LE FONTANE DI ROMA 2
PASSEGGIATA A TEMA
(Le fontane ed il loro contesto urbanistico)
ITINERARIO
Fontana della terrina
Fontana delle anfore
Fontana Celimontana
FONTANA DELLA TERRINA
Rione Parione
Ci troviamo nel rione VI1facente parte, della IX Regione Augustea, denominata Circo Flaminio.
Il nome del rione è Parione. Questo nome deriva dal latino paries (muro, parete) e si riferisce ad un tratto di muro antico, forse appartenente allo stadio di Domiziano. A causa della grande mole che doveva avere il muro, la gente lo chiamò Parietonein senso accrescitivo, nel tempo il nome si trasformò in Parione.
Lo stemma che lo contraddistingue raffigura un animale dal corpo di leone con la testa e le ali di un’aquila. E’ il Grifo, che i Greci consideravano sacro al dio Apollo e che il rione assunse come simbolo di fierezza e nobiltà.
Fontana della terrina
Il rione Parione, così come le altre zone circostanti ebbero un notevole sviluppo a partire dal pontificato di Nicolò V (1447 – 1455). Ma è nel XVI secolo che l’attività urbanistica raggiungerà il suo massimo sviluppo. In seguito a questo sviluppo il rione Parione, così come la gran parte dei rioni del centro storico, perdettero il loro aspetto medievale, per acquisire l’aspetto tipicamente rinascimentale con la costruzione di bei palazzi signorili e la sistemazione delle strade. Per assistere all’apertura dell’attuale Corso Vittorio Emanuele II e del ponte sul Tevere che lo completa, collegando così il centro storico al rione Borgo e al Vaticano, bisognerà attendere il pontificato di Pio IX (1846 – 1878). I lavori per la realizzazione di Corso Vittorio furono terminati nel 1886, ma l’inaugurazione di Ponte Vittorio fu effettuata nel 1911 in occasione del Cinquantenario dell’Unità d’Italia.
All’interno di questo rione sono compresi luoghi molto importanti dal punto di vista artistico e architettonico del centro di Roma, tra di essi: Piazza Navona, con le sue bellissime fontane (una su tutte la fontana dei fiumi del Bernini) la chiesa di Sant’Agnese in Agone, gioiello del barocco, realizzata dagli architetti Girolamo e Carlo Rainaldi e completata da Francesco Borromini al quale si devono la facciata, la cupola e i campanili. Lo stadio di Domiziano, i cui resti giacciono sotto piazza Navona, quindi il palazzo Pamphilj (attualmente sede dell’Ambasciata del Brasile), palazzo Braschi, Palazzo Madama, sede del Senato, il Palazzo della Cancelleria con la chiesa di S. Lorenzo in Damaso, palazzo Massimo alle colonne, la chiesa di S. Andrea della Valle e naturalmente La chiesa Nuova con l’annesso oratorio dei filippini.
La chiesa
Piazza della Chiesa Nuova: il nome della piazza deriva dal fatto che al posto di questa chiesa sorgeva una primitiva chiesa, fondata probabilmente da Papa Gregorio Magno intorno al 600. Il nome di questa chiesa era Santa Maria in Vallicella, in quanto questa zona era costituita da un avvallamento del terreno (era cioè una piccola valle – vallicella). In particolare era un’area per lo più acquitrinosa, dalla quale fuoriuscivano delle esalazioni calde, per cui la gente credeva che quello fosse l’ingresso agli Inferi. In occasione dei lavori per la realizzazione della chiesa, questo avvallamento fu spianato così come lo vediamo noi oggi. Una volta costruita la chiesa attuale le fu dato il nome di Chiesa Nuova.
La Chiesa Nuova o Santa Maria in Vallicella
E proprio qui che S. Filippo Neri voleva erigere una chiesa dove poter svolgere la sua azione apostolica. E tanto fece che nel 1575 papa Gregorio XIII (1572 – 1585) gli affidò la costruzione della chiesa, della cui progettazione furono incaricati Matteo Bartolini e Martino Longhi il Vecchio. La facciata fu realizzata parecchi anni più tardi nel 1605 da Fausto Rughesi.
