edificio a portici, con negozi e tre piani sopra di essi. Sulla destra si trova il parco Tiburtino III,in fondo alla strada ecco il largo Boiano con il parco Marisa Marcellino, realizzato dalla regione Lazio nel 2021 con una spesa di 250.000 euro, vi sono stati piantati 300 fra alberi e arbusti. E’ intitolato alla storica presidente del comitato di quartiere che si è battuta per la realizzazione di aree verdi e spazi sociali. Nel parco un bel murale ad Anna Magnani, realizzato da Lucamaleonte2nel maggio 2021. La parallela via di Grotta di Gregna conduce al quartiere di Colli Aniene.

 

 

INA CASA TIBURTINO

TIBURTINO IV

Il quartiere Ina Casa Tiburtino (detto anche Tiburtino IV) sorge al Km 7 della via Tiburtina tra via Diego Angeli e via Lucatelli, fu costruito tra il 1949 e il 1954, fu progettato da Ludovico Quaroni3e Mario Ridolfi (capigruppo).

Il quartiere Ina Casa Tiburtino fa parte del quartiere Collatino di Roma (Q XXII) che si sviluppa tra Tiburtina e Prenestina, via di Portonaccio e viale Palmiro Togliatti. Oggi il quartiere fa parte del IV Municipio del Comune di Roma che ha sede in via Tiburtina n. 1163. Le strade del quartiere sono intitolate a giornalisti.

Area totale mq 88.000, area coperta mq 17.068, alloggi realizzati 771, vani 4.006.

 

Spetta a Mario Ridolfi4e a Ludovico Quaroni coordinare un gruppo di giovani per la costruzione del primo quartiere Ina Casa romano: il Tiburtino. Progettazione ed esecuzione si svolgono in un clima di grandi aspettative, tipico del dopoguerra. Le perplessità sorgono in seguito. Quaroni definirà il Tiburtino “il paese dei barocchi”, Ridolfi non andrà mai più a vederlo. Nel 1974 in un’intervista a Controspazio n. 3 Ridolfi ricorda: “Avevo fatto il tracciato stradale, dato la posizione degli edifici. Mi ero raccomandato che i progetti seguissero l’andamento del terreno… di non alterare il carattere ambientale… volevamo dare un carattere paesano…”. Il populismo neorealista del Tiburtino nasce dalla consapevolezza di un ruolo sociale dell’architettura; alla retorica, alle manie di grandezza, all’autoritarismo del regime fascista si contrappone ora una modestia artigiana. Il dato reale è comunque quello di contenere i costi, usare materiali italiani; la dimensione “paese” offre la soluzione più economica e semplice.

Nelle case in linea: strutture portanti in muratura di blocchi regolari di tufo con ricorsi in mattoni intonacate esternamente; nelle case a torre: struttura in cemento armato e tamponatura in forati intonacati. I colori degli esterni erano basati su due o tre gradazioni di “terre romane”. Ridolfi progetta quattro case a torre di sette piani, tre edifici a schiera di tre piani, tre edifici a quattro piani, quattro edifici a quattro e cinque piani nella zona centrale e i negozi. Quaroni e Fiorentino progettano l’edificio in linea a doppia T nella zona centrale.

Tra via Tiburtina, via Diego Angeli e via Cesana ci sono le “Case a ballatoio”, si tratta di una tipologia di case a schiera di tre piani con un alloggio a piano, questo gira intorno a un patio da cui prende luce. Gli alloggi ai piani superiori sono distribuiti da un ballatoio, una sorta di strada sopraelevata. L’insieme reinventa le case cinque seicentesce dell’alto Lazio.

In via dei Crispolti abbiamo le “Case in linea” di Quaroni e Fiorentino. Il lungo corpo snodato, elemento centrale del quartiere , è formato dall’assemblaggio di più corpi edilizi, a volte con leggeri slittamenti, altre con decise rotazioni. I punti di cerniera sono risolti , ad esempio, con le scale triangolari che smistano gli alloggi sfalsati in altezza. Le logge, ora esagonali, ora rettangolari, o di altra foggia, creano effetti volumetrici e chiaroscurali diversificati sulle facciate.

Tra via Diego Angeli e via Luigi Cesana si trovano le tre “Case a torre”, alte sette piani, queste fanno da contrappunto alle case a schiera basse e vogliono rappresentare un elemento di eterogenità nel quartiere.

 

Il quartiere è stato definito da alcuni critici “neorealista” per le contemporanee ricerche cinematografiche e artistiche per l’effettiva povertà dei mezzi tecnici dovuta al contenimento dei costi e per l’attenzione alla vita delle classi popolari.

 

Si consiglia di iniziare a visitare il quartiere da via Luigi Cesana, entrare in via Arbib per ritrovarsi in un interno delle case a schiera, percorrere via Diego Angeli per vedere le case a ballatoio, girare in via di Crispolti per notare l’articolazione delle case a schiera, arrivati in fondo alla via ci si trova nel parco di VILLA FASSINI, di cui è allo studio la riqualificazione sollecitata dall’associazione di quartiere Astart, in fondo al viale alberato si trova la sede del Gruppo Autostrade, Centro di Formazione, il cui ingresso è da via Giuseppe Donati. Si risale via Luigi Lucatelli e si discende via Luigi Cesana per finire l’itinerario davanti alla

 

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE

Costruita tra il 1965 e il 1971, venne consacrata il 22 ottobre 1971 dal card. Vicario Ugo Poletti, ma già dal 1959 era una vicecura della chiesa di Santa Maria Consolatrice a Portonaccio. E’ stata progettata dall’arch. Saverio Busiri Vici5. Enormi costoloni curvi verticali vengono intersecati senza una voluta simmetria da ripiani sporgenti come terrazzi senza ringhiere. La chiesa si presenta come una pagoda sui generis. Il campanile è cilindrico. L’architetto volle rappresentare il costato di Cristo con lo sterno ben visibile, il cuore coincide con l’altare maggiore. Il 20 gennaio 1985 la parrocchia ha ricevuto la visita del papa Giovanni Paolo II. L’interno non ha una forma geometrica definita, è a pianta centrale con gli angoli ora concavi, ora convessi. Unico punto di colore è rappresentato dalle vetrate colorate dietro l’altare maggiore. Un’altra vetrata è nella cappella di sinistra. Il soffitto non presenta aperture, la luce penetra dagli spazi tra le travi in cemento armato orizzontali e verticali.

Sotto alla chiesa si sviluppa un teatro che ha le stesse dimensioni dell’aula ecclesiale.

 

STAZIONE TIBURTINA

E' la stazione dell'alta velocità di Roma. Inaugurata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 28 novembre 2011, in quell'occasione la stazione è stata intitolata a Cavour e all'interno si trova una stele alta 20 metri che pesa 13 t con il discorso del capo di governo per l'insediamento del primo parlamento del regno d'Italia nel quale si dichiarava che Roma era la capitale irrinunciabile dell'Italia. E' costata tre anni di lavori per 322 milioni di investimento, di cui 170 solo per la stazione6. Un incendio, nel luglio 2011, rallentò la fine dei lavori.

Costruita su progetto dell'arch. Paolo Desideri7 si compone di una doppia piastra che scavalca i binari, si tratta in pratica di un ponte che riunisce i quartieri Nomentano e Pietralata, tale ponte è lungo 360 metri, largo 60 e si erge nove metri sopra i binari. Ha al suo interno otto "bolle", come le chiama il progettista per i servizi, a vederle dal ponte sulla Tiburtina sembra che nuotano appese alla piastra superiore. I vetri hanno serigrafie diverse perchè ogni tessera deve filtrare il sole in modo diverso per garantire un microclima giusto. La stazione ha 7.000 mq di vetrate esterne, per la sua costruzione sono state necessarie 13.000 t di acciaio, quando sarà a pieno regime da qui passeranno 500 treni al giorno, di cui 140 freccia rossa e argento, 38 di lunga percorrenza, 140.000 passeggeri al giorno8. La stazione è dotata di 52 scale mobili, 29 ascensori e 20 binari.

Davanti alla facciata alta 22 metri, non ci sarà più la sopraelevata che verrà demolita, nascerà un viale con gli alberi. Per questa operazione di demolizione sono disponibili 5 milioni e 400.000 euro.

Sul lato di Pietralata è già pronto un parcheggio su due piani per 430 macchine. Nella piastra c'è anche posto per un teatro a gradoni con annesso un centro conferenze9. Il 21 aprile 2012 ha aperto la tangenziale sotterranea dallo svincolo dell'A24 alla Batteria Nomentana, strada di 3 km, costo di 165 milioni. E' stata aperta a sorpresa il giorno prima della sua inaugurazione10.

Il 9 aprile 2012 ha aperto Casa Italo, quindi anche i treni di Della Valle - Montezemolo partiranno da qui il 28.

 

Si tratta della prima stazione dell'alta velocità in Italia, a questa ha fatto seguito Torino Porta Susa nel 2012 e Napoli Afragola a fine 2012 costruita su progetto di Zaha Hadid, anche in questo caso un ponte sul fascio dei binari. Nel 2013 aprirà Bologna e nel 2016 Firenze Belfiore.

 

QUARTIERE SANT’IPPOLITO

TIBURTINO II

Il quartiere prende il nome dalla chiesa di Sant’Ippolito progettata dall’arch. Busiri Vici11, consacrata nel 1935. Completamente in laterizio ha la facciata preceduta da una breve scalinata e racchiusa tra due basse costruzioni a terrazzo. Campanile a base quadrata con trifora nella parte culminante, non si innalza al di sopra delle vicine case. Sulla sinistra si trova il cinema parrocchiale “Sala delle Provincie d’essai”. Sulla facciata la scritta: “Pax et bonum”. Interno a tre navate con vetrate policrome. Fu il papa Pio XI ha volere la chiesa intitolata a questo santo per la presenza delle vicine catacombe.

 

Alle spalle della chiesa si estende il QUARTIERE ICP SANT’IPPOLITO con la scuola Fratelli Bandiera in piazza Ruggero di Sicilia (la scuola del maestro Manzi) e la lapide ai caduti nella seconda guerra mondiale di via Adalberto, con una particolarità, si parla di un rione Sant’Ippolito che nella realtà non è mai esistito. Il quartiere venne costruito a partire dal 1926 con graziose casette popolari, è conosciuto anche come Tiburtino II per distinguerlo dal Tiburtino, ovvero il quartiere di San Lorenzo.

Da piazza Ruggero di Sicilia prendere in discesa via Berengario, presto si arriva in largo dello Scautismo, già largo Sant’Ippolito, di fronte a noi abbiamo un ostello della gioventù. Ancora dritti davanti a noi per via Adalberto, sulla sinistra si vede un bell’edificio di case popolari che reca la data del 1926. La strada piega di 90 gradi, sulla destra una bella scalinata porta in via della Lega Lombarda dove c’è la Casa a gradoni di Innocenzo Sabbatini (l’architetto del teatro Palladium alla Garbatella e del Palazzo Pubblico a Monte Sacro). Dopo la netta curva a 90 gradi seguono una bella serie di palazzi di edilizia popolare soprattutto sulla sinistra. Eccoci quindi in piazza Pontida. Spicca un bel cortile sul lato Nord. La strada termina in via Eleonora d’Arborea, la risaliamo, quindi pieghiamo alla prima a destra, via Giovanni da Procida. Eccoci in breve in via del Carroccio. Si tratta di un incrocio nel quale confluiscono ben quattro strade. L’incrocio è in parte pedonalizzato. Notiamo la varietà edilizia e la gradevolezza dell’insieme.

 

DEPOSITO ATAC DI

VIA DELLA LEGA LOMBARDA

CITTA’ DEL SOLE

Da alcuni anni il deposito è stato dismesso e dopo un periodo di abbandono venduto a privati (Parnasi) che lo hanno demolito e vi hanno costruito edifici per abitazioni e uffici. Si è salvata la pensilina di ingresso ad angolo, con il primo edificio (1939). Nei lavori di scavo per essi sono stati scoperti resti preistorici del Pleistocene e i colori del tardo Impero Romano. A dodici metri sotto il livello di calpestio sono stati ritrovati un vero e proprio deposito di fossili animali tra questi una zanna di quasi tre metri appartenente ad un elefante antico, animale progenitore del mammuth. Si tratta di un resto di 650.000 anni fa. Forse ancora più sorprendenti sono i resti di un insediamento abitativo che si è protratto dal V secolo a.C. fino al Rinascimento. La superficie occupata da questi resti è di 4.500 mq. In essa un mitreo del III secolo con un sole disegnato con tarsie marmoree. Completa i ritrovamenti una necropoli con almeno 130 sepolture. Una di queste contiene un sarcofago con elementi cristiani.

“Il nuovo complesso edilizio è denominato Città del Sole, è risultato vincitore di numerosi riconoscimenti internazionali”, da Repubblica del 18.10.17 Nel gennaio 2019 il II municipio ha lanciato il bando per una mediateca di 1.700 mq, costo 2,5 milioni di cui 0,9 incassati per oneri concessori. Da Repubblica del 6.1.19. Hai foto del complesso edilizio Città del Sole in costruzione.

 

Di fronte si trova la Multisala Jolly, in un edificio di stile razionalista degli anni Trenta.

Per tornare in piazzale delle Province percorriamo via della Lega Lombarda.

 

CASA ICP LEGA LOMBARDA

Spicca l’edificio progettato da Innocenzo Sabbatini12 per l’Istituto Case Popolari, del 1928-30, dalla caratteristica forma a gradoni, un crescendo che parte dall’angolo tra la via stessa e una scalinata che conduce in via Adalberto. Innocenzo Sabbatini è l’architetto che ha progettato il teatro Palladium alla Garbatella e il palazzo Pubblico a Monte Sacro.

 

BASILICA DI SAN LORENZO

Risulta dall’unione di due chiese: quella anteriore è del XIII sec., fu voluta da papa Onorio III, quella posteriore è del IV eretta da Costantino sulla tomba del martire Lorenzo. La chiesa ospita inoltre le spoglie di santo Stefano, primo martire cristiano.

Nel portico a sinistra la tomba di Alcide De Gasperi opera dello scultore Giacomo Manzù.

Interno. Nella controfacciata un sarcofago con scena nuziale del III secolo utilizzato come tomba dei Fieschi. Pavimento, amboni e candelabro pasquale cosmateschi sono del XIII secolo.

Fondo navata destra: Cappella di San Tarcisio di Vespignani.

Fondo navata sinistra: Cappella sotterranea di santa Ciriaca con le tombe Aleandri e Guglielmi su disegno di Pietro da Cortona.

Confessione: tomba di san Lorenzo di Virginio Vespignani.

Presbiterio: trabeazione con trofei di armi e foglie,

pavimento cosmatesco,

ciborio, firmato e datato 1148, il più antico che abbia la firma,

cattedra episcopale del 1254.

Arco trionfale rivolto ai fedeli con mosaici.

Cappella di Pio IX.

Dalla cappella di San Tarcisio si accede al chiostro del XII secolo in cui vi è l’ingresso alle catacombe di Ciriaca o di San Lorenzo.

(da Guida di Roma del Tci, 1993).

Foto della basilica bombardata in Pafi Benvenuti, Roma in guerra, ed. Oberon, 1985, pag.6.

Il 19 giugno 2007 le più importanti agenzie di stampa italiane riportano la notizia che il Santo Graal si trova a Roma proprio in questa basilica, a sostenere l’ipotesi è l’archeologo Alfredo Barbagallo che ha compiuto ricerche in questo senso negli ultimi due anni (da wikipedia.org).

 

Sul piazzale di san Lorenzo monumento al papa Pio XII (Eugenio Pacelli 1939-1958) di Antonio Berti del 1967, che si recò in visita al quartiere subito dopo il bombardamento del 19 luglio 1943. Si passa nel contiguo piazzale del Verano, qui è l’ingresso al cimitero omonimo.

 

PORTA TIBURTINA

Da piazzale Tiburtino si prende via di porta Tiburtina fino ad arrivare a porta Tiburtina. E’ la porta da cui esce la via Tiburtina ma la sua storia inizia molto prima della costruzione delle mura Aureliane.

Nel 5 a.C. Augusto costruì infatti un arco in questo punto dove si incontravano tre acquedotti: l'Acqua Marcia, l'Acqua Iulia e l'Acqua Tepula. L'arco, sotto cui passava la via Tiburtina, fu poi restaurato da Tito e Caracalla.

Tra il 271 e il 275 l'arco venne inglobato nelle mura Aureliane, come la casa privata nei pressi della porta. Inoltre la porta si trovava subito prima della biforcazione con la via Collatina che conduceva a Collazia (oggi castello di Lunghezza). Anche questo tratto di mura e la porta furono restaurate e liberate dai detriti che vi si erano accumulati da Onorio nel 401-2, inoltre costruì una seconda struttura, posta esternamente alla prima, sulla cui sommità furono aperte cinque piccole finestre, che illuminavano la camera da cui veniva manovrata la cancellata di chiusura di emergenza della porta.

Una iscrizione quasi integra riporta, oltre alle lodi degli imperatori Arcadio e Onorio, il nome di Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma, e l'anno, il 402. In tale iscrizione è stato abraso il nome di Stilicone, generale romano accusato di intesa con il nemico, ma lo stesso non è avvenuto sulla iscrizione di porta Maggiore.

A partire dall'VIII secolo la porta comincia ad essere chiamata porta San Lorenzo perchè conduceva alla basilica con la tomba del santo. Dalla porta venne costruito un portico che conduceva alla basilica come avveniva per San Pietro e per San Paolo. La porta venne anche chiamata Capo de Bove o Taurina per i bucrani (teste di toro) che decorano sia il travertino dell'arco di Augusto che l'architrave della porta esterna. Siccome quello interno è più grasso il popolo pensò che voleva alludere che chi vive in città è più nutrito rispetto a chi vive oltre le mura.

Il 20 novembre 1347 la porta fu spettatrice della battaglia tra Cola di Rienzo e i baroni comandati da Stefano Colonna il Giovane. Cola di Rienzo riportò una schiacciante vittoria.

L'arco di Augusto, quello interno, in travertino, ha l'attico attraversato dai tre acquedotti, reca in alto l'iscrizione che ricorda Augusto, un'altra al centro che ricorda Caracalla che restaurò l'acqua Marcia (Tepula), l'ultima in basso che ricorda Tito, anche lui restauratore dell'Acqua Marcia.

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

- AA.VV. Guida d’Italia, Roma, ed. Tci, 1993.

- AA.VV. Roma, libri per viaggiare, ed. Gallimard – Tci, 1994.

- AA.VV. I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton & Compton, 1989.

- AA.VV. Le strade di Roma, ed. Newton & Compton, 1990.

- Claudio Rendina (a cura di), Enciclopedia di Roma, ed. Newton & Compton, 2005.

- Carlo Villa, Le strade consolari di Roma, ed. Newton Compton, 1995.

- Stefania Quilici Gigli, Roma fuori le mura, ed. Newton, 1986.

- Irene de Guttry, Guida di Roma moderna, ed. De Luca 1989.

- Gaia Remiddi e altri, Il moderno attraverso Roma, ed. Groma, 2000.

- Piero Ostilio Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna, ed. Laterza, 1991.

- Appunti dalla mostra all'Ara Pacis, Le città di Roma, aprile 2011. Appunti personali.

www.romasparita.eu (con bellissime foto d'epoca)

www.info.roma.it (notizie generali, sito in costruzione ricco di foto e proposte di itinerari)

www.abcroma.com (di tutto su roma, notizie generali e itinerari)

 

 

 

1 Tullio Rossi (Roma 1903 – Milano 1997) Dopo la laurea in architettura lavorò nello studio di Busiri Vici, collaborò nel restauro di villa Spada, progettò ville a Forte dei Marmi, a Cortina, il comprensorio di Calamoresca a Porto Santo Stefano. Vinse il concorso per il restauro di Ponte Vecchio a Firenze. Redasse il piano paesistico dell’Olgiata e numerose ville in quel comprensorio tra il 1960 e il 1963. Realizzò circa 50 chiese a Roma come architetto della Pontificia Opera Nuove Chiese, tra queste la Natività di via Gallia, San Tarcisio al Quarto Miglio nel 1939, San Giovanni Battista de Rossi nel 1940, Santa Maria della Fiducia a Finocchio nel 1940, Santa Maria delle Grazie a via Angelo Emo, San Francesco e Santa Caterina da Siena patroni d'Italia alla circonvallazione Gianicolense, Regina Pacis a Monteverde Vecchio, Santa Galla alla circonvallazione Ostiense, Sant'Emerenziana al quartiere Trieste, di Santa Maria Assunta in via Capraia al Tufello ma è anche la parrocchia del complesso Icp Vigne Nuove, la chiesa di Santa Maria Causa Nostra Letiziae in piazza Siderera al Villaggio Breda, sulla Casilina, altezza Grotte Celoni (da Irene de Guttry, cit. e casa della architettura.it). Di ben diverso tenore è la chiesa di Santa Maria Goretti nella via omonima al quartiere Trieste del 1956.

2 Lucamaleonte street artist che ha realizzato il murales sulla facciata del deposito Atac di piazza Ragusa e il murales a Totti in via Sibari sul muro della scuola Media Pascoli. Suo il murales ritratto a Proietti al Tufello pochi giorni dopo la scomparsa dell’attore. Al Quadraro, in via Monte del Grano, ha realizzato il murales del Nido di Vespe. Alla Garbatella, in via Ignazio Persico un murales ritratto di Alberto Sordi. Nel maggio 2021 un murale ad Anna Magnani a Tiburtino III.

3 Ludovico Quaroni. (Roma1911-1987) La piazza dell'E42 oggi Marconi con altri, il quartiere INA Casa Tiburtino al settimo chilometro della Tiburtina, il quartiere "La Martella" a Matera, la palazzina la Tarataruga in via Innocenzo X con Carlo Aymonino nel 1951, il complesso polifunzionale a Grosseto in piazza Rosselli, la Chiesa Madre di Gibellina (1972), il quartiere di Casilino 23. A lui è intitolata la facoltà di architettura di Valle Giulia.

4Mario Ridolfi.(1904-) Il palazzo postale di piazza Bolognanel 1933, il palazzo oggi della FAO nel 1938 con altri, intensivo in via Cesare Baronio 32 nel 1942, il quartiere INA Casa Tiburtino con altri, otto case a torreper INA assicurazioni tra viale Etiopia, via Galla e Sidama, via Adua e via Tripolitania con W. Frankl nel 1951-54. La palazzina Mancioliin via Lusitania 29 nel 1953, nel 1966 asilo nido e scuola elementare a Spinaceto.

 

5 Saverio Busiri Vici di una famiglia di architetti da tre generazioni, autore delle case Gescal in viale Spartaco.

6 Dati spesa e tempi da: la Repubblica del 29.11.11. Per finanziare la costruzione della stazione sono stati venduti 6 lotti di terreno un tempo occupato dallo scalo merci da anni trasferito a Roma Salaria. Il primo lotto di 7.300 mq è stato acquistato dalla BNL che vi erigerà un grattacielo per la sua sede centrale.

7 Paolo Desideri (Roma 1953) Professore ordinario di progettazione architettonica all'Università di Roma Tre. Nel 1982 ha fondato lo studio ABDR. Ha esposto alla Biennale di Venezia e alla Triennale. Ha progettato la ristrutturazione del palazzo delle Esposizioni, le stazioni della futura metro B2 Gondar e Annibaliano, il Campus Universitario di Pescara nel 2005, la riqualificazione urbanistica di via Giustiniano Imperatore nel 2005, l'Auditorium di Firenze nel 2008, il Piano di Utilizzo delle Aree Verdi dell'Eur.

8 anche questi dati da la Repubblica del 29.11.11.

9 Stazione Tiburtina per l'alta velocità. Tutte le notizie dalla cronaca di Roma de "la Repubblica" del 11 giugno 2011.

10 Nuova tangenziale. Da la Repubblica del 21 aprile 2012.

11 Busiri Vici Clemente. (1887-1965) chiesa di San Roberto Bellarmino a piazza Ungheria nel 1932-33, chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio a villa Fiorelli nel 1936, chiesa di sant'Ippolito al quartiere Nomentano nella via omonima nel 1933, chiesa di san Saturnino in via Avigliana al quartiere Trieste nel 1935, l'Istituto Nazionale Luce in via Tuscolana 1055 nel 1937, Case Gescal in viale Spartaco tra viale Publicola e viale Agricola (in coll.) nel 1963-65.

12 Casa Icp via della Lega Lombarda. Per I rioni e i quartieri di Roma (Mauro Quercioli), il palazzo è opera di M. Marchi. Ma è più attendibile Guida di Roma Moderna di I. de Guttry.

 

CARCERI DI ROMA

UN PEZZO DELLA STORIA DI ROMA E’ DA RICERCARE

NELLE CARCERI, DA NOMI ILLUSTRI DEL PASSATO,

FILOSOFI, PATRIOTI ALLA POVERA GENTE COMUNE

IN MOLTI HANNO POPOLATO QUESTI LUOGHI

 

IL CARCERE MAMERTINO O TULLIANO

E’ il più antico carcere di cui si ha memoria a Roma, si trova a ridosso del Campidoglio, lungo le scale Gemonie, prima del Comitium. Ha ospitato i carcerati per circa mille anni, i re sconfitti dai romani, i traditori della città, i primi cristiani: il re dei Sanniti Ponzio, Erennio Siculo e Gaio Sempronio Gracco nel 121 a.C. Giugurta re della Numidia nel 104 a.C. (morto di inedia), il re dei Galli Vercingetorige nel 46 a.C. passò sei anni in questo carcere, i congiurati di Catilina (morto nella battaglia di Pistoia), Lentulo e Cetego nel 60 a.C. (strangolati), gli apostoli San Pietro e San Paolo per la tradizione cattolica, Seiano e i suoi figli, Seiano era prefetto del pretorio di Tiberio nel 31, Simone di Giora, difensore di Gerusalemme.