La facciata è composta da due ordini di lesene, coronata da un timpano triangolare. Nell’ordine inferiore il portale ha nell’architrave un festone e sopra i capitelli delle due colonne che lo reggono vi è il bassorilievo dello stemma di Angelo (Vescovo) e Pier Donato Cesi (Cardinale) (un albero su un monte a sei cime), che sostennero le spese per la costruzione della chiesa. Sopra il timpano spezzato vi è una targa con la seguente dedica: “alla Vergine Madre di Dio e a San Gregorio Magno). Le due coppie di colonne, che fiancheggiano il portale, sostengono una trave che porta la seguente incisione: “Angelo Cesi vescovo di Todi fece nell’anno 1605, mentre nel timpano semicircolare che sovrasta la scritta è inserita la “Vergine col bambino e due angeli”. Nel secondo ordine al centro vi è una finestra con balaustra e ai lati due nicchie con le statue di S. Gregorio Magno (sx) e S. Girolamo a (dx). Sulla sommità, all’interno del timpano, ancora lo stemma dei Cesi.
Questa chiesa merita di essere visitata in quanto all’interno sono presenti opere di artisti del rinascimento molto importanti quali Petro da Cortona (affresco della volta e cupola con lanterna), Pietro Paolo Rubens (Madonna della Vallicella- pala d’altare), Federico Barocci, Carlo Rainaldi. Di notevole valore sono: il gruppo marmoreo “S. Filippo e un angelo” di Alessandro Algardi ed il dipinto: “La Madonna e S. Filippo” di Guido Reni. Infine una curiosità: sull’altare in origine era stata collocata la “Deposizione di Cristo nel sepolcro”del Caravaggio (1602), che fu asportata dai francesi nel 1797. Il dipinto fu sostituito da una copia di Michele Koeck. L’originale fu poi restituito e si trova conservato nella Pinacoteca dei Musei Vaticani. Attualmente sull’altare maggiore c’è la pala d’altare di Rubens “Madonna della Vallicella”.
Pietro da Cortona – Affresco della volta: Pietro Paolo Rubens – Pala d’altare:
La Madonna e San Filippo Neri Madonna della Vallicella
L’oratorio
A fianco della chiesa sorge l’oratorio dei Filippini, Ordine fondato da S. Filippo Neri.
La facciata di autentico stile barocco2, fu realizzata da Francesco Borromini, il quale con una lieve concavità sugli esterni volle significare l’abbraccio dei filippini ai fedeli.
Oratorio dei filippini
Fu inaugurato nel 1640 e piacque da subito per la sua monumentalità e la raffinatezza delle sue linee. Anche la facciata dell’oratorio, come quella della chiesa, è a due ordini di lesene che la dividono in cinque campate. Al centro vi è un ricco portale sovrastato da una finestra con balaustra e sopra ancora da un’altra finestra, anch’essa con balaustra, posta all’interno di una nicchia. La facciata è completata da un timpano mistilineo.
Per oltre due secoli l’oratorio fu adibito alle funzioni religiose per i padri conventuali. Dopo il 1870 parte del convento e l’oratorio furono requisiti dallo Stato italiano e destinati a sede dei tribunali per la Corte d’Assise. Nel 1911 il convento fu restituito ai Filippini, mentre l’oratorio e la biblioteca Vallicelliana (facente parte dell’oratorio) furono acquistati dal Comune di Roma. L’oratorio è attualmente adibito a convegni e manifestazioni culturali.
S. FILIPPO NERI
La storia del rione Parione è legata all’attività di S. Filippo Neri, che fu chiamato con simpatia dai romani “Pippo bono”.
Nato a Firenze nel 1515 da famiglia benestante, fu inviato da ragazzo presso un suo cugino a fare pratica nell’arte dei mercanti, ma nel suo animo sentiva che la vera vocazione era rivolta alle opere di carità.
Nel 1529, quindi quattordicenne, giunse a Roma dove gli si presentò il terribile spettacolo degli incendi e delle devastazioni, compiuti due anni prima dai Lanzichenecchi, così cominciò a dedicarsi agli infermi e alla preghiera.
Durante la Pentecoste del 1544, mentre pregava, ebbe il dono visibile dello Spirito Santo: un globo di fuoco che gli dilatò il cuore e gli incurvò due costole.
Guido Reni – San Filippo Neri e la Madonna
Da allora sentiva spesso un grande fuoco nel petto. Si dedicò così completamente all’apostolato laico e nel 1551 prese gli ordini sacri nella chiesa di S. Tommaso in Parione.
Fu molto apprezzato da tutti: Papi, Cardinali, nobili, plebei, ricchi e poveri. Fu l’apostolo di Roma per antonomasia e molto importante fu la sua opera di rinnovamento religioso.