Consiste in due piani sovrapposti scavati nelle pendici del Campidoglio, la più profonda risale all’VIII – VII secolo a.C. (secondo Livio voluto da Anco Marzio, per questo Mamertino) l’altra è di età repubblicana. Il sito venne trasformato in chiesa per volere di papa Silvestro nel 314. Secondo la tradizione cristiana San Pietro convertì gli stessi carcerieri, fece scaturire una fonte per il battesimo, anch’essi furono uccisi. Oggi si trova sotto la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, eretta nel sec. XVII, isolata nel 1932.

Il 30 agosto del 2018 alle ore 14,40 crolla improvvisamente il tetto della chiesa, tragedia sfiorata, la chiesa era chiusa, nel pomeriggio ci sarebbe stato un matrimonio, la nube vista da lontano. Tre anni prima c’era stato un restauro con il cambio delle tegole. Un anno dopo viene inaugurato e benedetto il nuovo tetto.

 

 

CARCERI DI TOR DI NONA

Si tratta delle principali carceri di Roma dall’inizio del Quattrocento fino al 1657, insieme a Corte Savella. Qui vennero reclusi Benvenuto Cellini, i fratelli di Beatrice Cenci e il riformatore toscano Pietro Carnesecchi. Si trovavano dove ora è il lungotevere Tor di Nona, presero questo nome forse perché erano la nona torre che si incontrava venendo da porta Flaminia delle mura di cinta della città. Nel 1670 divenne il famoso teatro Tor di Nona.

 

CORTE SAVELLA

In via di Monserrato 43 sorge un palazzo seicentesco, sede dal 1650 del Collegio Inglese, rinnovato da Virginio Vespignani1 nel 1869. Impossibile vedere le strutture quattrocentesche dell’edificio di proprietà dei Savelli, nobili custodi del conclave di Santa Romana Chiesa, e sede del tribunale assegnato a quella famiglia nel 1375. Il palazzo si può vedere nella pianta del Tempesta del 1648. I prigionieri, durante gli interrogatori venivano sottoposti a tortura, i condannati spesso venivano impiccati alle inferriate stesse del palazzo, altre volte venivano decapitati in piazza di Ponte, di fronte a Castel Sant’Angelo. In questo palazzo finirono anche due rappresentanti della stessa famiglia Savelli. Il palazzo ebbe funzione di carcere fino al 1652 (insieme al carcere di Tor di Nona) quando papa Innocenzo X decise la costruzione delle Carceri Nuove in via Giulia su progetto di Antonio Del Grande.

In questo carcere vennero rinchiuse, interrogate e torturate Beatrice Cenci e la matrigna Lucrezia Petroni, mentre i fratelli Giacomo e Bernando erano nel carcere di Tor di Nona.

 

CASTEL SANT’ANGELO

Il castello, essendo la fortificazione principale di Roma. fu da sempre utilizzato come carcere.

La cella più famosa è detta Sammalò, sul retro del bastione San Marco, il condannato veniva calato dall’alto e a malapena aveva spazio per sistemarsi mezzo piegato, non potendo stare ne in piedi, ne sdraiato.

Nel piano inferiore del cortile del Pozzo, eretto da Alessandro VI, c’erano le celle per i personaggi di riguardo. Qui fu detenuto Benvenuto Cellini, famosa la sua evasione. In una cella disegnò a carboncino un Cristo risorto ancora oggi visibile.

Nell’antica loggia superiore dell’appartamento di Paolo III è la Cagliostra, così detta perché vi fu tenuto prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo, detto il conte di Cagliostro. Qui vennero detenuti gli umanisti Bartolomeo Platina e Pomponio Leto, Beatrice Cenci e Giordano Bruno oltre ai patrioti del Risorgimento.

Molte le vittime dei Borgia.

I processi avvenivano nella Sala di Giustizia, le esecuzioni capitali nella piazzetta al di là di ponte Sant’Angelo, ma anche nel cortile antistante la cappella dei Condannati o del Crocifisso, mediante fucilazione. A ogni esecuzione di condanna capitale suonava a morto la Campana della Misericordia posta sulla terrazza ai piedi della statua dell’Angelo.

Qui è ambientato il terzo atto della Tosca di Giacomo Puccini, il pittore Cavaradossi viene qui fucilato e la sua amante, Tosca, si uccide buttandosi dagli spalti del castello.

 

Castel Sant’Angelo è una grandiosa opera voluta e probabilmente ideata dallo stesso imperato Adriano e forse eseguita dall'architetto Demetriano. Iniziato nel 135 fu compiuto da Antonino Pio nel 139, un anno dopo la morte dell'imperatore; per raggiungere questo luogo venne costruito il pons Aelius poi ponte Sant'Angelo, uno dei pochi ponti sul Tevere sempre funzionante, principale porta di accesso a San Pietro per i pellegrini e per i romani stessi. Nel corso dei secoli ha subito profonde trasformazioni fino a renderlo il castello della città, il suo punto difensivo più saldo. Il "Passetto" lo collega a San Pietro. Nonostante 1.900 anni di demolizioni, ricostruzioni, cambiamenti di funzioni, il monumento resta abbastanza leggibile. Oggi è sede del Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo visitato ogni anno da 700.000 persone.

In cima al castello, nel XIII secolo venne posta la statua dell'angelo. La statua bronzea attuale è opera di Pietro Von Verschaffelt (1752) e sostituisce l'antica in pietra di Raffaellino da Montelupo (1544), uno dei collaboratori più stretti Michelangelo, oggi nel cortile d'onore o delle Palle per i cumuli di palle di granito e travertino munizioni del castello.

 

 

CARCERI NUOVE

In via Giulia, quasi di fronte alla chiesa di San Filippino, si trova questo edificio opera di Antonio Del Grande2, fatto costruire da papa Innocenzo X Pamphili3 nel 1655, che sostituirono le tristi carceri di Corte Savella e Tor di Nona. La lapide sopra il portone centrale recita: “Innocenzo X Pontefice Massimo eresse nell’anno del Signore 1655 il nuovo carcere, per la giustizia, la clemenza e per una più sicura e umana custodia dei colpevoli”.

Ma alla morte del papa, avvenuta proprio nel 1655, l’edificio non era ancora ultimato, fu utilizzato per la peste del 1656, come sede della quarantena. Fu ultimato da Alessandro VII Chigi. Il palazzo presenta una facciata a mattoni con fasce marcapiano e cantonale in travertino, con sei finestre al pianterreno inferriate tra le quali si apre centralmente un bel portale con una grande bugna al centro dell’architrave e sormontato dall’iscrizione di cui si è detto. Sopra si sviluppano tre piani con sei finestre ognuno. Funzionò come carcere fino al 1883, quando fu sostituito dal carcere di Regina Coeli, continuò ad essere usato per la custodia preventiva, quindi carcere minorile fino al 1931 quando divenne un Centro di Studi Penitenziari con biblioteca specializzata e Museo di Storia Criminale. Il Museo Criminologico è ospitato dal 1975 nel palazzo del Gonfalone, edificio risalente al 1827, fatto costruire da Leone XII per destinarlo a carcere minorile, per i giovani provenienti dall’Ospizio di San Michele. Il palazzo delle Carceri Nuove oggi ospita la Direzione Centrale Antimafia4.

 

ISTITUTO SAN MICHELE

Detto anche Ospizio di San Michele, oppure Ospizio Apostolico di San Michele a Ripa Grande. E’ uno dei palazzi più grandi d’Europa, si sviluppa per 334 metri a ridosso del Tevere dove era il porto di Ripa Grande. Dal 1969 è adibito a sede del Ministero dei Beni Culturali5 e Ambientali e dell’Istituto Centrale del Restauro e la Documentazione. Venne costruito come ospizio per bambini abbandonati e vecchi poveri, come carcere minorile e femminile.

Il primo nucleo si deve a Carlo Fontana6 e Mattia de Rossi 1686-89; successivamente per incarico di Innocenzo XII il Fontana costruì il lanificio (1693-1701) su via di San Michele e il cortile dei Ragazzi creando una istituzione rieducativa e assistenziale. Su incarico di Clemente XI, sempre il Fontana progettò la casa di correzione modello per i ragazzi 1701-04, la caserma dei doganieri 1706-09 e una serie di edifici per l’arazzeria e la chiesetta del Buon Viaggio 1710-14, l’ospizio dei Vecchi, il cortile dei Vecchi e quello delle Carrette, la cheisa di San Michele 1710-15 interrotta per la mancata acquisizione dell’area interessata, poi conclusa con l’abside di Luigi Poletti 1831-35. Successivamente venne costruito il conservatorio delle Zitelle. Clemente XII fece costruire da Ferdinando Fuga7 1734-35 il carcere femminile su piazza di Porta Portese, altri edifici furono costruiti in seguito. Nel 1938 l’Istituto fu trasferito a Tor Marancia, il carcere minorile continuò a funzionare fino al 19728.

In occasione di mostre, attraverso i cortili dei Ragazzi e dei Vecchi, dove è allestita una mostra permanente sulla storia del complesso, si può accedere alla chiesa di San Michele e alla sala dello Stenditoio all’ultimo piano. Quest’ultima è stata ristrutturata da Franco Minissi e Miarelli Mariani.

 

L’Istituto Penale per Minorenni di Casal del Marmo è sorto negli anni Sessanta, si trova in via Giuseppe Barellai 140. Per Antigone al novembre 2017 erano presenti 68 ragazzi (24 italiani), di cui 56 maschi.

 

 

CARCERE DI REGINA COELI

Il più noto carcere di Roma, in via della Lungara 29 a Trastevere, fondato nel 1881 riconvertendo per l’uso un convento del 1654, recependo così il nome della struttura Maria Regina Coeli. L’edificazione si deve a Urbano VIII Barberini e al suo successore Innocenzo X Pamphili. Venne confiscato nel periodo napoleonico e nuovamente e definitivamente dal regno d’Italia. I lavori di adattamento delle strutture furono diretti da Carlo Morgini e si completarono nel 19009. Fu anche sede della prima scuola di polizia scientifica (vi rimase fino agli anni Venti) e del casellario giudiziario. A fine Ottocento venne acquisito un plesso attiguo che venne adibito a carcere femminile, detto popolarmente Carcere delle Mantellate, per il lungo mantello delle suore dell’ex convento di Santa Maria della Visitazione. Celebre lo stornello romanesco “Le Mantellate”.

In principio fu concepito con tre distinti fabbricani: uno su via della Lungara per la Direzione, gli alloggi, il corpo di guardia, cucina, magazzini e il parlatorio. Due fabbricati a crociera con una rotonda centrale coperta da una grande volta a padiglione, ospitanti le celle. Dopo l’ultima guerra, a Regina Coeli furono installati nuovi laboratori di radiologia e analisi, infermeria medica e chirurgica, alla tipografia e legatoria già esistenti si aggiunsero la falegnameria, la sartoria e la calzoleria.

Durante il fascismo furono detenuti Gaetano Salvemini, Alcide De Gasperi, Gramsci, Cesare Pavese e Luchino Visconti. I politici erano nel VI braccio. Sei anni vi rimase Ernesto Rossi. Dopo la caduta del fascismo e l’occupazione tedesca, il terzo braccio fu occupato dai tedeschi, si arrivò a 2.500 detenuti. Celebre l’evasione di Pertini e Saragat nei nove mesi di occupazione tedesca di Roma. Subito dopo la guerra Donato Carretta, direttore del carcere, venne riconosciuto e ucciso dalla folla inferocita.

Il 20 maggio del 1945 vi fu una rivolta dei detenuti che chiedevano l’amnistia, fu repressa dai Carabinieri. Nel 1973 vi fu una rivolta nel carcere, le guardie carcerarie lasciarono temporaneamente l’edificio. Negli anni Settanta i terroristi uccisero il dirigente sanitario di Regina Coeli, un’impiegata del centro studi del ministero, una vigilatrice di Rebibbia e il generale dei Carabinieri Galvaligi che si occupava delle misure di sicurezza negli instituti penitenziari.

Resta il ricordo della visita di papa Giovanni XXIII Roncalli, il 26 dicembre 1958, papa Paolo VI nel 1964, papa Giovanni Paolo II nel 2000 e nel marzo 2018 papa Francesco.

Ha una capienza massima di 750 persone, ma durante la visita della presidente della Camera Laura Boldrini nel 2013, vi erano 1.050 detenuti. Secondo Antigone nel maggio 2018 erano presenti 965 detenuti (492 stranieri), mentre la capienza massima è di 619 posti, non vi sono donne. La struttura è stata investita da recenti lavori di ristrutturazione. Vi sono otto sezioni, la quarta è destinata ai tossicodipendenti in trattamento metadonico, l’ottava per i soggetti di particolare cautela, la seconda per i detenuti in osservazione psichiatrica in attes adi trasferimento. Tutte le sezioni, tranne la settima e la seconda, sono in regime aperto per otto ore al giorno, nella quinta i detenuti sono tutti lavoranti. Le celle sono da 3/5 posti, dotate di camera da letto con tv, cucinotto e bagno. Sono dotate di riscaldamento e luce naturale. 131 su 195 sono dotate di doccia (dati dal sito del ministero di Giustizia).

 

CARCERE DI REBIBBIA

Si trova nel quartiere romano di Ponte Mammolo (Municipio IV) con accessi da via Tiburtina, via Raffaele Majetti 70 e via Bartolo Longo. E’ stato progettato dall’arch. Sergio Lenci e inaugurato nel 197210. Racchiude quattro istituti di pena differenti e completamente autonomi, tre maschili e uno femminile. Ogni istituto è dotato di uffici e servizi oltre naturalmente alla sezione per la custodia dei detenuti. Nell’istituto femminile vi è un edificio dedicato alle donne con figli piccoli, che possono risiedere con la madre fino al terzo anno di età.

Al maggio 2018 erano presenti 1.477 detenuti, di cui 502 stranieri, ma la capienza è di 1.178 (dati di Antigone). E’ presente una sezione in cui si svolgono i processi.

Nel 1973 vi fu una rivolta nel carcere femminile.

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

- AA.VV. Guida d’Italia, Roma, ed. Tci, 1993.

- AA.VV. I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton & Compton, 1989.

- AA.VV. Le strade di Roma, ed. Newton & Compton, 1990.

- Claudio Rendina (a cura di), Enciclopedia di Roma, ed. Newton & Compton, 2005.

 

www.soprintendenzaspecialeroma.it (sito della soprintendenza statale)

www.sovraintendenzaroma.it (sito della sovrintendenza capitolina)

- www.museiincomune.roma.it

- www.romasegreta.it

- www.romasparita.eu

- www.info.roma.it

- romeguides.it

 

 

 

AGGIORNAMENTI

 

29.5.16 Carcere di Regina Coeli. Il governo vuole vendere questo insieme ad altri carceri (es. San Vittore a Milano). Regina Coeli ha sempre ispirato una certa simpatia retorica, “Chi non sale quel gradino non è romano” dice una canzone cantata anche da Gabriella Ferri, ma gli scalini sono tre, in un’altra “Le Mantellate” si parla di un edificio, antico convento, adibito a penitenziario femminile. Ancora “Il canto dei carcerati” di Lando Fiorini, “Via della Lungara” di Renato Zero, “Impronte digitali” di Franco Califano. Nella storia del carcere anche quella del direttore Donato Carretta ucciso nel 1944 e poi appeso nudo a testa in giuù ad una inferriata del piano terra. La visita di Giovanni XXIII con un anziano detenuto che si butta ai piedi, la visita di Wojtyla, il jcarcerato che porta la croce morì la notte stessa per overdose. “Un magazzino di carne umana” lo ha definito Laura Boldrini; negli anni Settanta, aperta Rebibbia, sembra destinata alla chiusura, nel 1993 il guardasigilli Conso lo voleva chiudere al priù presto, Rutelli lo incluse tra le opere del Giubileo.

17.10.16 Carcere di Rebibbia. Una rassegna di film della Festa del Cinema di Roma anche nell’auditorium del carcere.

28.10.16 Carcere di Rebibbia. Fuggono calandosi con una fune fatta di lenzuola. Sono tre albanesi: Tesi Basho, Ilir Pere e Mikel Hasanbelli. Sono fuggiti approfittando del trambusto causato dall’arrivo di 39 detenuti da Camerino (zona terremoto). Hanno scavalcato nello stesso punto in cui in passato altri avevano tentato la fortuna.

26.3.17 Carcere di Regina Coeli.Detenuto si impicca, aveva 30 anni, rom di origine bosniaca, in carcere da agosto per tentato omicidio, era in attesa di giudizio. Venti giorni fa era morta la figlia, l’uomo era stato tarasferito nel reparto Grande sorveglianza. E’ il secondo suicidio da inizio anno.

25.4.17 Regina Coeli.Muore ottantenne in carcere per aver rubato biciclette. Era caduto in carcere e portato nell’ospedale San Camillo.

17.5.22 Carcere di Rebibbia. Per la rivolta nel carcere del marzo 2020 il pm chiede 42 condanne, il 15 luglio la sentenza.

 

 

1 Virginio Vespignani. (Roma 1808-1882) Architetto collaboratore di Poletti è stato molto attivo durante il pontificato di Pio IX soprattutto in opere di restauro essendo di formazione accademica. Sua la cappella della Madonna dell'Archetto nel rione Trevi (1851), il quadriportico del Verano, i restauri a porta San Pancrazio e Porta Pia (facciata esterna).

2 Antonio Del Grande (Roma 1607 – 1679) progettò la basilica di San Barnaba a Marino e la Collegiata di Rocca di Papa. Su commissione di Innocenzo X le Carceri Nuove in via Giulia, primo esempio di carcere moderno, curò la sistemazione di palazzo Doria Pamphili in piazza del Collegio Romano.

3 Innocenzo X Pamphili papa dal 1644 – 1655. Nunzio in Francia e Spagna, cardinale dal 1629, cercò di rafforzare lo Stato della Chiesa mantenendone l'autonomia. Protesse gli artisti, tra questi Bernini e Borromini. Lottò contro i Barberini del predecessore Urbano VIII. Condannò Giansenio, fu attivo nella Controriforma. La cognata donna Olimpia Maidalchini detta la Pimpaccia curò i suoi interessi e venne odiata dal popolo come testimonia Pasquino. Incaricò il Bernini di progettare la chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, la fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona. Fece costruire le Carceri Nuove in via Giulia.

4 Carceri Nuove. Tutte le notizie da: romasegreta.it e dal sito internet del museocriminologico.

5 Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del Turismo. L’ufficio del ministro è in via del Collegio Romano 27, dal 1 giugno 2018 il ministro è Alberto Bonisoli (M5S).

6 Carlo Fontana. Rancate 1638 - Roma 1714) architetto e scultore italo svizzero è vissuto tra Seicento e Settecento, sua la facciata di San Marcello al Corso, la cappella Albani in San Sebastiano, santa Rita in Campitelli, fontana di sinistra in piazza san Pietro e la fontana in Santa Maria in Trastevere. Sua la cappella Cybo in santa Maria del Popolo. Ha lavorato all’Istituto San Michele dove ha lasciato un segno importante.

7 Ferdinando Fuga. (Firenze 1699-Roma 1781) fu architetto dei palazzi pontifici, a Roma realizzò la Manica Lunga al Quirinale, il palazzo della Consulta, la facciata di Santa Maria Maggiore e a Napoli l'Albergo dei Poveri e la chiesa dei Girolamini. Palazzo Ferrini Cini in piazza di Pietra. Ha parzialmente ricostruito il Triclinio Leoniano in piazza di Porta San Giovanni.

8 Istituto San Michele. Tutte le notizie da Guida Rossa del Tci, ed. 1992, pag.531.

9 Carcere di Regina Coeli. Secondo il sito del ministero di Giustizia l’edificio è stato trasformato in carcere tra il 1870 e il 1890.

10 Carcere di Rebibbia. Secondo Antigone il carcere fu in costruzione dal 1965, inaugurato nel 1971.

 

MONUMENTI PERIPATETICI

 

INTRODUZIONE

Molti monumenti si sono spostati nei secoli, per mutate esigenze di gusto o per necessità urbanistiche. Basti pensare al Colosso di Nerone che ha dato il nome al Colosseo, era posto sul colle Oppio, venne poi spostato nei pressi del Colosseo, tra l’Anfiteatro Flavio e il tempio di Venere e Roma. Ma certamente sono le fontane ad aver subito più spostamenti.

Iniziamo dagli obelischi, che provengono dall’Egitto, tutti ricordiamo la celebre storiella “Acqua alle corde” che riguarda l’obelisco Vaticano; i due obelischi del Circo Massimo sono andati: uno a piazza del Popolo, l’altro al Laterano. L’unica colonna superstite della Basilica di Massenzio andrà di fronte alla chiesa di Santa Maria Maggiore per volere di papa Paolo V, al culmine venne posta la statua della Madonna.

Il monumento ai caduti di Dogali si trovava davanti alla vecchia stazione Termini, venne portato nei giardini tra viale Luigi Einaudi e via delle Terme di Diocleziano nel 1924. Ai piedi del monumento venne posto il leone di Giuda (l’8 maggio 1937 – anniversario della proclamazione dell’impero – restituito nel 1960), emblema dell’Etiopia, oggi restituito al paese africano, come l’obelisco di Axum. Alcune colonne del demolito campanile berniniano posto sulla facciata di San Pietro sono ora nelle chiese gemelle di piazza del Popolo. Le colonne centrali messe in opera nel prospetto esterno della Porta del Popolo sono le stesse che si trovavano alle estremità del transetto nella primitiva Basilica di San Pietro. Sempre in piazza del Popolo era una fontana che con i lavori del Valadier si decise di portare in piazza Nicosia, dove si trova oggi.

E veniamo così alle fontane che rappresentano un capitolo importante di questo tema.

Le due splendide vasche che decorano le due fontane gemelle di piazza Farnese provengono dalla Terme di Caracalla. Il bacino rotondo che si trova sulla piazza del Quirinale era un abbeveratoio di buoi e cavalli nel Campo Vaccino prima che venisse scavato il Foro Romano.

La fontana di piazza Scossacavalli, luogo di Roma scomparso per la decisione di costruire la via della Conciliazione, quella fontana ora si trova davanti a Sant’Andrea della Valle. Anche piazza Montanara, ai piedi del Campidoglio, tra questo e il teatro di Marcello, aveva una fontanella, anche questa piazza è scomparsa, e la fontanella – dopo anni trascorsi nei depositi comunali – è approdata in via dei Coronari, in piazza San Simeone.

Curioso anche il destino della statua di Metastasio, da piazza San Silvestro è approdata in piazza della Chiesa Nuova; ancora più bizzarro il destino di Terenzio Mamiani che dovette lasciare piazza Sforza Cesarini per far posto a Nicola Spedalieri a sua volta sfrattato da piazza Vidoni (nella piazza è rimasta però la statua parlante dell’Abate Luigi). Oggi Mamiani si trova in via Acciaioli, in un giardinetto presso corso Vittorio Emanuele.

Nessuno ricorda più che un monumento equestre in marmo dedicato a Vittorio Emanuele II si trovava nel portico sottostante la terrazza panoramica del Pincio che guarda piazza del Popolo; con la costruzione del Vittoriano, il monumento venne portato dietro il Museo dei Granatieri a Santa Croce in Gerusalemme. Non mancano a questo elenco anche gli ingressi monumentali delle ville. Villa Celimontana ha una arco di ingresso che proviene dalla scomparsa villa Massimo al Laterano.

 

 

 

 

 

 

 

 

VIA GOFFREDO MAMELI

FONTANA DI VILLA MONTALDO

La fontana del Prigione. Commissionata a Domenico Fontana1 da papa Sisto V per la sua villa sull'Esquilino, fu realizzata tra il 1587 e il 1590 (è una conseguenza della costruzione dell'acquedotto Felice, ripristino dell'Alessandrino). E’ l’unica sopravvissuta delle trenta fontane che ornavano la villa Montalto. Quando negli ultimi anni dell'Ottocento la villa fu distrutta (nel frattempo era passata ai Massimo) per la costruzione della stazione Termini e la sistemazione urbanistica di tutta l'area, la fontana venne smontata e collocata in un magazzino del Comune di Roma, nel 1894 fu ricomposta come fondale di via Genova (nei pressi di via Nazionale). Ma, ancora una volta, per la costruzione del palazzo del Viminale, fu spostata e sistemata in questo luogo nel 1923 dal Genio Civile.

E' costituita da un nicchione centrale delimitato da due lesene – con ghirlande di fiori e frutti in rilievo - che sorreggono un frontone decorato. L'acqua sgorga in due piccole vasche alla base delle lesene e, da una testa di leone (simbolo araldico della famiglia Peretti, papa Sisto V), in una piscina centrale a livello stradale. Nella nicchia era posto un gruppo marmoreo, definitivamente perduto, raffigurante un prigioniero con le mani legate – per cui il nome di fontana del Prigione - con Apollo e Venere. Sulla sommità della fontana era la testa di Esculapio.