Nel 1575 papa Gregorio XIII (1572 – 1585) gli affidò la costruzione della chiesa, di cui fu il rettore fino alla sua morte avvenuta nel 1595. Le sue spoglie riposano all’interno della chiesa.
La fontana
La fontana, che abbellisce piazza della Chiesa Nuova, è chiamata Fontana della Terrinae si trova in questo luogo dal 1925. ma Fino al 1899 si trovava al centro della piazza di Campo de’ Fiori, dove oggi c’è il monumento a Giordano Bruno.
Breve storia della fontana. Subito dopo il restauro dell’Acqua Virgo3 nel 1570, furono iniziati i lavori di una ramificazione sotterranea della condotta per portare l’acqua in tutta la zona del Campo Marzio, una delle più popolose di Roma. Unitamente alla nuova condotta furono realizzate anche delle fontane. Questa era destinata ad abbellire Campo de’ Fiori. Su commissione di Papa Gregorio XIII, Giacomo Della Porta progettò e realizzò questa fontana, che consisteva in una vasca ovale esterna, contenente un’altra elegante vasca di forma ovale in marmo bianco, sui cui lati erano scolpite due maniglie ad anello ed una rosa centrale. L’acqua zampillava da questa vasca interna verso la vasca esterna attraverso 4 delfini, posti sui bordi. Se nonché, già allora come oggi, la piazza era sede di un mercato di frutta, verdura e fiori (da cui il nome) e nonostante gli editti, le proibizioni, le sanzioni e le punizioni la fontana veniva utilizzata come pattumiera, dove si gettavano i rifiuti e gli scarti dei banchi di vendita. Solo nel 1622 si riuscì a porre fine allo scempio con un provvedimento assai originale. Si asportarono i delfini (dei quali si sono perdute le tracce) e si pose sulla vasca interna un coperchio in travertino a cupola con un grosso pomello centrale, che fece assumere alla fontana l’aspetto di una enorme “zuppiera” o “terrina”. La fuoriuscita dell’acqua fu assicurata traforando il centro delle rose poste sui lati della vasca.
Lo sconosciuto autore del coperchio pose alla base del pomello un’iscrizione che recita:
AMA DIO E NON FALLIRE, FA DEL BENE E LASSA DIRE. MDCXXII.
FONTANA DELLE ANFORE
Rione Testaccio
Il rione Testaccio è il XX rione di Roma. La sua costituzione è abbastanza recente, in quanto risale al 9 dicembre del 1921, quando il vasto rione Ripa venne privato di una parte del suo territorio. La zona tolta è quella compresa nell’ansa del Tevere fra i ponti Sublicio e Testaccio, dalle mura aureliane4 e dalle pendici dell’Aventino.
Lo stemma del rione raffigura un’anfora d’oro in campo rosso proprio a significare la presenza del monte testaccio “mons Testaceus”, formato dai frammenti di anfore “testae”.
Monte testaccio: veduta dei fianco della collina formato
dai cocci delle vecchie anfore romane
L’area occupata dal rione è una zona pianeggiante (ad eccezione della collinetta artificiale di circa 36 m di altezza, chiamata “Monte Testaccio”), che fin dal II secolo a.C. accolse la zona portuale della città, realizzata dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo nel 193 a.C. Si tratta del nuovo porto fluviale di Roma, l’Emporio5, costituito da una lunga banchina pavimentata di 500 m di lunghezza, che arrivava vicino al fiume. La realizzazione di questo nuovo porto si rese necessario come conseguenza del notevole incremento economico della città, e di conseguenza del moltiplicarsi dei traffici commerciali, che aveva reso insufficiente il vecchio porto, che affacciava sul Foro Boario e che non era possibile espanderlo a causa della presenza dei colli circostanti.
Resti dell’Emporium sul lungotevere Testaccio
Alle spalle dell’Emporio fu costruito, in epoca incerta, la Porticus Aemilia, le cui dimensioni dovevano essere grandiose, stando a quanto si può vedere nella “Forma Urbis”, la pianta di età severiana, che raffigura la situazione topografica di quella epoca.