Nel 2005-06 la fontana è stata restaurata dal Comune che l'ha dotata di un'area di rispetto.

 

PINCIO

OBELISCO DI ANTINOO

L’obelisco si trova al centro di una piazza che è stata dedicata a Bucarest (capitale della Romania), è dedicato da Adriano al suo favorito Antinoo, annegato nel Nilo nell’anno 130, rinvenuto presso la basilica di Santa Croce in Gerusalemme spaccato in due pezzi (lapide in via Ozieri) nel Cinquecento nella vigna dei fratelli Saccossi, nell’area del circo Variano che faceva parte del Sessorium, la villa imperiale di Eliogabalo. Forse proviene dal tempio che Adriano dedicò ad Antinoo, non si conosce la sua ubicazione, chi pensa al Palatino, chi al mausoleo di Augusto, poi portato da Eliogabalo sulla spina del circo Variano. Lo aveva fatto rialzare Urbano VIII e collocato davanti a palazzo Barberini, ma siccome disturbava il passaggio delle carrozze lo regalarono a Clemente XIV che lo depositò nel cortile della Pigna, finalmente venne qui collocato nel 1822 per volere di papa Pio VII da Giuseppe Marini.

Studi recenti ipotizzano che l’obelisco si trovasse a villa Adriana a Tivoli.

L’obelisco è in marmo rosa, misura m 9,2 ma con il basamento arriva a m 17,26. I geroglifici non furono scolpiti in Egitto, ma intagliati da artigiani locali che non avevano familiarità con il geroglifico per cui le iscrizioni risultano incerte e con contorni modificati.

 

PIAZZA DI SANTA MARIA MAGGIORE

OBELISCO DELLA PACE

Davanti alla facciata della basilica di Santa Maria Maggiore si erge l’unica colonna superstite delle otto della basilica di Massenzio, alta 14 metri (qui rialzata nel 1614 per opera di Carlo Maderno), in cima una statua della Vergine di Guillaume Berthelot (fusa da Orazio Censore), ai suoi piedi la fontana anch’essa di Carlo Maderno (1615), fontana alimentata dall’acquedotto Felice. E’ detta colonna della Pace perché proveniente dal Foro della Pace (Vespasiano). La colonna fu rialzata per volere di papa Paolo V Borghese che come Sisto V voleva mettere al servizio del culto cristiano i monumenti pagani, come era stato fatto per gli obelischi. Notare le aquile e i draghi dello stemma borghese.

Sulla colonna fu eseguito un esorcismo.

 

VIA MONTANARA

CHIESA DI SANTA RITA

Chiesa oggi sconsacrata. La chiesa fino al 1933 si trovava ai piedi della scalinata dell’Ara Coeli, in via della Pedacchia, venne qui spostata in seguito agli sventramenti degli anni Trenta.

Venne costruita su progetto di Carlo Fontana2 nel 1665 al posto di una chiesa più antica dovuta alla famiglia Bucabella nel secolo XI, era dedicata a San Biagio, i resti di tale costruzione più antica sono venuti alla luce con gli sventramenti degli anni Trenta, sono stati lasciati in vista tra la scalinata dell’Ara Coeli e il fianco destro del Vittoriano. La chiesa venne smontata pezzo per pezzo, messa in deposito con l’intento di ricostruirla sul posto, invece, nel 1940 fu ricostruita nella posizione attuale. Una lapide, sul lato sinistro, ricorda tale spostamento.

Oggi la chiesa, in uso al Comune di Roma, è luogo di mostre, conferenze e concerti.

L’interno si presenta a croce greca con pianta romboidale convessa simile a San Carlo alle Quattro Fontane. L’abside è più profonda delle due cappelle laterali, si conserva l’altare barocco in marmi policromi e una vetrata raffigurante Santa Rita da Cascia.

 

PIAZZA DI PORTA CAPENA

CASINO BOCCAPADULI

Detto anche Casino La Vignola o Casino Boccapaduli, costruito nel 1538 per Prospero Boccapaduli, conservatore del Campidoglio, situato sull’altro lato della piazza, dove inizia via di santa Balbina, e qui spostato per creare la passeggiata archeologica. Era il casino di una vigna del Cinquecento di proprietà di un certo Prospero Boccapaduli che – probabilmente – disegnò lui stesso il casino ispirandosi agli schemi del Vignola3. Il casino fu ricostruito dall’architetto Pietro Guidi4 che si concesse qualche tocco di personale, come la scalinata di 10 gradini rispetto ai due originari. L’edificio si apre al pianterreno con un portico in travertino, costituito da tre archi sulla fronte e due sui fianchi, sopra corre un fregio dorico, mentre il piano nobile presenta finestre architravate. Per molti anni è stato sede di un Istituto Storico per la Storia della Resistenza Romana.

 

 

Piero Tucci

1.5.2022

1 Domenico Fontana architetto di origine ticinese, a lavorato a Roma e Napoli, è vissuto nella seconda metà del Cinquecento. E' l'uomo che ha rialzato gli antichi obelischi (vedi quello in piazza san Pietro), è autore della cappella Sistina in Santa Maria Maggiore, della fontana del Mosè. A Napoli ha eretto il palazzo Reale e la fontana del Nettuno (oggi in via Medina). Ha lavorato ai palazzi Vaticani, al palazzo del Laterano e al Quirinale.

2 Carlo Fontana (Rancate 1638 - Roma 1714) architetto e scultore italo svizzero è vissuto tra Seicento e Settecento, sua la facciata di San Marcello al Corso, la cappella Albani in San Sebastiano, santa Rita in Campitelli, fontana di sinistra in piazza san Pietro e la fontana in Santa Maria in Trastevere. Sua la cappella Cybo in santa Maria del Popolo. Ha lavorato all’Istituto San Michele dove ha lasciato un segno importante. Basilica dei Santi Apostoli. Tomba della regina Cristina di Svezia in San Pietro e dei papi Clemente XI e Innocenzo XII in San Pietro. Suo il progetto di chiudere con un terzo braccio il colonnato del Bernini di piazza San Pietro e di aprire una viale nella spina di Borgo, l’attuale via della Conciliazione. Suo il progetto di una chiesa dentro il Colosseo.

3 Vignola Jacopo Barozzi detto il ... (Vignola MO 1507 - Roma 1573) architetto e teorico dell'architettura autore della chiesetta di Sant'Andrea in via Flaminia, di palazzo Farnese a Caprarola (il suo capolavoro), villa Giulia oggi sede del museo Etrusco, palazzo Mattei Paganica, la chiesa e la cupola del Gesù diventata prototipo delle chiese gesuitiche, l'incompiuto palazzo Farnese a Piacenza. E' sepolto al Pantheon.

4 Pietro Guidi Non può essere Ignazio Guidi (avrebbe avuto sette anni in questo lavoro) autore della scuola Manzoni, della Garrone a Ostia e dei sottopassi di corso Italia sempre a Roma.

 

I BANGLA A ROMA

 

PERCORSO:

  1. PIAZZA VITTORIO

  2. PANTANELLA

  3. ELEMENTARE PISACANE V. ACQUA BULLICANTE 30

  4. STAMPERIA ‘TERRA MADRE’ VIA D. MARRANELLA 123

  5. MOSCHEA ‘AL HUDA’ VIA DEI FRASSINI 4

 

Bangla: quarta comunità a Roma dopo Rumeni, Filippini e Srilankesi. Dopo di loro vengono i Cinesi.

“Torpigna” è diventato “Banglatown”. Sono la 4^ comunità dopo quelle di Dacca (Bangladesh), Calcutta e Londra. Sta fra India, Birmania e golfo del Bengala. Inondazioni, cicloni e mareggiate. 1/10 del PIL proviene dalle rimesse degli emigrati alle famiglie rimaste in patria.

Ramadan 2022: 2 Aprile – 2 Maggio. Il calendario islamico è lunare, basato sulle rotazioni della LUNA intorno alla TERRA (noi terra intorno al sole). A Maggio poi c’è la “Festa Grande”, simile al nostro Capodanno.

PERCORSO:

I bangladesi sono rinomati giocatori di cricket, come tutta l’area indo-pakistana e srilankese che ha subito l’influenza del colonialismo britannico. Attraverso lo sport i ragazzi cercano una via di rivalsa alla loro condizione di vita in Italia, ed è successo che squadre di cricket formate da ragazzi giovanissimi siano arrivate a competere ad alti livelli (per poi scontrarsi con la burocrazia dei tesseramenti). Solo a Roma vanno citate tre importanti squadre: il Bangla Boys Cricket Club, il Rome Bangladesh Cricket Club e il Piazza Vittorio Cricket Club.

 

  • Piazza Vittorio cricket”: cricket (portieri di palazzi al centro, ortofrutta, pizza-supplì). 6 squadre senior tre categorie (A,B,C) es. il “Green Bangla Sporting Club”, serie C, tutti bengalesi, si incontrano una volta a settimana al parco dell’Aniene, giocano con la Polisportiva Lazio, il derby del cricket romano di serie C.

Pantanella:si registrò negli anni Novanta il primo caso di occupazione di uno stabile (La Pantanella, ex-fabbrica di pasta abbandonata) da parte di cittadini immigrati, a causa della mancanza di luoghi ove dormire. Da quel momento il movimento d’entrata nella nostra nazione non si è più arrestato. Se nel 1990 la sanatoria della “legge Martelli” contava 4.296 permessi di soggiorno per cittadini bangladesi, nel 2003 si registravano 27.356 residenti, sino ad arrivare agli 82.451 d’inizio 2011.

La ditta Ducco e Valle

Nel 1871, i piemontesi Pietro Ducco e Francesco Valle, che già possedevano una negozio di cereali e granaglie in via del Gesù a Roma, ottennero dal Comune il permesso di costruire uno stabilimento per la macinazione dei cereali con 20 mulini a vapore nel lotto di terreno posto fra le vie Prenestina e Casilina, poco fuori Porta Maggiore[1], dove è posto il monumento sepolcrale del fornaio romano Marco Virgilio Eurisace[2]. Con questo nuovo stabilimento, la ditta Ducco e Valle giunse a rappresentare, per volume d'affari, la seconda società dei mulini romani dopo la società di Michelangelo Pantanella[3], che si trovava negli edifici che attorniano la basilica di Santa Maria in Cosmedin, nel rione Ripa.[4]

Il pastificio Michelangelo Pantanella

 

In seguito alla decisione del Governatorato di utilizzare gli edifici di via dei Cerchi per il nuovo Museo di Roma, nel 1928 la Pantanella presenta un piano di potenziamento dello stabilimento di via Casilina e, nel 1929, vi si trasferì la "Società molini e pastificio Pantanella" che nel 1937 l'architetto Pietro Aschieri realizzò.

In seguito ai danneggiamenti subiti durante il bombardamento di Roma del 19 luglio del 1943, nel 1950 venne effettuata la ricostruzione e l'aggiunta del nuovo mulino, ad opera dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo.
Tra il 1958 e il 1961 viene realizzato il biscottificio dall'architetto Silvano Ricci. La Pantanella fu per un paio di decenni (anni cinquanta e sessanta) un'azienda d'avanguardia e di rilievo europeo.

Dal 1970, il pastificio entrò in una grave crisi finanziaria. I circa 400 dipendenti iniziarono uno sciopero che si protrasse per oltre un anno con l'occupazione della fabbrica e il Pantanella chiuse definitivamente.

La struttura rimase abbandonata fino alla fine degli anni ‘80, quando divenne rifugio per centinaia di extracomunitari in un'occupazione abitativa guidata dal fondatore della Caritas don Luigi Di Liegro[7] e dall'associazione United Asian Workers Association (Uawa). Alla fine del 1990 la struttura venne sgomberata[8].

Gli edifici vennero così acquistati dalla società Acqua Pia Antica Marcia che, tra il 1998 e il 2001, ne ha curato il recupero e la riconversione a residence[9], su progetto dell'architetto Bruno Moauro.[10]

 

  • Scuola Elementare Carlo Pisacane, via Acqua Bullicante 30:

SRONIK= LAVORATORE: SACRIFICI, LAVORO E UMILIAZIONI. È stato presentato tempo fa in una delle scuole più famose per presenza di alunni stranieri di Roma, la Carlo Pisacane, nel cuore del quartiere bangladese per eccellenza, un saggio curato da Francesco Pompeo intitolato “Pigneto-Banglatown” (Meti edizioni), dove si analizza lo stile di vita dei bangladesi in un quartiere che sembra uno spaccato di Dhaka. Questo saggio esamina bene le dinamiche della quotidianità. La prima cosa che emerge, è che i cittadini bangladesi che giungono in Italia sono giovani maschi, spesso di formazione e status medio – alto, partiti per elevare il proprio status sociale ed economico, i quali si trovano però davanti una realtà che al contrario li mortifica. Per molti di loro diventare sronik (lavoratore) in Italia è un declassamento sociale, che riguarda anche la famiglia del lavoratore nel bidesh(= paese di origine), dove frequentemente le famiglie sono commercianti, hanno un’attività (kaj) che non ha il medesimo valore di un’attività manuale o subordinata, appannaggio in Bangladesh a gusthi (patrilignaggio di appartenenza di una persona) di infimo livello (F. Pompeo, pag. 78).