Resti della Porticus Aemilia
La “Porticus Aemilia” era un immenso edificio in opera incerta6 di tufo, lungo 487 metri e largo 60, che si estendeva con la fronte parallela al Tevere, lungo l’attuale via Amerigo Vespucci, con i lati brevi sulla “via Ostiensis” (l’attuale via Marmorata) e su via Beniamino Franklin, mentre il retro era situato leggermente più arretrato rispetto all’odierna via Giovanni Branca. L’interno era diviso da 294 pilastri in una serie di ambienti disposti su sette file longitudinali che formavano 50 navate, larghe ognuna 8,30 metri, coperte da serie di volte sovrapposte, per una superficie utile di 25.000 metri quadrati, utilizzate come ambienti di immagazzinaggio (“Horrea“).Il nome di porticus Aemilia deriva da quello dei costruttori, i tribuni edili dell’anno 193 a.C., Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo: di essa rimangono alcuni imponenti resti, riferibili al muro sud-orientale, situati in via Beniamino Franklin, via Rubattino e via Florio. L’edificio fu restaurato dall’imperatore Galba ma la fase originaria può essere datata intorno al 100 a.C., come testimonia il sepolcro del console Sergio Sulpicio Galba rinvenuto nel febbraio del 1886.
Fra il 140 a.C. ed il III secolo d.C. può essere datato il monte Testaccio, il quale si andò formando con gli scarichi dei cocci delle anfore non più utilizzabili. Da qui il nome dato a questo rilievo dai romani: “il monte dei cocci”. Si può dire che è la prima discarica (in questo caso di inerti) a Roma. Il monte è costituito da oltre 53 milioni di anfore in terracotta, per lo più olearie, di epoca romana, ordinatamente disposte. Le anfore, una volta svuotate del loro contenuto, non potendo essere utilizzate nuovamente per contenere altri generi alimentari, in quanto non smaltate internamente, venivano in parte riciclate come materiale da costruzione e tutte le altre, dopo essere state fracassate erano depositate nell’attuale monte testaccio.
Per secoli i romani sfruttarono le proprietà isolanti dell’argilla per ricavare, alle pendici di questo colle artificiale, numerose grotte al cui interno la temperatura si attesta durante tutto l’anno intorno ai 10°, condizione questa che le ha rese idonee come stalle o cantine. Oggi queste grotte ospitano ristoranti e locali notturni.
In epoca medioevale sul monte si celebrava il carnevale, con giochi anche cruenti: vi si allestivanotauromachie e la cosiddetta "ruzzica de li porci": carretti di maiali vivi venivano spinti giù dalla collina e, quando essi si sfracellavano a valle, il popolo dava la caccia ai frastornati animali.
Il luogo, per la sua posizione rialzata, acquisì anche un ruolo strategico: durante l'assedio di Roma del 1849vi fu posta una batteria di artiglieria che dall'alto prendeva agevolmente e insistentemente di mira i francesi accampati vicino alla Basilica di San Paolo fuori le mura. Similmente, durante la seconda guerra mondiale, sulla cima del colle fu installata una batteria antiaerea poggiata su basamenti di cemento, i cui resti sono ancora visibili.
Infine occorre sottolineare che gli studi archeologici effettuati sui cocci presenti sul monte hanno consentito di ricostruire la storia del commercio a Roma.
Altre cose importanti da vedere nel rione sono: La porta di San Paolo e l’adiacente piramide di Caio Cestio, inoltre il cimitero acattolico e l’ex mattatoio.
La fontana
La fontana delle anfore fu realizzata interamente in travertino dall'architetto Pietro Lombardi, vincitore dell'apposito concorso pubblico, nel 1927, pochi anni dopo l'istituzione ufficiale di Testaccio come rione.
La destinazione originaria della fontana era il centro di piazza Mastro Giorgio, poi divenuta piazza Testaccio, ma per problemi strutturali legati alla stabilità del terreno, che richiedeva interventi di consolidamento, nel 1935venne trasferita in un'area utilizzata anche come spartitraffico in piazza dell'Emporio (attualmente nel posto dov’era stata collocata la fontana vi è un’aiuola circolare.
Fontana delle anfore
Al termine dei lavori di consolidamento della piazza, il 24 gennaio 2015 è stata inaugurata la ricollocazione della fontana nella sua destinazione originaria, che è quella attuale.
La scelta del motivo dell'anfora,è da ricercare nel simbolo stesso del rione, che a sua volta affonda le radici nella storia antica dell'area e specificamente nel commercio di vini e oli che avveniva proprio in questa zona attraverso il porto fluviale. L’utilizzo delle anfore per il trasporto di questi generi alimentari era, dunque, essenziale.