 

  • Via della Marranella 123stamperia de “Terra madre” dal 2014. 5 moschee lì. Quba a via della Marranella. Il venerdì giorno sacro affollatissime. Alcune chiuse dalla Polizia: manca “autorizzazione a pubblico spettacolo” o è abuso edilizio più che sede di infiltrazioni di estremisti islamici.

 

  • 1° moschea è la Grande Moschea di Paolo Portoghesi del 1984, seconda

 

  • 2° Al-HudaVia dei Frassini4 (poi via Ceneda).

 

 

Seguono un modello di “convivenza nella separatezza” con noi italiani

POPOLO DI MIGRANTI. Le migrazioni dal Bangladesh hanno avuto inizio nel Settecento, alternandosi secondo le vicende politiche nazionali. Nel 1947, per esempio, quando il Bangladesh era ancora Pakistan orientale, i forti conflitti tra hindu e musulmani portarono circa 3 milioni di hindu verso l’India e circa 846 mila persone d’inverso nel Bangladesh. Con la guerra d’indipendenza dal Pakistan nel 1971, 10 milioni di bangladesi cercarono rifugio in India. Verso l’Europa la prima grande onda migratoria cominciò nel ‘600, come manodopera a basso costo importata nel Regno Unito dalla Compagnia delle Indie Orientali. Questo spiega la massiccia presenza di migranti bangladesi, ancora oggi, nel Regno Unito; al punto che tali immigrati vengono chiamati sia probashi (“abitanti di fuori” – migranti) sia londoni (britannici). Fino al 2003 la migrazione era quasi esclusivamente maschile, per poi subire un lieve incremento nella partecipazione femminile che rimane però al 5%. Oltre il 70% dei probashi è diretto verso i Paesi del Golfo, seguiti dalla Malesia e da Singapore.

 

BANGLADESI IN ITALIA. In Italia il flusso migratorio dal Bangladesh iniziò negli anni Ottanta, principalmente nell’area romana. Tolta Roma, che è la città con la più alta presenza di bangladesi (il 18,5% della collettività), la regione che segna il numero maggiore di cittadini del Bangladesh è il Veneto e poi la Lombardia. Il Lazio è al terzo posto. La fascia di età principale è quella dei giovani adulti. La stragrande maggioranza dei probashi è in Italia per lavoro, soprattutto di tipo subordinato; ma è in aumento anche l’imprenditoria: sono al quarto posto fra le collettività immigrate nell’ambito dell’imprenditoria, in primo luogo nel commercio. Come rimesse, nel 2010 dall’Italia sono partiti 193 milioni e 500 mila euro verso il Bangladesh; il 27% (52 milioni di euro) solo da Roma.

Lavorare in un call-center, un internet-point, un negozio di frutta, o peggio avere una bancarella ambulante, rappresenta un’onta per la famiglia di provenienza, e per lo stesso probashi in Italia. Infatti, la maggior parte delle famiglie in Bangladesh non viene mai a sapere della reale condizione di vita dei propri parenti nel nostro paese, quale sia esattamente il loro lavoro. Tutti i sacrifici e le umiliazioni patite qui da noi sono segrete a chi rimane in bidesh. A loro arriva solo il flusso di denaro che testimonia l’agiatezza dei migranti lavoratori. Ha dunque senso rimanere in Italia perché pare che in Bangladesh non sia così facile investire le risorse economiche in progetti di autopromozione; da noi invece, se si ha tenacia, volontà e una mente dedita agli affari, lo sronik  può migliorare la sua posizione sociale (manifestata simbolicamente dal vestiario) e di riflesso (con la traccia del denaro inviato) elevarla anche in Bangladesh. Aggiungiamo, inoltre, come per arrivare a questi status sociali i probashi spesso siano costretti a vivere in stanze sovraffollate, in posti letti pagati profumatamente ad affittuari bangladesi – questo è un mercato nero senza morale che specula sulle vite dei propri concittadini – o italiani che fanno affari d’oro. Vengono chiamate bachelors’ houses (le case degli scapoli), e capita che alcuni uomini vivano con la famiglia in un quartiere e dormano in questi alveari umani perché là hanno il luogo di lavoro, stanze con anche tre letti a castello e brandine varie tutte pagate singolarmente.

 

Ovviamente esiste anche una larga percentuale di famiglie felici e benestanti, con avviate attività e case acquistate con il mutuo dove abitano senza coinquilini. Lo status sociale è fondamentale, non solo agli occhi degli italiani – ha una diversa considerazione un venditore di rose per strada, da un cuoco in un ristorante italiano fino ad un imprenditore – ma anche agli occhi della stessa comunità bangladese. Credo si possa affermare che non molte altre comunità migranti in Italia pullulino di capipopolo quanto quella bangladese. Figure che hanno fatto fortuna, ricche, a cui si legano membri diversi della comunità di quartiere, anche e soprattutto per questioni politiche. Come abbiamo spiegato nella prima parte, l’uomo bangladese sente in modo vigoroso le vicende politiche; pertanto in Italia si ricreano le stesse dinamiche e divisioni politiche che animano le lotte di partito nel proprio paese. O si è per l’Awami League (il partito governativo dell’attuale Primo Ministro Sheikh Hasina) o si è per Khaleda Zia (il partito nazionalista d’opposizione), i quali si contendono il potere – anche con passati spargimenti di sangue – dall’indipendenza dal Pakistan (1971). Pure in Italia ci sono partiti, testate giornalistiche, eventi culturali affiliati a queste due opposte fazioni. Se sei amico di uno seguace di un partito difficilmente potrai esserlo anche di qualcuno che milita nel partito opposto.

Bangla Patshala a Roma (Scuola lingua bengalese per bambini)

 

ROMA: quarta capitale dei bangla dopo Dakka, Calcutta e Londra.

 

LA LINGUA BANGLA, UN’EREDITÀ COMUNE. Fortunatamente non c’è solo la politica ad animare l’orgoglio dei bangladesi. La difesa della propria lingua livella ogni differenza. Il rispetto per i martiri della nazione, deceduti affinché il bangla fosse la lingua del Bangladesh, è il cuore delle scuole di lingua che si aprono in ogni città italiana: le bangla pathshala o Bangla Academy, nascono con l’intento di preservare la conoscenza della lingua alle nuove generazioni. Bambini nati qui, che alternano l’italiano a scuola la mattina alla propria lingua nei corsi pomeridiani, o fine settimanali, tenuti da madri volenterose. L’alfabeto bangladese deriva dall’alfabeto Brahmi ed ha 11 vocali (che mutano se seguono una consonante) e 27 consonanti.

  • 21 febbraio Giornata della Lingua Madre: nel 1948 il Governatore del Pakistan dichiara che l’urdudiventa lingua officiale sia in W che E Pakistan, sebbene in E parlassero bengali: manifestazione universitaria al campus di Dakka 21 feb 1952. Da qui la guerra per l’indipendenza, 3 milioni di vite, stupri, Dichiarazione indipendenza 1971. Una guerra in difesa di UNA LINGUA.

  •  


  • Parco Rabin a fianco di via Panama:copia in scala minore del Monumento ai Martiri (Shaheed Minar) di Dakka, presso cui vengono deposti i fiori dalla comunità nella notte del 20 Febbraio in onore dei martiri (1952) del movimento per la conservazione della lingua madre.

 

 Albero del pane frutto più famoso. Foreste di mangrovie.

Poeta Tagore (1861-1941) Nobel nel 1913. L’inno è suo (“Mio Bengala dorato, io t’amo”).

“Il piccolo, nudo, guardava il cielo, e nella sua mente smarrita salì una domanda: "Dove sarà mai la strada del paradiso?". Il cielo non rispose, solo le stelle scintillavano, lacrime nella notte silenziosa.»

(Rabindranath Tagore, Domanda, da Lipika)

 

 

LA MUSICA NEL SANGUE. Ai bambini viene insegnate anche la danza e la musica tradizionale. Sì, perché la musica è veramente nel sangue di questa gente: sembra quasi che ogni donna in cuor suo sogni di essere una famosa cantante, e tutte intonano canzoni suonando l’harmonium (strumento a tastiera alimentato dall’aria prodotta da un mantice, suonato con una mano che pigia i tasti e con l’altra che contrae il mantice), mentre agli uomini si riservano le percussioni.

Potreste essere stupiti dal trovarvi davanti donne con mole notevole tirar fuori voci esili come usignoli. È sufficiente andare ad un qualsiasi festival – il più famoso è il Boishakh Mela che celebra il Capodanno bangladese (Pôhela Boishakh) che cade il 14 Aprile – per assistere alle esibizioni delle artiste del luogo e alle danze coloratissime dei bambini. Segno inequivocabile di quanto sia importante la conservazione delle proprie tradizioni culturali. Altri festival più piccoli (il Boishakh Mela dura solitamente una settimana) ma sempre colorati – queste feste sono un’occasione per le donne di sfoggiare gli abiti più belli, i saree acquistati nei giorni precedenti – sono il Falgun (la Festa della Primavera che coincide con il 13 Febbraio) e la pitha-mela (la Festa delle torte). Tra quelle religiose c’è l’Eid, la festa per la fine del Ramadhan.


matrimoni avvengono invece quasi esclusivamente in patria, qui è impossibile sostenere economicamente il costo di un matrimonio che dura quattro giorni e sfami tutta la cerchia di amici e parenti dello sposo e della sposa. Del resto, un matrimonio povero sarebbe un’onta insopportabile per la coppia e le loro famiglie. Molto meglio prendere dei giorni di ferie e andare a sposarsi in Bangladesh.

 

La comunità bangladese è a prevalenza musulmana ed hindu (con un numero minore di buddhisti e cristiani). La differenza è riscontrabile solo dalle donne: le musulmane hanno iniziato ad indossare il velo classico islamico (hijab), laddove in anni passati lasciavano scoperto il capo per velare unicamente i capelli in modo leggero con lo scialle dell’abito (ulna), mentre le donne hindu, se sposate, hanno un tratto rosso all’attaccatura dei capelli nel centro della fronte.

Negli anni addietro rimanevano per lo più in casa senza imparare mai l’italiano, ora si integrano molto meglio, ed è in aumento positivo il numero di donne bangladesi attive nel sociale, come mediatrici culturali.

 

IMPARIAMO IL BANGLA. Per concludere, un po’ di terminologia. La frase che sentirete maggiormente in una conservazione bangladese è thik ache (nelle due pronunce thik accè o thik assè) che vuol dire “Sei d’accordo?” o “Sono d’accordo”: provate ad ascoltare una telefonata qualsiasi di un bangladese per strada e ne avrete la riprova. “Uomo” si dice manush, mentre “donna” si dice mohila, sebbene stranamente le donne non amino sentirsi chiamare in questo modo: tra di loro si chiamano bhabi, che equivale alla nostra “cognata”, indica una parentela più affettiva e simbolica che reale (ma un estraneo non può rivolgersi in questo modo ad una donna bangladese). Ammu è la madre e abbu il padre; i bambini vengono affettuosamente chiamati babu. Il complimento ad una donna va dal semplice shundor (bella) sino al massimo della bellezza che è fatafati: un complimento del genere fa sgranare gli occhi a qualsiasi donna bangladese, così come i complimenti ai loro abiti a cui tengono molto e sono parte integrante della loro vanità.

Proverbio bangladese: “Non disprezzare chi non ha niente perché anche tu te ne andrai senza niente.”

 

– È “sromik” con la M e non con la N, che indica operaio o lavoratore manuale; mentre la parola “kaj” significa lavoro in generale…
– La pronuncia corretta è “goshthi” e non gushthi, gushthi in alcuni dialetti può significare famiglia…
– Il partito principale dell’opposizione attuale si chiama BNP (Bangladesh National Party) e Khaleda Zia è il nome della donna che il capo di questo partito… Eh già, tutte e due i partiti politici più importanti del paese sono guidati da donne…

LE FONTANE DI ROMA 2

PASSEGGIATA A TEMA

(Le fontane ed il loro contesto urbanistico)

 

ITINERARIO

Fontana della terrina

Fontana delle anfore

Fontana Celimontana

 

FONTANA DELLA TERRINA

Rione Parione

 

 

Ci troviamo nel rione VI1facente parte, della IX Regione Augustea, denominata Circo Flaminio.