Al centro di una piattaforma circolare posta in cima a 5 gradini, si trova l’elemento principale, posto al centro, composto da un ammasso di anfore addossate le une alle altre. Alla base di questo elemento centrale l'acqua si riversa in quattro vasche rettangolari poste a croce rispetto al nucleo centrale, contro il quale appoggiano uno dei lati corti, che si uniscono all'elemento di centro con una voluta ornata da una testa di montone e dallo stemma del Comune di Roma. Agli angoli tra i bracci, che formano la croce, ed il corpo centrale vi sono quattro piccole vaschette nelle quali si riversa un rivolo d’acqua. Intorno alla fontana vi sono sedici colonnine in pietra, poste su due livelli. In corrispondenza a ciascun braccio della croce vi sono due colonnine ai lati della vasca rettangolare e due ai lati delle quattro anfore in bassorilievo.
Queste anfore sono rivolte verso l'esterno della composizione. Esse sono non solo belle ed eleganti, ma sono soprattutto originali. E la loro originalità non è dovuta esclusivamente alla forma o all’oggetto rappresentato, cioè l’anfora, ma dal fatto che queste anfore hanno una funzione di "fontanella", cioè da loro è possibile bere. Infatti si tratta del primo caso di composizione integrata di fontana ornamentale-abbeveratoio.
Qualche tentativo precedente in realtà era stato azzardato, come la fontana di piazza Santa Maria Maggioreo quella di piazza Scossacavalli, poi trasferita in piazza Sant'Andrea della Valle, ma non si era mai risolto in una fusione così netta dei due elementi, limitandosi a porre una fontanella pubblica accanto a quella ornamentale, magari inglobata nell'altra, ma sempre come corpo aggiuntivo non inserito nel disegno principale.
FONTANA CELIMONTANA
Rione Celio
Il rione Celio è il XIX rione di Roma, è stato creato cento anni fa, nel 1921, a seguito di una divisione del rione Campitelli (X).
Lo stemma presenta una testa di africano con due corna, simili a quelle dei rinoceronti, a memoria di un busto africano rinvenuto in via Capo d’Africa.
Il rione prende il nome dal colle sul quale si estende, anche se anticamente questo colle veniva chiamato Querquetulano, in quanto ricoperto interamente da un bosco di querce. Il nome Celio venne adottato da un tale Caele Vibenna, condottiero etrusco, dopo aver conquistato il colle. Ci troviamo nel 48 d.C.
Altra nota storica, il Celio fu l’ultimo dei sette colli romani ad essere stato compreso nella cerchia muraria di epoca repubblicana, che dal colle Oppio raggiungeva porta Capena.
Viceversa, per il fatto che è in questa zona che si diparte la Via Appia, cioè la Regina Viarum, è dal Celio, che prese piede la moda di erigere lungo questa strada la propria tomba da parte dei romani più illustri. Fra le altre vi si trova la famosa tomba degli Scipioni con i sarcofagi di Scipione l’Africano, il vincitore di Annibale, e di Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine.
Nel 64 d.C., sotto il regno dell’Imperatore Nerone, un terrificante incendio distrusse gran parte della città di Roma e con essa quasi tutta la zona del Celio, che fu ricostruita celermente. Nel 72 d.C. i Flavi, succeduti a Nerone, continuarono nella ricostruzione e al limite del Celio, in un’area dove esisteva un lago, costruirono un enorme edificio da adibire a giochi e spettacoli, il Colosseo.
Saltando a piè pari la fine dell’impero romano ed il medio evo, arriviamo nel bel mezzo del Rinascimento, intorno al 1660, sotto il papato di Sisto V, il papa degli obelischi e della modernizzazione della rete viaria di Roma (Asse Trinità dei Monti – S. Giovanni in Laterano: via Sistina, via quattro fontane, V. A. De Pretis, via Merulana). Tra le vie realizzate da questo Papa, sempre con l’intento di rendere più agevole il percorso tra S. Pietro e le varie zone del centro di Roma vi è anche la realizzazione di via di S. Giovanni in Laterano. Infatti, fino a tutto il cinquecento, i cortei papali, e le processioni percorrevano via dei Santi Quattro (già via Tuscolana). Per attuare il suo proposito Papa Sisto rimosse i ruderi del Ludus Magnus. Pensare che aveva avuto l’idea perfino di tagliare il Colosseo per fare arrivare dritta per dritta la strada fino a Piazza Venezia, dove doveva congiungersi con via del Corso. Per fortuna che tale follia restò solo nella sua testa.