Il nome del rione è Parione. Questo nome deriva dal latino paries (muro, parete) e si riferisce ad un tratto di muro antico, forse appartenente allo stadio di Domiziano. A causa della grande mole che doveva avere il muro, la gente lo chiamò Parietonein senso accrescitivo, nel tempo il nome si trasformò in Parione.

Lo stemma che lo contraddistingue raffigura un animale dal corpo di leone con la testa e le ali di un’aquila. E’ il Grifo, che i Greci consideravano sacro al dio Apollo e che il rione assunse come simbolo di fierezza e nobiltà.

 

Fontana della terrina

Il rione Parione, così come le altre zone circostanti ebbero un notevole sviluppo a partire dal pontificato di Nicolò V (1447 – 1455). Ma è nel XVI secolo che l’attività urbanistica raggiungerà il suo massimo sviluppo. In seguito a questo sviluppo il rione Parione, così come la gran parte dei rioni del centro storico, perdettero il loro aspetto medievale, per acquisire l’aspetto tipicamente rinascimentale con la costruzione di bei palazzi signorili e la sistemazione delle strade. Per assistere all’apertura dell’attuale Corso Vittorio Emanuele II e del ponte sul Tevere che lo completa, collegando così il centro storico al rione Borgo e al Vaticano, bisognerà attendere il pontificato di Pio IX (1846 – 1878). I lavori per la realizzazione di Corso Vittorio furono terminati nel 1886, ma l’inaugurazione di Ponte Vittorio fu effettuata nel 1911 in occasione del Cinquantenario dell’Unità d’Italia.

All’interno di questo rione sono compresi luoghi molto importanti dal punto di vista artistico e architettonico del centro di Roma, tra di essi: Piazza Navona, con le sue bellissime fontane (una su tutte la fontana dei fiumi del Bernini) la chiesa di Sant’Agnese in Agone, gioiello del barocco, realizzata dagli architetti Girolamo e Carlo Rainaldi e completata da Francesco Borromini al quale si devono la facciata, la cupola e i campanili. Lo stadio di Domiziano, i cui resti giacciono sotto piazza Navona, quindi il palazzo Pamphilj (attualmente sede dell’Ambasciata del Brasile), palazzo Braschi, Palazzo Madama, sede del Senato, il Palazzo della Cancelleria con la chiesa di S. Lorenzo in Damaso, palazzo Massimo alle colonne, la chiesa di S. Andrea della Valle e naturalmente La chiesa Nuova con l’annesso oratorio dei filippini.

 

La chiesa

Piazza della Chiesa Nuova: il nome della piazza deriva dal fatto che al posto di questa chiesa sorgeva una primitiva chiesa, fondata probabilmente da Papa Gregorio Magno intorno al 600. Il nome di questa chiesa era Santa Maria in Vallicella, in quanto questa zona era costituita da un avvallamento del terreno (era cioè una piccola valle – vallicella). In particolare era un’area per lo più acquitrinosa, dalla quale fuoriuscivano delle esalazioni calde, per cui la gente credeva che quello fosse l’ingresso agli Inferi. In occasione dei lavori per la realizzazione della chiesa, questo avvallamento fu spianato così come lo vediamo noi oggi. Una volta costruita la chiesa attuale le fu dato il nome di Chiesa Nuova.

 

La Chiesa Nuova o Santa Maria in Vallicella

E proprio qui che S. Filippo Neri voleva erigere una chiesa dove poter svolgere la sua azione apostolica. E tanto fece che nel 1575 papa Gregorio XIII (1572 – 1585) gli affidò la costruzione della chiesa, della cui progettazione furono incaricati Matteo Bartolini e Martino Longhi il Vecchio. La facciata fu realizzata parecchi anni più tardi nel 1605 da Fausto Rughesi.

La facciata è composta da due ordini di lesene, coronata da un timpano triangolare. Nell’ordine inferiore il portale ha nell’architrave un festone e sopra i capitelli delle due colonne che lo reggono vi è il bassorilievo dello stemma di Angelo (Vescovo) e Pier Donato Cesi (Cardinale) (un albero su un monte a sei cime), che sostennero le spese per la costruzione della chiesa. Sopra il timpano spezzato vi è una targa con la seguente dedica: “alla Vergine Madre di Dio e a San Gregorio Magno). Le due coppie di colonne, che fiancheggiano il portale, sostengono una trave che porta la seguente incisione: “Angelo Cesi vescovo di Todi fece nell’anno 1605, mentre nel timpano semicircolare che sovrasta la scritta è inserita la “Vergine col bambino e due angeli”. Nel secondo ordine al centro vi è una finestra con balaustra e ai lati due nicchie con le statue di S. Gregorio Magno (sx) e S. Girolamo a (dx). Sulla sommità, all’interno del timpano, ancora lo stemma dei Cesi.

Questa chiesa merita di essere visitata in quanto all’interno sono presenti opere di artisti del rinascimento molto importanti quali Petro da Cortona (affresco della volta e cupola con lanterna), Pietro Paolo Rubens (Madonna della Vallicella- pala d’altare), Federico Barocci, Carlo Rainaldi. Di notevole valore sono: il gruppo marmoreo “S. Filippo e un angelo” di Alessandro Algardi ed il dipinto: “La Madonna e S. Filippo” di Guido Reni. Infine una curiosità: sull’altare in origine era stata collocata la “Deposizione di Cristo nel sepolcro”del Caravaggio (1602), che fu asportata dai francesi nel 1797. Il dipinto fu sostituito da una copia di Michele Koeck. L’originale fu poi restituito e si trova conservato nella Pinacoteca dei Musei Vaticani. Attualmente sull’altare maggiore c’è la pala d’altare di Rubens “Madonna della Vallicella”.

 

Pietro da Cortona – Affresco della volta: Pietro Paolo Rubens – Pala d’altare:

La Madonna e San Filippo Neri Madonna della Vallicella

 

L’oratorio

A fianco della chiesa sorge l’oratorio dei Filippini, Ordine fondato da S. Filippo Neri.

La facciata di autentico stile barocco2, fu realizzata da Francesco Borromini, il quale con una lieve concavità sugli esterni volle significare l’abbraccio dei filippini ai fedeli.

 

 

Oratorio dei filippini

Fu inaugurato nel 1640 e piacque da subito per la sua monumentalità e la raffinatezza delle sue linee. Anche la facciata dell’oratorio, come quella della chiesa, è a due ordini di lesene che la dividono in cinque campate. Al centro vi è un ricco portale sovrastato da una finestra con balaustra e sopra ancora da un’altra finestra, anch’essa con balaustra, posta all’interno di una nicchia. La facciata è completata da un timpano mistilineo.

Per oltre due secoli l’oratorio fu adibito alle funzioni religiose per i padri conventuali. Dopo il 1870 parte del convento e l’oratorio furono requisiti dallo Stato italiano e destinati a sede dei tribunali per la Corte d’Assise. Nel 1911 il convento fu restituito ai Filippini, mentre l’oratorio e la biblioteca Vallicelliana (facente parte dell’oratorio) furono acquistati dal Comune di Roma. L’oratorio è attualmente adibito a convegni e manifestazioni culturali.

S. FILIPPO NERI

La storia del rione Parione è legata all’attività di S. Filippo Neri, che fu chiamato con simpatia dai romani “Pippo bono”.

Nato a Firenze nel 1515 da famiglia benestante, fu inviato da ragazzo presso un suo cugino a fare pratica nell’arte dei mercanti, ma nel suo animo sentiva che la vera vocazione era rivolta alle opere di carità.

Nel 1529, quindi quattordicenne, giunse a Roma dove gli si presentò il terribile spettacolo degli incendi e delle devastazioni, compiuti due anni prima dai Lanzichenecchi, così cominciò a dedicarsi agli infermi e alla preghiera.

Durante la Pentecoste del 1544, mentre pregava, ebbe il dono visibile dello Spirito Santo: un globo di fuoco che gli dilatò il cuore e gli incurvò due costole.

 

Guido Reni – San Filippo Neri e la Madonna

Da allora sentiva spesso un grande fuoco nel petto. Si dedicò così completamente all’apostolato laico e nel 1551 prese gli ordini sacri nella chiesa di S. Tommaso in Parione.

Fu molto apprezzato da tutti: Papi, Cardinali, nobili, plebei, ricchi e poveri. Fu l’apostolo di Roma per antonomasia e molto importante fu la sua opera di rinnovamento religioso.

Nel 1575 papa Gregorio XIII (1572 – 1585) gli affidò la costruzione della chiesa, di cui fu il rettore fino alla sua morte avvenuta nel 1595. Le sue spoglie riposano all’interno della chiesa.

La fontana

La fontana, che abbellisce piazza della Chiesa Nuova, è chiamata Fontana della Terrinae si trova in questo luogo dal 1925. ma Fino al 1899 si trovava al centro della piazza di Campo de’ Fiori, dove oggi c’è il monumento a Giordano Bruno.

Breve storia della fontana. Subito dopo il restauro dell’Acqua Virgo3 nel 1570, furono iniziati i lavori di una ramificazione sotterranea della condotta per portare l’acqua in tutta la zona del Campo Marzio, una delle più popolose di Roma. Unitamente alla nuova condotta furono realizzate anche delle fontane. Questa era destinata ad abbellire Campo de’ Fiori. Su commissione di Papa Gregorio XIII, Giacomo Della Porta progettò e realizzò questa fontana, che consisteva in una vasca ovale esterna, contenente un’altra elegante vasca di forma ovale in marmo bianco, sui cui lati erano scolpite due maniglie ad anello ed una rosa centrale. L’acqua zampillava da questa vasca interna verso la vasca esterna attraverso 4 delfini, posti sui bordi. Se nonché, già allora come oggi, la piazza era sede di un mercato di frutta, verdura e fiori (da cui il nome) e nonostante gli editti, le proibizioni, le sanzioni e le punizioni la fontana veniva utilizzata come pattumiera, dove si gettavano i rifiuti e gli scarti dei banchi di vendita. Solo nel 1622 si riuscì a porre fine allo scempio con un provvedimento assai originale. Si asportarono i delfini (dei quali si sono perdute le tracce) e si pose sulla vasca interna un coperchio in travertino a cupola con un grosso pomello centrale, che fece assumere alla fontana l’aspetto di una enorme “zuppiera” o “terrina”. La fuoriuscita dell’acqua fu assicurata traforando il centro delle rose poste sui lati della vasca.

Lo sconosciuto autore del coperchio pose alla base del pomello un’iscrizione che recita:

AMA DIO E NON FALLIRE, FA DEL BENE E LASSA DIRE. MDCXXII.

 

FONTANA DELLE ANFORE

Rione Testaccio

 

Il rione Testaccio è il XX rione di Roma. La sua costituzione è abbastanza recente, in quanto risale al 9 dicembre del 1921, quando il vasto rione Ripa venne privato di una parte del suo territorio. La zona tolta è quella compresa nell’ansa del Tevere fra i ponti Sublicio e Testaccio, dalle mura aureliane4 e dalle pendici dell’Aventino.

Lo stemma del rione raffigura un’anfora d’oro in campo rosso proprio a significare la presenza del monte testaccio “mons Testaceus”, formato dai frammenti di anfore “testae”.

 

Monte testaccio: veduta dei fianco della collina formato

dai cocci delle vecchie anfore romane

L’area occupata dal rione è una zona pianeggiante (ad eccezione della collinetta artificiale di circa 36 m di altezza, chiamata “Monte Testaccio”), che fin dal II secolo a.C. accolse la zona portuale della città, realizzata dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo nel 193 a.C. Si tratta del nuovo porto fluviale di Roma, l’Emporio5, costituito da una lunga banchina pavimentata di 500 m di lunghezza, che arrivava vicino al fiume. La realizzazione di questo nuovo porto si rese necessario come conseguenza del notevole incremento economico della città, e di conseguenza del moltiplicarsi dei traffici commerciali, che aveva reso insufficiente il vecchio porto, che affacciava sul Foro Boario e che non era possibile espanderlo a causa della presenza dei colli circostanti.

 

Resti dell’Emporium sul lungotevere Testaccio

Alle spalle dell’Emporio fu costruito, in epoca incerta, la Porticus Aemilia, le cui dimensioni dovevano essere grandiose, stando a quanto si può vedere nella “Forma Urbis”, la pianta di età severiana, che raffigura la situazione topografica di quella epoca.