Luoghi importanti presenti nel rione. Oltre al già citato Colosseo, il monumento dell’antica Roma più importante al mondo ci sono:
Le chiese dei Santi Quattro Coronati, di Giovanni e Paolo, di Santa Maria in Domnica (la navicella), di Santo Stefano Rotondo, San Gregorio, San Giovanni a porta latina. Poi Villa Celimontana, l’Ospedale Militare del Celio e, come già detto La Tomba degli Scipioni.
Fontana Celimontana o di Pio IX
La fontana
La fontana Celimontana, conosciuta anche come fontana di Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), dal Papa che la commissionò, venne progettata dall’architetto Virginio Vespignani, e realizzata nel 1864. La sua posizione originaria era stata al fianco della chiesa di San Clemente, unitamente ad un’altra vasca, che però era un semplice lavatoio, che ben presto fu smontata e rimossa. Questa fontana, invece, restò al suo posto fino al 1927, quando fu rimossa e ricostruita in via Annia, quasi a ridosso dell’Ospedale del Celio.
E’ situata entro una esedra in laterizio, fiancheggiata da due pilastri di marmo, sormontati da due sfere, tra le quali è posto lo stemma del Comune di Roma, che ne curò lo spostamento, sorretto da due piccoli delfini.
Elevato su quattro gradini e poggiante su due zampe di leone e un cubo centrale lavorato in basso rilievo, un antico sarcofago di marmo (I secolo a.C.) riceve l’acqua versata dalla bocca di due teste leonine emergenti dalle volute laterali che elegantemente incorniciano lo stemma papale, scolpito in un blocco cubico, sovrastato da una vaschetta quadrata entro la quale si trova una piccola tazza dalla quale si eleva un piccolo zampillo.
1 I rioni di Roma costituiscono il primo livello di suddivisione toponomastica di Roma Capitale e indicano le zone del centro storico di Roma.
Il termine rappresenta l'esito nel romanesco medievale del latino volgare*REGIŌNE(di genere maschile, mentre il latino classico rĕgĭō, -ōnis, da cui deriva, è femminile) ed è appunto utilizzato sin dal medioevo. I rioni in sequenza sono: I Monti; II Trevi; III Colonna; IV Campo Marzio; V Ponte; VI Parione; VII Regola; VIII S: Eustachio; IX Pigna; X Campitelli.
2 Il Baroccoè stato un movimento estetico, ideologico e culturale sorto in Italiatra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, e dall'Italia propagatosi in tutta Europa nel mondo delle arti, della letteratura, della musica, e in numerosi altri ambiti, fino alla metà del XVIII secolo. L’arte Barocca è rappresentata in modo eminente, a partire dalle grandi opere architettoniche, scultoree e pittoriche realizzate nella Roma di Urbano VIII da Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona.
Tra le caratteristiche principali del barocco vi sono: l'andamento curvilineo dei corpi architettonici, l'adozione della colonna tortile e del frontone "rotto", la plastica concitazione delle figure, il rigoglio vaporoso dei drappeggi, la proliferazione dell'ornamento.
3 L'Aqua Virgofu il sesto degli undici acquedotti romani antichi. E’ stato restaurato nel Rinascimento e ribattezzato Acqua Vergine. Fu costruito da Marco Vipsanio Agrippa, fedele amico, collaboratore, generale e genero di Augusto, e venne inaugurato il 9 giugno del 19 a.C. La sua principale funzione doveva essere quella di rifornire le Terme di Agrippa in Campo Marzio.
4 Le Mura aurelianesono una cinta muraria costruita tra il 270 e il 275 dall'imperatore Aureliano per difendere Roma, capitale dell'impero, da eventuali attacchi dei barbari. Dopo aver subito numerose ristrutturazioni in epoche successive, sia nell'antichità, sia in epoca moderna, le mura si presentano oggi in un buono stato di conservazione per la maggior parte del loro tracciato; nell'antichità correvano per circa 19 km, oggi sono lunghe 12,5 km. Costruite oltre 1.700 anni fa, sono tra le cinte murarie antiche più lunghe e meglio conservate al mondo.
5 L'Emporiumera l'antico porto fluviale della città di Roma, situato approssimativamente tra l'Aventino e Testaccio.
6 L'opera incerta(opus incertum) è una tecnica edilizia romana che riguarda il modo in cui viene realizzato il paramento di un muro in opera cementizia. Venivano utilizzate pietre di misura diseguale poste con le facce combacianti tra loro, dando come risultato un disegno irregolare e casuale.