 

Resti della Porticus Aemilia

La “Porticus Aemilia” era un immenso edificio in opera incerta6 di tufo, lungo 487 metri e largo 60, che si estendeva con la fronte parallela al Tevere, lungo l’attuale via Amerigo Vespucci, con i lati brevi sulla “via Ostiensis” (l’attuale via Marmorata) e su via Beniamino Franklin, mentre il retro era situato leggermente più arretrato rispetto all’odierna via Giovanni Branca. L’interno era diviso da 294 pilastri in una serie di ambienti disposti su sette file longitudinali che formavano 50 navate, larghe ognuna 8,30 metri, coperte da serie di volte sovrapposte, per una superficie utile di 25.000 metri quadrati, utilizzate come ambienti di immagazzinaggio (“Horrea“).Il nome di porticus Aemilia deriva da quello dei costruttori, i tribuni edili dell’anno 193 a.C., Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo: di essa rimangono alcuni imponenti resti, riferibili al muro sud-orientale, situati in via Beniamino Franklin, via Rubattino e via Florio. L’edificio fu restaurato dall’imperatore Galba ma la fase originaria può essere datata intorno al 100 a.C., come testimonia il sepolcro del console Sergio Sulpicio Galba rinvenuto nel febbraio del 1886.

Fra il 140 a.C. ed il III secolo d.C. può essere datato il monte Testaccio, il quale si andò formando con gli scarichi dei cocci delle anfore non più utilizzabili. Da qui il nome dato a questo rilievo dai romani: “il monte dei cocci”. Si può dire che è la prima discarica (in questo caso di inerti) a Roma. Il monte è costituito da oltre 53 milioni di anfore in terracotta, per lo più olearie, di epoca romana, ordinatamente disposte. Le anfore, una volta svuotate del loro contenuto, non potendo essere utilizzate nuovamente per contenere altri generi alimentari, in quanto non smaltate internamente, venivano in parte riciclate come materiale da costruzione e tutte le altre, dopo essere state fracassate erano depositate nell’attuale monte testaccio.

Per secoli i romani sfruttarono le proprietà isolanti dell’argilla per ricavare, alle pendici di questo colle artificiale, numerose grotte al cui interno la temperatura si attesta durante tutto l’anno intorno ai 10°, condizione questa che le ha rese idonee come stalle o cantine. Oggi queste grotte ospitano ristoranti e locali notturni.

In epoca medioevale sul monte si celebrava il carnevale, con giochi anche cruenti: vi si allestivanotauromachie e la cosiddetta "ruzzica de li porci": carretti di maiali vivi venivano spinti giù dalla collina e, quando essi si sfracellavano a valle, il popolo dava la caccia ai frastornati animali.

Il luogo, per la sua posizione rialzata, acquisì anche un ruolo strategico: durante l'assedio di Roma del 1849vi fu posta una batteria di artiglieria che dall'alto prendeva agevolmente e insistentemente di mira i francesi accampati vicino alla Basilica di San Paolo fuori le mura. Similmente, durante la seconda guerra mondiale, sulla cima del colle fu installata una batteria antiaerea poggiata su basamenti di cemento, i cui resti sono ancora visibili.

Infine occorre sottolineare che gli studi archeologici effettuati sui cocci presenti sul monte hanno consentito di ricostruire la storia del commercio a Roma.

Altre cose importanti da vedere nel rione sono: La porta di San Paolo e l’adiacente piramide di Caio Cestio, inoltre il cimitero acattolico e l’ex mattatoio.

La fontana

La fontana delle anfore fu realizzata interamente in travertino dall'architetto Pietro Lombardi, vincitore dell'apposito concorso pubblico, nel 1927, pochi anni dopo l'istituzione ufficiale di Testaccio come rione.

La destinazione originaria della fontana era il centro di piazza Mastro Giorgio, poi divenuta piazza Testaccio, ma per problemi strutturali legati alla stabilità del terreno, che richiedeva interventi di consolidamento, nel 1935venne trasferita in un'area utilizzata anche come spartitraffico in piazza dell'Emporio (attualmente nel posto dov’era stata collocata la fontana vi è un’aiuola circolare.

 

 

Fontana delle anfore

Al termine dei lavori di consolidamento della piazza, il 24 gennaio 2015 è stata inaugurata la ricollocazione della fontana nella sua destinazione originaria, che è quella attuale.

La scelta del motivo dell'anfora,è da ricercare nel simbolo stesso del rione, che a sua volta affonda le radici nella storia antica dell'area e specificamente nel commercio di vini e oli che avveniva proprio in questa zona attraverso il porto fluviale. L’utilizzo delle anfore per il trasporto di questi generi alimentari era, dunque, essenziale.

Al centro di una piattaforma circolare posta in cima a 5 gradini, si trova l’elemento principale, posto al centro, composto da un ammasso di anfore addossate le une alle altre. Alla base di questo elemento centrale l'acqua si riversa in quattro vasche rettangolari poste a croce rispetto al nucleo centrale, contro il quale appoggiano uno dei lati corti, che si uniscono all'elemento di centro con una voluta ornata da una testa di montone e dallo stemma del Comune di Roma. Agli angoli tra i bracci, che formano la croce, ed il corpo centrale vi sono quattro piccole vaschette nelle quali si riversa un rivolo d’acqua. Intorno alla fontana vi sono sedici colonnine in pietra, poste su due livelli. In corrispondenza a ciascun braccio della croce vi sono due colonnine ai lati della vasca rettangolare e due ai lati delle quattro anfore in bassorilievo.

Queste anfore sono rivolte verso l'esterno della composizione. Esse sono non solo belle ed eleganti, ma sono soprattutto originali. E la loro originalità non è dovuta esclusivamente alla forma o all’oggetto rappresentato, cioè l’anfora, ma dal fatto che queste anfore hanno una funzione di "fontanella", cioè da loro è possibile bere. Infatti si tratta del primo caso di composizione integrata di fontana ornamentale-abbeveratoio.

Qualche tentativo precedente in realtà era stato azzardato, come la fontana di piazza Santa Maria Maggioreo quella di piazza Scossacavalli, poi trasferita in piazza Sant'Andrea della Valle, ma non si era mai risolto in una fusione così netta dei due elementi, limitandosi a porre una fontanella pubblica accanto a quella ornamentale, magari inglobata nell'altra, ma sempre come corpo aggiuntivo non inserito nel disegno principale.

 

FONTANA CELIMONTANA

Rione Celio

 

Il rione Celio è il XIX rione di Roma, è stato creato cento anni fa, nel 1921, a seguito di una divisione del rione Campitelli (X).

Lo stemma presenta una testa di africano con due corna, simili a quelle dei rinoceronti, a memoria di un busto africano rinvenuto in via Capo d’Africa.

Il rione prende il nome dal colle sul quale si estende, anche se anticamente questo colle veniva chiamato Querquetulano, in quanto ricoperto interamente da un bosco di querce. Il nome Celio venne adottato da un tale Caele Vibenna, condottiero etrusco, dopo aver conquistato il colle. Ci troviamo nel 48 d.C.

Altra nota storica, il Celio fu l’ultimo dei sette colli romani ad essere stato compreso nella cerchia muraria di epoca repubblicana, che dal colle Oppio raggiungeva porta Capena.

Viceversa, per il fatto che è in questa zona che si diparte la Via Appia, cioè la Regina Viarum, è dal Celio, che prese piede la moda di erigere lungo questa strada la propria tomba da parte dei romani più illustri. Fra le altre vi si trova la famosa tomba degli Scipioni con i sarcofagi di Scipione l’Africano, il vincitore di Annibale, e di Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine.

Nel 64 d.C., sotto il regno dell’Imperatore Nerone, un terrificante incendio distrusse gran parte della città di Roma e con essa quasi tutta la zona del Celio, che fu ricostruita celermente. Nel 72 d.C. i Flavi, succeduti a Nerone, continuarono nella ricostruzione e al limite del Celio, in un’area dove esisteva un lago, costruirono un enorme edificio da adibire a giochi e spettacoli, il Colosseo.

Saltando a piè pari la fine dell’impero romano ed il medio evo, arriviamo nel bel mezzo del Rinascimento, intorno al 1660, sotto il papato di Sisto V, il papa degli obelischi e della modernizzazione della rete viaria di Roma (Asse Trinità dei Monti – S. Giovanni in Laterano: via Sistina, via quattro fontane, V. A. De Pretis, via Merulana). Tra le vie realizzate da questo Papa, sempre con l’intento di rendere più agevole il percorso tra S. Pietro e le varie zone del centro di Roma vi è anche la realizzazione di via di S. Giovanni in Laterano. Infatti, fino a tutto il cinquecento, i cortei papali, e le processioni percorrevano via dei Santi Quattro (già via Tuscolana). Per attuare il suo proposito Papa Sisto rimosse i ruderi del Ludus Magnus. Pensare che aveva avuto l’idea perfino di tagliare il Colosseo per fare arrivare dritta per dritta la strada fino a Piazza Venezia, dove doveva congiungersi con via del Corso. Per fortuna che tale follia restò solo nella sua testa.

Luoghi importanti presenti nel rione. Oltre al già citato Colosseo, il monumento dell’antica Roma più importante al mondo ci sono:

Le chiese dei Santi Quattro Coronati, di Giovanni e Paolo, di Santa Maria in Domnica (la navicella), di Santo Stefano Rotondo, San Gregorio, San Giovanni a porta latina. Poi Villa Celimontana, l’Ospedale Militare del Celio e, come già detto La Tomba degli Scipioni.

 

Fontana Celimontana o di Pio IX

La fontana

La fontana Celimontana, conosciuta anche come fontana di Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), dal Papa che la commissionò, venne progettata dall’architetto Virginio Vespignani, e realizzata nel 1864. La sua posizione originaria era stata al fianco della chiesa di San Clemente, unitamente ad un’altra vasca, che però era un semplice lavatoio, che ben presto fu smontata e rimossa. Questa fontana, invece, restò al suo posto fino al 1927, quando fu rimossa e ricostruita in via Annia, quasi a ridosso dell’Ospedale del Celio.

E’ situata entro una esedra in laterizio, fiancheggiata da due pilastri di marmo, sormontati da due sfere, tra le quali è posto lo stemma del Comune di Roma, che ne curò lo spostamento, sorretto da due piccoli delfini.

Elevato su quattro gradini e poggiante su due zampe di leone e un cubo centrale lavorato in basso rilievo, un antico sarcofago di marmo (I secolo a.C.) riceve l’acqua versata dalla bocca di due teste leonine emergenti dalle volute laterali che elegantemente incorniciano lo stemma papale, scolpito in un blocco cubico, sovrastato da una vaschetta quadrata entro la quale si trova una piccola tazza dalla quale si eleva un piccolo zampillo.

1 I rioni di Roma costituiscono il primo livello di suddivisione toponomastica di Roma Capitale e indicano le zone del centro storico di Roma.

Il termine rappresenta l'esito nel romanesco medievale del latino volgare*REGIŌNE(di genere maschile, mentre il latino classico rĕgĭō, -ōnis, da cui deriva, è femminile) ed è appunto utilizzato sin dal medioevo. I rioni in sequenza sono: I Monti; II Trevi; III Colonna; IV Campo Marzio; V Ponte; VI Parione; VII Regola; VIII S: Eustachio; IX Pigna; X Campitelli.

2 Il Baroccoè stato un movimento estetico, ideologico e culturale sorto in Italiatra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, e dall'Italia propagatosi in tutta Europa nel mondo delle arti, della letteratura, della musica, e in numerosi altri ambiti, fino alla metà del XVIII secolo. L’arte Barocca è rappresentata in modo eminente, a partire dalle grandi opere architettoniche, scultoree e pittoriche realizzate nella Roma di Urbano VIII da Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona.

Tra le caratteristiche principali del barocco vi sono: l'andamento curvilineo dei corpi architettonici, l'adozione della colonna tortile e del frontone "rotto", la plastica concitazione delle figure, il rigoglio vaporoso dei drappeggi, la proliferazione dell'ornamento.

3 L'Aqua Virgofu il sesto degli undici acquedotti romani antichi. E’ stato restaurato nel Rinascimento e ribattezzato Acqua Vergine. Fu costruito da Marco Vipsanio Agrippa, fedele amico, collaboratore, generale e genero di Augusto, e venne inaugurato il 9 giugno del 19 a.C. La sua principale funzione doveva essere quella di rifornire le Terme di Agrippa in Campo Marzio.

4 Le Mura aurelianesono una cinta muraria costruita tra il 270 e il 275 dall'imperatore Aureliano per difendere Roma, capitale dell'impero, da eventuali attacchi dei barbari. Dopo aver subito numerose ristrutturazioni in epoche successive, sia nell'antichità, sia in epoca moderna, le mura si presentano oggi in un buono stato di conservazione per la maggior parte del loro tracciato; nell'antichità correvano per circa 19 km, oggi sono lunghe 12,5 km. Costruite oltre 1.700 anni fa, sono tra le cinte murarie antiche più lunghe e meglio conservate al mondo.

5 L'Emporiumera l'antico porto fluviale della città di Roma, situato approssimativamente tra l'Aventino e Testaccio.

6 L'opera incerta(opus incertum) è una tecnica edilizia romana che riguarda il modo in cui viene realizzato il paramento di un muro in opera cementizia. Venivano utilizzate pietre di misura diseguale poste con le facce combacianti tra loro, dando come risultato un disegno irregolare e casuale.